Henry Abrams e J.J. Abrams, intervistati dal New York Times. Il primo è il figlio ventenne del noto regista. Il secondo è il noto regista. Non rispondono, però, a domande sul Cinema, ma sul Fumetto, e per un’ottima ragione: i due sono infatti co-sceneggiatori di una miniserie di Spider-Man, come annunciato dalla Marvel, per i disegni di Sara Pichelli. Nella storia ci sarà un nuovo criminale, di nome Cadaverous, e sarà coinvolta Mary Jane Watson.

Curiosi e desiderosi di maggiori dettagli? Eccovi le dichiarazioni rilasciate da padre e figlio riguardo al progetto, una miniserie in cinque partianticipata da un countdown nei giorni scorsi – che debutterà a settembre negli Stati Uniti. La copertina è firmata nientemeno che da Olivier Coipel.

 

Spider-Man #1, copertina di Olivier Coipel

Henry – Sono nervosissimo. Farò del mio meglio. Nick Lowe, editor della miniserie, si fece vivo circa dieci anni fa. Solo più di recente abbiamo iniziato a sviluppare davvero l’idea: una visione nuova ed eccitante di Spider-Man.

J.J. – Nick mi è stato addosso un sacco per convincermi a scrivere una storia per lui. Circa un anno fa ho iniziato a parlarne con Henry, e da lì le cose sono proseguite pian piano. Ed è proprio questa la cosa bella: anche se io e Nick ne parliamo da un sacco di tempo, mi sento come se la storia fosse nata soprattutto dalle conversazioni tra me e mio figlio, che hanno prodotto idee che ci hanno fatto appassionare e che Nick ha avuto la pazienza di valutare.

Henry – Ho letto fumetti soprattutto quando ero molto piccolo. Calvin & Hobbes, Tintin, Spy vs. Spy. Avevo un’antologia delle storie Marvel, quando avevo circa sette anni, che adoravo. Finivo sempre su una pagina di Spider-Man, senza sapere niente del personaggio, della sua storia o dei suoi poteri, ma apprezzando moltissimo l’arte di Steve Ditko. Non ho davvero iniziato a leggerne le storie fino a che non ho compiuto undici o dodici anni. A quel punto, ho capito che era un personaggio in cui mi rivedevo e, probabilmente, era la prima volta che mi sentivo in quel modo.

J.J. – Ricordo che ai tempi del liceo lavoravo in un negozio di fumetti e c’era l’albo di Amazing Fantasy con la prima apparizione di Spider-Man in una teca di vetro. Fino a quando non iniziai a lavorare lì, non mi ero appassionato ai fumetti. E, sebbene non sia mai diventato il fan sfegatato che è oggi mio figlio, ho sempre apprezzato la maniera, emozionante e stranamente coinvolgente, in cui le storie sono raccontate tramite questo straordinario linguaggio.

Henry – Sento di aver imparato molto non solo come scrittore, grazie a questa collaborazione, ma anche come fruitore di storie. Spider-Man è uno di quei personaggi che, più leggi cose che lo riguardano, meno lo capisci. Almeno così capita a me. Ha un sacco di caratteristiche totalmente opposte a quelle che ti aspetti da un super eroe. Credo che Stan Lee abbia detto qualcosa sul fatto di aver messo un uomo dentro un super uomo. Ed è quel che anche noi abbiamo cercato di fare.

J.J. – Per me è pazzesco, dopo aver lavorato per tanti anni assieme a scrittori professionisti, lavorare con mio figlio su un progetto del genere. A essere sincero, non ero affatto sicuro di come sarebbe stato. Nessuno di noi due lo era.

Ricevere le pagine disegnate è un po’ come lavorare a un film. Tu hai un’idea di come dovrebbe essere il castello di Maz Kanata. Per mesi e mesi vivi nella teoria e poi passi attraverso le fasi del design. E un bel giorno vai su set e te lo trovi davanti. Magari non stai girando, ancora, ma il set è lì. Vedere arrivare le tavole di Sara, le prime versioni in bianco e nero, è stranissimo, perché improvvisamente hai davanti l’interpretazione di una grande artista di cose di cui hai parlato per un sacco di tempo.

Certo che scriverei ancora per il Fumetto. Lavorare con Henry è stato grandioso e so che lui ha altre idee per altri progetti. Posso immaginare che lavorare con papà abbia i suoi vantaggi, ma ce lo vedo a portare avanti da solo i suoi impegni.

Henry – Ovviamente ho goduto di un incredibile privilegio, ne sono consapevole. Credo che una parte fondamentale della creatività sia l’indipendenza creativa. Dopo questa esperienza, quello è il mio desiderio. Non posso credere che questa opportunità ci sia stata concessa. Ho avuto la scusa perfetta, soprattutto nell’anno passato al college, per chiamare papà e, semplicemente, parlare della storia.

 

 

Fonti: New York Times | Marvel