L’ultima volta che abbiamo incontrato lo sceneggiatore britannico Kieron Gillen è stato all’edizione 2017 di Cartoomics, quando i ragazzi di BAO Publishing ci hanno gentilmente concesso di intervistare lui e Jamie McKelvie per il lancio italiano di The Wicked + The Divine.

In quell’occasione, Gillen fu così gentile da lasciarci il suo contatto, così da tornare a sentirci quando i tempi sarebbero stati maturi per nuovi progetti, e quale miglior occasione dell’uscita nel nostro Paese di Die – (Di)partite vol. 1: I cuori spezzati del fantasy, esordio della sua nuova serie Image Comics disegnata dalla spettacolare Stephanie Hans?

Con Gillen, il nostro Fiorenzo Delle Rupi – che si dà il caso sia il traduttore del fumetto edito da Panini Comics – ha inoltre parlato del suo nuovo lavoro per la Marvel, Warhammer 40.000, dei suoi trascorsi in una certa galassia lontana lontana e di altro ancora…

 

Grazie mille per essere con noi, Kieron!
Iniziamo parlando un po’ di te: in opere come “Die” e nelle tue recenti dichiarazioni su “Warhammer 40.000” e sui GDR in generale emerge chiaramente che sei stato un avido lettore di fumetti e un appassionato di giochi ben da prima di iniziare a scrivere per professione. Vuoi raccontarci qualcosa sulla tua formazione? 

Kieron Gillen

Gillen – Sono un ragazzo cattolico della classe operaia delle midlands. La patria dell’heavy metal, per intenderci. Gran parte della mia cultura geek (in assenza di una definizione migliore) la devo al mio migliore amico, che aveva dei fratelli maggiori e quindi aveva accesso alla Roba Tosta quasi sempre prima di me. In termini di fumetti, c’era soltanto quello che era disponibile in edicola. Vivevamo in un paesino dove non c’era una fumetteria, quindi il materiale era davvero poco.

Giunto all’adolescenza, mi allontanai dai fumetti, fatta eccezione per quei pochi che mi capitavano sotto mano per caso. Mi appassionai ai fumetti in modo “appropriato” solo dopo i vent’anni. Nei miei anni da adolescente diedi la precedenza soprattutto alla musica e ai giochi. Come tanti altri ragazzi delle midlands, mi appassionai alla musica tramite il metal, ed è significativo che anche la Games Workshop fosse una compagnia delle midlands e che in tutti i suoi primi prodotti fosse presente una forte vena di energia punk/metal. Da adolescente giocai a moltissimi GDR: “MERPS”, “Warhammer Fantasy”, “Cyberpunk 2020”, “GURPS” e via dicendo. Dopodiché non posso ignorare l’influenza dei romanzi. Come mostra “Die”, Tolkien è stato uno dei primi autori a segnarmi profondamente. Scoprire Iain M. Banks è stato un altro momento importante per me, e direi che se rimuovessimo dall’equazione “Le Tombe di Atuan”, di Le Guin, sarei uno scrittore molto diverso da quello che sono diventato.

Passiamo a “Die”: la tua creazione è uno degli esempi più recenti e interessanti di varie storie intriganti che si rifanno agli anni Ottanta e alla “cultura nerd”, da “Stranger Things” a “Ready Player One”. Perché pensi che questi temi e quell’epoca siano tornati alla ribalta ultimamente? Quali corde toccano quei titoli nei lettori di oggi?

DIE - (Di)partite vol. 1: I cuori spezzati del fantasy, copertina di Stephanie Hans

Gillen – In verità, considero le storie come “Ready Player One” l’antitesi di “Die”. Sono opere frutto della nostalgia e della ricerca di rassicurazioni, vogliono ricordarci tutte quelle cose fantastiche che “a noi” piacevano mentre crescevamo. Ogni generazione lo fa: arriva ai quarant’anni e si volta indietro a guardare cosa gli piaceva negli anni dell’adolescenza. L’unica cosa diversa in queste opere è che ora la prima generazione di nerd pop-culturali è arrivata a quell’età. Questo genere di storie può essere molte cose, ma spesso tenta di trasmettere alle generazioni più giovani la convinzione che c’era un merito specifico in ciò che l’autore amava. La trama di “Ready Player One”, alla lettera, è: “Un tizio ricco tiene in ostaggio la terra finché qualcuno non presterà abbastanza attenzione alle cose da nerd che gli piacevano da ragazzino”, e non mette mai in discussione se sia una bella cosa oppure no.

Nelle mie opere, fin dal primo “Phonogram”, ho scelto un approccio più cinico alla cultura pop da cui siamo tutti ossessionati. Certo, l’ho amata, ma amare qualcosa veramente significa rifletterci su, e rifletterci su significa affrontare anche gli aspetti negativi. Ed è questo il punto: ho voluto parlare di un periodo in cui c’erano dei veri e propri tentativi di sopprimere certi aspetti di questa cultura nerd, specialmente negli Stati Uniti. L’F.B.I. fece letteralmente irruzione nella sede della Steve Jackson Games. Tuttavia, abbiamo fatto molta strada da allora: la cultura geek ha vinto. Questo significa che ora possiamo esaminare veramente la forma e studiarla in modo onesto, vagliandone sia i pro che i contro.

In altre parole, “Die” è una serie che si chiede onestamente: “In che modo il fantasy mi ha scombussolato la testa?” o, meno brutalmente: “e comunque, perché avevo un bisogno così forte di fantasy? Cosa mi mancava allora? Cosa mi manca adesso?”.

Uno degli aspetti più affascinanti di “Die” è la presenza di molti strati: abbiamo i giocatori cresciuti, i giocatori giovani, i loro personaggi, il mondo reale, quello di finzione e il tema della narrazione che attraversa tutti questi strati. Vedremo questo meta estendersi ulteriormente? Toccherai temi come i lettori e l’autore? Ti vedremo come uno dei venti Master nel mondo di gioco? :) O, più seriamente, quanto di te e delle tue esperienze personali c’è nella storia?

DIE #1, anteprima 01

Gillen – Quando parli di me come uno dei master, tu scherzi, ma siamo onesti… è al 100% il genere di mossa che potrei fare, vero?

I molteplici strati sono un elemento importante: si espandono perfino al di fuori del fumetto, nel gioco di ruolo che ho scritto ispirandomi al gioco, in cui interpreti qualcuno che gioca a un gioco e poi viene trascinato nel gioco. È una serie di matrioske che prosegue fino all’ultimo stadio. Ho anche specificato nelle regole che tutte le sessioni di GDR di “Die” sono canoniche: c’è una parte di “Die” in cui tutte quelle storie si svolgono.

Perciò, sì, mi interessa molto espandere l’opera oltre le tavole e spingere la gente a pensare ai vari strati, alla loro complicità come consumatori di fantasy e così via. È tipico delle mie storie. Certo, è pretenzioso a livelli ridicoli, ma è anche molto divertente. E anche un po’ inquietante.

Quanto a “quanta parte c’è di me?”, direi che sicuramente ci sono molti elementi autobiografici filtrati nella storia, ma ci sono anche molti elementi che provengono da fonti diverse. Non dobbiamo sottovalutare l’influenza di Stephanie sulla serie, per esempio non solo visivamente, ma anche nel definire gli archi narrativi di certi personaggi. Isabelle, ad esempio, è ispirata sotto molti aspetti a Stephanie.

Senza entrare nel dettaglio o spoilerare nulla, puoi dirci qualcosa sui futuri capitoli di “Die”? Hai già in mente un finale?

DIE #1, anteprima 02

Gillen – Il terzo arco narrativo (“The Great Game”) è quello in cui ci cimentiamo nell’epica su grande scala, è la nostra Guerra dell’Anello. Abbiamo i personaggi che hanno raggiunto posizioni di potere e agiscono su scala mondiale. Da un certo punto di vista, sarà molto simile a “The Wicked + The Divine”: complicato e caratterizzato da una trama molto densa. È anche il capitolo in cui iniziamo ad avere qualche spiegazione diretta su come funzioni Die. Certo, non riveliamo tutto, ma i misteri inizieranno a essere meno misteriosi. E più terrificanti.

Ho appena finito di scriverlo e mi sto preparando a scrivere il quarto. Se il terzo arco narrativo è paragonabile a “WicDiv”, quello successivo promette di essere molto più simile a “Phonogram”: intenso, personale e con grandi rivelazioni.

E, sì, ho un finale in mente. Nelle mie serie creator-owned, in genere, so esattamente come ho intenzione di chiudere la storia, almeno a grandi linee. “Die” è un’anomalia, però: ha un finale aperto. Stephanie e io abbiamo parlato della possibilità di fare un sequel, prima o poi, e so già con esattezza di cosa parlerebbe quella storia.

Parliamo un po’ dei tuoi nuovi progetti. Stai per iniziare un viaggio nel mondo di “Warhammer 40.000” con la storia di Marneus Calgar. Credo sia una delle prime volte che viene realizzato un fumetto sull’universo di “WH40K” di questa portata, sotto le insegne della Marvel e con nomi come il tuo e quello di Jacen Burrows. Come è nata la serie? Cosa possono aspettarsi di trovarci gli appassionati e i lettori casuali?

Warhammer 40.000: Marneus Calgar #1, copertina di Jacen Burrows

Gillen – La Marvel fa questi summit in cui radunano i loro autori regolari assieme ai loro editor e pianificano l’annata di lavoro successiva. Mi hanno detto che quando hanno rivelato di avere preso la licenza di “Warhammer”, tutti i presenti nella stanza hanno praticamente esclamato: “Be’, questo va a Kieron, giusto?”. Devo avere una certa reputazione.

Me l’hanno chiesto, ci ho pensato su e ho detto “sì”. So che lanciare una linea di fumetti alla Marvel ti offre un certo spazio di manovra che altrove non avresti: posso fare cose in un fumetto che sarebbe molto più difficile fare altrove. Inoltre, definire il tono e la direzione di ulteriori serie sull’argomento è una sfida interessante: cercherò di creare uno spazio anche per altri autori.

È anche per questo che ho detto di sì: tramite Marneus Calgar, un lettore avrà una presentazione brutale del mondo di “Warhammer”. Il mio modello è “Batman: Anno uno”. Tutti i fan di Batman amano quel fumetto, ma è anche una splendida introduzione autosufficiente del mondo del personaggio. Contiene tutto quello che un appassionato può desiderare, ma spiega anche ai nuovi lettori perché Batman sia un personaggio straordinario. Questo è l’obiettivo di “Marneus Calgar” per il mondo di “Warhammer”.

Ovviamente, l’universo è troppo grande per poter includere tutto e raccontare una storia coerente, quindi c’è anche un lavoro di editing, bisogna scegliere quali sono le note essenziali da toccare. Credo di avere trovato un equilibrio molto interessante che risulti assolutamente, orrendamente, mostruosamente divertente. Jacen è un disegnatore che sa come raffigurare la guerra e la brutalità e come renderle al meglio sulle tavole.

In pratica, se già vi piace “Warhammer 40.000”, questo è il fumetto che fa per voi, spero. Se vi siete mai chiesti perché alla gente piace “Warhammer 40.000”, vi spiegherà perché e farà del suo meglio per convertirvi.

Qui in Italia stiamo leggendo gli ultimi numeri del tuo ciclo di “Star Wars”. Anche se molti autori hanno contribuito a definire il nuovo canone, sono i tuoi personaggi, come la Dottoressa Aphra e i suoi droidi, a essere diventati più popolari e ad avere lasciato il segno. Puoi raccontarci qualcosa sulla loro creazione? E a proposito di “Star Wars” in generale, quali sono stati i pregi e i difetti di lavorare su un franchise così grande?

Star Wars: Doctor Aphra #12, copertina di Kamome Shirahama

Gillen – Grazie. Credo di essere stato incredibilmente fortunato con loro e con la reazione che i lettori hanno avuto nei loro confronti. Aphra ha rappresentato uno di quei momenti di ispirazione chirurgica. Sapevo che Darth Vader avrebbe dovuto fare paura. Non volevo che ci avvicinassimo troppo a lui. Non volevo fargli usare dei monologhi interiori. Volevo che non sapessimo mai di preciso cosa stesse pensando. Inoltre sapevo che Vader avrebbe dovuto essere forte e silenzioso, e i fumetti sono un medium che ha davvero “bisogno” di gente che parli per narrare la storia. Certe cose che in un film possono essere trasmesse a gesti non funzionano a dovere nei fumetti, perché portano via troppo spazio. Quindi sapevo che avevo bisogno di qualcuno da affiancare a Vader e che si occupasse di buona parte dei dialoghi per lui.

Allo stesso tempo, pensavo a Darth Vader e al modo in cui volevo pianificare la serie. Nello specifico, volevo che fosse una serie di “Star Wars” e non una serie sulle forze Imperiali. Una serie Imperiale sarebbe molto grigia. Una serie di “Star Wars” deve avere azione, romanticismo con la “R” maiuscola e commedia… ma stavolta, di tipo diverso. Commedia del lato oscuro anziché di quello chiaro. Questo per me significava invertire le dinamiche di Luke, Leia, Han e così via. Darth Vader era il nostro Luke. Chi erano gli altri? Come potevo renderli divertenti, ma allo stesso tempo inquietanti?

Pensavo a tutto questo mentre mi aggiravo per il quartier generale della Lucasfilm e sono passato davanti a una statua di Indiana Jones. La guardai e pensai: “Sai che c’è? Un archeologo avventuriero sarebbe un ottimo archetipo da inserire nell’universo di ‘Star Wars’. Però dovrei farlo cattivo.” Mi balzò in testa la battuta “Appartiene a un’armeria!” e fu così che nacque Aphra. I droidi seguirono di lì a poco, per motivi analoghi.

Parliamo dei tuoi lavori per l’Universo Marvel: sei generalmente considerato il padre putativo del moderno Sinistro, un personaggio che hai contribuito a ridefinire e sviluppare come nessuno aveva mai fatto prima. C’è una storia su di lui che non sei riuscito a raccontare e che hai ancora nel cassetto? O più in generale sugli X-Men?

Powers of X #5, copertina di R.B. Silva

Gillen – Devo dire che ho adorato vedere come Jon [Hickman] abbia raccolto il testimone di quello che stavamo facendo con Sinistro e l’abbia portato avanti. A quanto pare quell’interpretazione di Sinistro è ora al 100% la versione con cui gli autori stanno giocando, e la cosa mi fa sorridere, in maniera alquanto sinistra.

In tutta onestà, devo dire che sono stato tentato, il dipartimento X sembra molto divertente al momento, ma ora mi interessano i lavori in cui posso stare al comando anziché far parte di una banda. Ho fatto molto lavoro di supporto nei miei giorni alla Marvel, e l’ho adorato, ma è qualcosa che ho già fatto, e odio ripetermi. Mi piacciono le nuove sfide in quanto mi aiutano a rinnovarmi. È uno dei motivi per cui ho detto di sì alla serie di “Warhammer” di cui abbiamo parlato prima, per esempio. Tuttavia, mai dire mai.

Concludiamo con una classica domanda: quali progetti ci sono all’orizzonte? C’è qualche particolare storia o serie per cui dovremmo tenere gli occhi aperti?

Ludocrats

Gillen – “Ludocrats” è in procinto di concludersi: io, Jeff Stokely, Jim Rossignol e Tamra Bonvillain abbiamo realizzato questa scanzonata commedia sexy-fantasy. La raccolta dovrebbe uscire verso la fine dell’anno, e lo farà in una magnifica edizione. Sto lavorando anche con Dan Mora e Tamra su “Once & Future” [pubblicato in Italia da Edizioni BD – NDR], che ha appena concluso il suo secondo storyarc, e ci prepariamo ora ad affrontare il terzo. Il cliffhanger alla fine del secondo è una delle cose che più mi mettono di buon umore.

In realtà c’è una nuova serie che sta per essere annunciata. Probabilmente nello stesso periodo in cui verrà pubblicata questa intervista. È un grosso progetto di cui sono entusiasta e speriamo che lo saranno anche i lettori. Inoltre ho passato l’anno a tentare di imparare l’Italiano, quindi spero di poter venire presto in Italia a fare goffamente pratica di conversazione.

Ti attendiamo a braccia aperte! È stato un immenso piacere ospitarti e ti ringraziamo per la disponibilità, delle informazioni e delle interessantissime osservazioni.

Gillen – Grazie a voi!