Esce oggi in tutte le librerie Lucrezia e Alice a quel paese, il nuovo fumetto di Silvia Ziche pubblicato da Rizzoli Lizard che vi avevamo presentato qualche giorno fa.
Per l’occasione abbiamo intervistato l’autrice veneta, chiedendogli qualche retroscena sul libro e sul suo lavoro per le storie disneyane.

Ciao Silvia e benvenuta su Badcomics.it.
Cominciamo parlando del tuo nuovo libro: in questi giorni uscirà Lucrezia e Alice a quel Paese, “cross-over” dei tuoi due personaggi più famosi. Ci puoi dare qualche anticipazione?

In questo libro cerco di raccontare la vita di tutti i giorni ai tempi della crisi, non solo economica, che stiamo attraversando. Lo faccio a modo mio, in maniera surreale e divertente. Ma questo momento storico è così ingombrante, condiziona così tanto le nostre vite, che ho sentito il bisogno di farlo.

Cosa ti ha spinto a riprendere in mano il personaggio di Alice, che non vedevamo da tanti anni?
Nostalgia, le richieste dei fan, o la semplice curiosità di vedere cosa sarebbe accaduto ad affiancare questo tuo personaggio delle “origini” con la protagonista dei tuoi fumetti più recenti?

Con Lucrezia ho sempre raccontato la difficoltà di relazione tra le persone. In questo momento mi era difficile continuare a parlare di problemi sentimentali senza parlare di  quanto sta succedendo nel mondo, perché la realtà è diventata talmente ingombrante da condizionare tutto nella nostra vita. È innegabile, c’è una crisi che non è solo economica. È morale, è universale. E per raccontare questo mi serviva un personaggio che non fosse concentrato su se stesso, che avesse uno sguardo ancora ingenuo, idealista, sulla realtà. Per un po’ ho pensato di inventarne uno. Poi mi sono accorta che il personaggio in questione esisteva già, anche se non lo frequentavo da un po’. Era Alice.

Dopo tutti questi anni lontano dalle scene, dobbiamo aspettarci un’Alice diversa, cresciuta, rispetto a quella che conoscevamo? O è rimasta lo stesso personaggio, immerso però in una società differente?

È la stessa Alice, che fa i conti con un mondo, se possibile, peggiore di quello in cui era vissuta. Anche se già si trovava a quel paese. Cercavo il modo di raccontare l’assurdità di questo periodo: enormi potenzialità tecnologiche, un progresso focalizzato prevalentemente sulla comunicazione, e una mancanza quasi totale di speranza, di fiducia nel futuro. Tutti i periodi storici precedenti a questo sono stati terribili. Forse il benessere arrivato dopo gli anni ’50 ci aveva illusi che le cose sarebbero andate sempre meglio, che il benessere ci spettava di diritto, e a noi non restava che goderne. Non è così. Ma è come se fossimo tutti ipnotizzati, se avessimo perso la forza di lottare per il nostro futuro. Quindi, per mezzo di Alice, volevo solo raccontare che il futuro, bello o brutto, arriva comunque: sta a noi cercare di farlo diventare nostro. Dobbiamo solo uscire dal torpore in cui ci troviamo.

Quali sono le principali differenze tra i due personaggi? Quanto c’è di Silvia Ziche in Alice e quanto in Lucrezia?

zicheipadC’è tanto, quasi troppo, in entrambe. Alice è nata quando avevo poco più di vent’anni. Tramite lei raccontavo la mia difficoltà di trovare un posto nel mondo, di capire come funzionava la vita, senza un adeguato libretto delle istruzioni. Alice è idealista, come lo ero io in quel periodo. In parte per profonda convinzione, in parte per mancanza di esperienza della vita. Lucrezia è nata una decina d’anni dopo. Ero sempre idealista, ma mi ero scontrata con le delusioni della vita, le difficoltà quotidiane, i disastri sentimentali. Vedevo intorno a me gli ideali che si restringevano. Non più l’Amore, con la maiuscola, ma piccoli ricatti affettivi, ossessivo bisogno di essere amati, prima che di amare. Non più il Mondo, ma il terrazzo di casa propria. Con Lucrezia ho cercato e cerco di raccontare questo restringimento degli orizzonti, la ricerca del piccolo benessere personale, la necessità di trovare qualcuno da incolpare per la nostra mancanza di felicità. Quindi direi che nei due personaggi ci sono io in due età diverse, due parti di me che comunque convivono ancora, e quotidianamente litigano.

Su Topolino realizzi vignette umoristiche, alcune delle quali sono incentrate su battibecchi tra le coppie Topolino-Minni o Paperino-Paperina. Cosa pensi di queste due coppie e quali pensi siano gli elementi in comune e quelli che invece li distinguono (oltre ovviamente al target di riferimento) dalle relazioni sentimentali di Lucrezia e i suoi problemi di coppia?

Lucrezia è pensata per dei lettori adulti. Mi piace molto lavorare sui luoghi comuni: questo mi permette di non perdere troppo tempo in preamboli, soprattutto nelle vignette, perché chi guarda sa già esattamente di che cosa stiamo parlando. Per le coppie disneyane faccio la stessa cosa, ma i luoghi comuni arrivano dal mondo disneyano. Sono quindi decodificabili da lettori che già conoscono quel mondo. E in quel mondo, più o meno, i rapporti tra fidanzati non sono mai stati da favola. Si sono sempre adagiati sui luoghi comuni delle coppie poco funzionali, perché si parla pur sempre di fumetti comici, e le cose che vanno bene offrono pochi spunti al divertimento. Diciamo che ho preso le nevrosi di coppia che già esistevano tra Paperino e Paperina, Minni e Topolino, e le ho aggiornate un po’.

Tra le tue storie Disney sono particolarmente apprezzate le lunghe saghe, filone cominciato con il Papero del Mistero, Topokolossal, Il Grande Splash… Rispetto a una normale storia, come scegli il soggetto di questi racconti più “ambiziosi” e immaginiamo più complessi da scrivere?

Scegliere non è la parola esatta… Diciamo che arrivano. Si fanno sentire. Se la storia la propongo io, lo faccio quando mi si è presentata, magari anche senza volerlo. Se me la chiede la redazione, metto insieme tutti i dati a disposizione, e poi li lascio sedimentare, fino a che appare un modo per raccontare una storia. Un po’ come mescolare gli ingredienti di una torta e poi metterli in forno. Aspettando il giusto tempo di cottura, qualcosa esce. Scrivere una storia lunga non è tanto più complesso che scriverne una corta, o anche una vignetta. L’idea che tiene insieme tutto è una, ed è un istante, una folgorazione, come tutte le idee. Arriva in un attimo, e bisogna subito bloccarla, perché le idee sono un po’ come i sogni, che appena svegli si ricordano chiaramente e poi spariscono. Quindi bisogna scriverla subito. Direi che la scelta del soggetto non pone particolari difficoltà. È il lavoro di finitura e di disegno quello che porta via molto più tempo. L’unica attenzione, per il soggetto di una storia lunga, è che sia abbastanza aperto, che si presti a parecchie parentesi e deviazioni senza per questo perdere il filo della narrazione. Quindi che abbia un’ossatura molto forte, da poter rimpolpare via via che la storia procede.

La serializzazione di queste storie si sviluppa nel corso di mesi, in modo simile a quanto avviene per una stagione di un telefilm. Come avviene la fase di scrittura?
Crei dall’inizio un piano preciso e dettagliato per ogni episodio, hai una struttura indicativa sapendo più o meno come la storia si concluderà, oppure scrivi puntata per puntata cercando di sorprenderti e senza sapere cosa succederà in seguito?

La struttura della storia è decisa fin dall’inizio. Insomma, parto da alcuni punti fermi: inizio, fine, snodi narrativi fondamentali. Poi, tenendo presente la lunghezza della storia (anche quella decisa in partenza) suddivido gli snodi narrativi nelle varie puntate. E questa è la struttura che non viene più toccata. Poi procedo puntata per puntata. Così posso arricchire la storia mano a mano che procede. E anche divertirmi, che è fondamentale per riuscire a divertire anche il lettore. Quindi c’è una parte di scrittura blindata fin dall’inizio, e un’altra che viene aggiornata mentre lavoro: quella di solito più leggera, con le battute e le gag.

Come in molti altri settori del fumetto, in Disney c’è una prevalenza di autori maschili. Tu sei senza dubbio l’autrice Disney più conosciuta in Italia: senti una certa responsabilità a riguardo? Pensi che essere nella minoranza delle “quote rosa” possa offrire qualcosa di diverso rispetto alle storie realizzate dagli uomini?

Non voglio pensare alle responsabilità, altrimenti mi blocco e non scrivo più niente! Credo che un autore, all’interno del mondo Disney, debba pensare solo a raccontare una bella storia, non perché è donna, o uomo, o perché ha una responsabilità: solo perché è una bella storia. Se poi la storia lascia spazio a gag o battute sulle differenze di genere, e queste sono funzionali al racconto e lo arricchiscono, allora le inserisco. Sono perfettamente consapevole dei problemi legati alla differenza di genere che ancora affliggono la nostra società. Ne sono ferita e offesa ogni giorno. Ci penso, ne parlo, ci faccio vignette e storie. Ma sarò contenta solo quando nessuno si stupirà più del fatto che chi fa una certa cosa, in questo caso delle storie a fumetti, sia un uomo o una donna. Per questo, soprattutto le mie storie per Disney, sono storie e basta. Non storie “femminili”, o “al femminile”, o “in rosa”. A questo ci tengo.