Intervista a Bryan Hill (Detective Comics) su Newsarama, per raccontare di American Carnage, la nuova serie che, sotto l’egida di Vertigo, racconterà gli Stati Uniti dei suprematisti della razza bianca e l’odio che sta consumando, in maniera inquietante, una certa parte della nazione come faceva diversi anni fa. Forse, come non ha mai smesso di fare.

Per le matite di Leandro Fernandez (Discipline), anche lui coinvolto dall’intervista, Hill fugge i classici stati repubblicani che il luogo comune vede come patria del pregiudizio razziale e ci mostra agenti FBI che si infiltrano nelle organizzazioni di Los Angeles, il cuore di una delle aree più democratiche e liberali d’America.

 

Hill – Sento addosso un bel po’ di pressione. Sono cresciuto leggendo le cose della Vertigo e restandone tragicamente affascinato. Leggevo le storie di Jason Aaron su Scalped, oppure seguivo il lavoro di Neil Gaiman, il Brian Azzarello di 100 Bullets e così via. E restavo basito da quel che erano in grado di fare su quelle pagine. E penso che vedere quel logo sulla copertina di un volume che hai scritto sia una sorta di marchio, di validazione che sostiene, mentendo in questo caso, che quel che troverete all’interno è un’esperienza viscerale, straziante e sfidante.

Quindi la mia iniziale sensazione, quando Mark Doyle mi ha contattato assieme a Andy Khouri e Margarita Howell, è stata la paura. Sono troppo giovane, nella mia carriera presso le major del Fumetto, per vedermi affidare una cosa del genere. Ho condiviso con loro le ricerche che avevo già svolto per il progetto che poi è diventato American Carnage. All’epoca non sapevo ancora cosa sarebbero diventate. Ma il successo di Border Town e di Hex Wives, come quello che certamente bacerà le altre serie parte di questa linea, mi colloca in un contesto davvero grandioso. Spero solo di non essere l’anello più debole della catena.

 

L’intervista è stata ovviamente realizzata prima delle polemiche che hanno investito Border Town, dunque auguriamo a Hill una maggior fortuna. Frutto di una serie di interviste che lo sceneggiatore ha compiuto con veri suprematisti bianchi, la storia è descritta come una vicenda criminale brutale e senza compromessi, terribilmente realistica e sostenuta da un livello di drammaticità delle tavole davvero intenso.

 

American Carnage #1, copertina di Leandro Fernandez

Fernandez – Come succede sempre nel mio lavoro, metto parecchio nero nei disegni e l’accento sulle sensazioni più sotto traccia e sulla tensione che ne scaturisce, invece che aggiungere tanti dettagli. La mia intenzione è quella di creare la giusta atmosfera per i lettori, in modo che percepiscano direttamente il lato emotivo della storia. Abbiamo discusso un po’ delle serie e dei film di Michael Mann, prima di metterci al lavoro. Pensavamo che sarebbe stato un buon riferimento il tono visivo di cose come Miami Vice e Heat.

Hill – Di solito, questo genere di storie sono ambientate nel profondo sud degli Stati Uniti o nel cuore del Midwest, ma volevo esplorare gli aspetti californiani del movimento suprematista, del crimine e della politica, mescolare un po’ le carte del mito dello stato utopisticamente liberale. Se scrivi una crime story, specialmente se la ambienti a Los Angeles, è impossibile non pensare a Michael Mann, probabilmente il mio regista preferito in forza della sua visione lirica del mondo moderno. In pratica, per lui tutto il mondo di oggi è la frontiera del West.

Quindi ho detto a Leandro che volevo fare qualcosa che ponesse quel lirismo nelle pagine, che traslasse quella visione dello spazio nel fumetto. Volevo prendere l’approccio quasi alla Ansel Adams alla California e a Los Angeles e vedere cosa sarebbe successo, se saremmo riusciti a proporla come molto realistica e allo stesso tempo mitologica. Credo che Leandro e Dean White, il nostro colorista, abbiano fatto un lavoro ammirevole. E sono riusciti a rendere sia familiare che epico lo spazio.

 

Richard e Sheila sono i due protagonisti e investigano sulla rete suprematista di Los Angeles. La dinamica è quella classica tra mentore e agente sul campo, che vede Richard nella seconda veste. Hill paragona quest’ultimo a Ulisse, a caccia della verità, e Sheila alla dea Atena che lo guida nelle sue inchieste. Il loro rapporto è al centro della storia.

 

American Carnage #1, variant cover di Rafael Albuquerque

Hill – Sheila è basata in parte su mia madre, che mi ha cresciuto da sola, perché mio padre è morto quando ero molto piccolo. Lei era una guerriera e ha lottato contro tutte le difficoltà che si incontrano quando si cresce un ragazzino di colore a St. Louis, in Missouri, tenendolo lontano da tutto ciò che tenta di distruggerne l’esistenza, costantemente. Ho sempre voluto creare un tributo a lei, nel mio lavoro, e questa è la prima volta in cui ho avuto l’occasione di dare voce a questo bisogno.

Sheila conta molto come personaggio e, sostanzialmente, è il fuoco etico che mette in moto tutta la storia. Richard è l’uomo sul campo, quello sulla graticola. Le cose si scaldano sempre più attorno a lui, e lei è sempre lì a mantenerlo in piedi quanto basta e a dargli i mezzi per portare a casa il risultato, anche se cammina in un covo di serpenti velenosi.

Fernandez – L’agente Curry è una donna matura e forte, molto intelligente e con un sacco di dolori e di tensioni nella propria vita. Sia dal punto di vista fisico che emotivo. E ha un passato importante che coinvolge Richard da prima dell’inizio della serie. Ci sono aspetti del loro rapporto che esploreremo nel corso della storia, assieme alle ragioni per cui è lei a chiamarlo, quando il suo partner viene ucciso. Mi sono approcciato a Sheila cercando di capire come dovrebbe apparire una donna reale, nella sua posizione. E riesce a essere anche sexy.

 

Fernandez si dice entusiasta di lavorare ad American Carnage sin dall’inizio. Se capire il potenziale di una storia sin dalle prime battute gli risulta facile, non è lo stesso per quanto riguarda il farsi un’idea di come si senta relativamente alla vicenda dal punto di vista personale. In questo caso, sia la complessità e la crescita delle trame che il rapporto di lavoro e personale con Bryan Hill sono stati grandiosi. Una stima che lo sceneggiatore ricambia, condividendola con tutto il team creativo, in cui si è creata una dinamica di vera collaborazione, che vede ognuno fare proposte importanti per lo sviluppo del progetto.

 

Hill – Quel che dovete aspettarvi dalla storia è un’ideologia disturbante supportata da tanta violenza, ma al di là di queste potrete incontrare quel che non vi aspettate: l’intimità di una storia emotiva che spero sia proporzionata all’importanza e alla prospettiva dei temi di base.

Fernandez – Questo progetto è esattamente ciò di cui avevo bisogno in questo momento della mia carriera. Dopo tanti alti e bassi, sento che a questo punto sono finalmente nel posto giusto nel momento giusto, non solo per la mia crescita come artista, ma anche per la storia che sto raccontando.

 

 

 

Fonte: Newsarama