Il mese scorso è stata pubblicata su Topolino Superpippo e Indiana Pipps in Arachidi e piramidi, l’ultima storia inedita di Massimo De Vita, storico disegnatore Disney che ha smesso di lavorare a nuovi fumetti ormai da un anno e mezzo.

Il sito Ventenni Paperoni ha intervistato De Vita, che ha approfittato dell’occasione per svelare alcune curiosità sulle sue storie più famose e togliersi qualche sassolino dalla scarpa, spiegando le motivazioni dietro al suo ritiro dalle scene:

 

Indiana Pipps e il falso pianeta, anteprima 01

Sinceramente mi ero stufato. Già da un paio di anni non mi sentivo più in sintonia con la redazione di Topolino e vi era anche stato un cambio traumatico nella persona del direttore (in questo caso, della direttrice). Il mio disegno, dopo tanto tempo, ho ritenuto si fosse cristallizzato in modo troppo ripetitivo. Fino a che età, mi sono chiesto, si deve continuare a esercitare questo tipo di attività? Finanziariamente non mi trovavo più con l’acqua alla gola. L’ultima goccia è stata la pubblicazione della mia storia Indiana Pipps e il falso pianeta di cui avevo curato anche il soggetto. Là è stata messa in atto una vera e propria ‘censura’ da parte non so di chi. Ne hanno stravolto completamente il senso: trattavo ironicamente il tema del “Grande Fratello” che tutto controlla e osserva. E credo che sia stato proprio il “Grande Fratello” che tutto controlla e osserva…

Solitamente si “muore” sul tavolo di lavoro. Perché non siamo tutelati in nessun senso. Mentre un disegnatore che lavora sui propri personaggi o cede il proprio lavoro ad altri editori (penso ad esempio a Bonelli) ha diritti e contratti, noi abbiamo solo contratti di cessione dei diritti d’autore. Ci fanno firmare la cessione così il copyright appartiene solo alla Disney e, di conseguenza, non siamo tutelati. Siamo costretti a tutelarci da soli, ma la maggior parte di noi arriva con l’acqua alla gola. O sei stato capace di risparmiare durante gli anni del tuo lavoro o ti devi affidare alla bontà di coloro che continuano a farti lavorare.

Il nostro è un lavoro creativo, di conseguenza è soggetto all’approvazione e alla disapprovazione. Ogni volta che consegniamo qualcosa, il direttore o la redazione te lo possono anche contestare. Quindi un giorno ti possono persino dire che non gli servi più. Logicamente non lo fanno quasi mai, perché quando lavori da parecchi anni per la Disney si tende ad avere un occhio di riguardo. Fino a che, però, non cominci a perdere la mano, a consegnare lavori che non piacciono più alla redazione, com’è successo ultimamente anche ad altri colleghi “anziani”. E dunque devi contare suoi tuoi risparmi, altrimenti non hai nessuno che ti dà la pensione.

È uno sfruttamento del lavoro creativo. Il nostro contratto è una cessione unilaterale e senza contropartita, a parte il primo compenso a stralcio, in cui noi cediamo i diritti non solo per l’eternità, ma anche per l’universo. Per esempio, siccome ogni 5 anni la Panini rinnova la cessione dei diritti non bilaterale, è accaduto che l’ultimo contratto della Panini avesse una voce precisa di cessione: “non solo in tutto il mondo, ma per tutto l’universo”. Ti assicuro, è scritto così.

 

L’autore si è sfogato anche sulla gestione di Elisa Penna, direttrice di Topolino dal 1972 al 1994, con la quale evidentemente non aveva un rapporto idilliaco:

 

Il matrimonio di Zio Paperone, anteprima 01

Elisa Penna è sempre stata una furbacchiona, ha sempre tentato di appropriarsi di qualcosa, come si è appropriata dell’idea della creazione di Paperinik. Non posso saperlo perché non ero testimone, ma a me risulta che l’idea sia venuta a Guido Martina. Penna ha sempre fatto la furba. Essendo stata la vicedirettrice, è sempre riuscita a far scrivere su di sé queste piccole furbizie.

Tu immagina che Il matrimonio di Zio Paperone me lo sono pensato, inventato, scritto e disegnato quando stavo gli inverni a Madesimo a sciare. Io cercavo di non avere rapporti con Penna perché era una nevrotica pazzesca. Quando eri in redazione, se ti veniva fuori una battuta sbagliata che non gradiva, era capace di mettersi a gridare e a fare delle scenate. Fra l’altro, ha fatto finta anche di ispirarmi in altre storie. Purtroppo poi c’erano i soliti schiavetti, i redattori, che scrivevano queste cose e poi entravano nel senso comune, passando per vere.

 

De Vita ha anche rivelato una volta per tutte le fonti d’ispirazione della sua celebre Saga della spada di ghiaccio, da anni oggetto di discussione tra i fan:

 

Tutto quello che hanno scritto finora, e hanno scritto molto, al 90% è sbagliato. Tutti si sono sentiti in dovere di trovare le fonti d’ispirazione. Prendi Tolkien: l’avevo sentito nominare, ma non l’avevo mai letto, e stiamo parlando del 1982. Ho anche un figlio appassionato di Tolkien, però all’epoca neanche sapevo avesse scritto opere fantasy. Per quanto riguarda le fonti cinematografiche, la prima di tutte è Darth Vader di Star Wars. Il personaggio di cui esiste solo l’ombra, e la cui figura esteriore è richiamata da una maschera e un vestito, si riconduce a lui. Dietro a Darth Vader c’era un uomo mostruoso, ridotto male, ma pur sempre un uomo. Il mio, invece, era una specie di omaggio. Come fonti letterarie, invece, ne esiste una. L’anno prima avevo letto La Spada di Shannara, di Terry Brooks. Mi era piaciuto il modo epico di questo scrittore di affrontare il tema fantasy.

 

 

Fonte: Ventenni Paperoni