Nel corso dell’ultima edizione di Lucca Comics & Games abbiamo incontrato Claudio Sciarrone per una lunga chiacchierata in cui ci ha parlato del suo approccio al fumetto Disney, soffermandosi in particolare su La nuova storia e gloria della dinastia dei Paperi, saga in sei parti attualmente in corso di pubblicazione su Topolino.

Ringraziamo Jacopo Iovannitti e tutto lo staff del settimanale per la disponibilità.

 

Molti lettori vedono in te un grande sperimentatore, ma sappiamo che non sei molto d’accordo con questa definizione. Ci puoi raccontare il tuo approccio al disegno in ambito Disney?

La nuova storia e gloria della dinastia dei paperiContinuano a definirmi uno sperimentatore e un innovatore dal punto di vista grafico, ma in realtà il mio stile è la naturale evoluzione del percorso su cui sono stato instradato. Giovan Battista Carpi mi ha sempre messo davanti a delle sfide, anche quando stavo semplicemente apprendendo come disegnare i personaggi Disney. Lavoravo sulla fantascienza e lui mi chiedeva di disegnare delle foreste, e allora giù a fare tavole di alberi, alberi e alberi…! In qualche modo, già all’epoca, Carpi cercava di combattere lo stereotipo detto “standard Disney”:

“Topolino” deve uscire tutte le settimane, e giustamente non può esserci una storia di Cavazzano in ogni numero, perché altrimenti si appiattirebbe anche il bello. Il problema, però, è che si è preso per assodato un certo tipo di stile, simile – ad esempio – a quello di Massimo De Vita, che è stato clonato coscientemente in alcuni corsi didattici dell’Accademia Disney, così da avere gente da mettere a lavorare più velocemente e non avere problemi di reinterpretazione, definendo così una linea comune per tutti quanti.

Il livello dei disegnatori era molto più alto di quando ho iniziato io, però noi ci scornavamo con Carpi, che ci faceva rifare le tavole, era un rimestio continuo, e la nostra generazione è quella dei Freccero, Mottura, Celoni, Camboni… Eravamo un manipolo di persone con il coltello tra i denti, e ognuno ha tirato fuori uno stile personalissimo. Non puoi confonderci l’uno con l’altro, è impossibile.

L’appiattimento dello stile è dunque qualcosa con cui si dovrà fare i conti, prima o poi, secondo te?

Quel che temo è che un domani si proporranno solo ristampe, perché tanto un ragazzino di dodici anni non capirà la differenza tra una storia editata nel 2017 e una del 1982. Per questo mi preme che “La nuova storia e gloria della dinastia dei Paperi” sia riconoscibile come figlia del 2017, perché io stesso spero di continuare a maturare in chissà quale direzione.

Sembrerò anche un pioniere, ma mi auguro che un ragazzo di vent’anni riesca a scardinare quanto ho fatto, perché è quello che ho cercato di fare io, ai tempi, sempre nel rispetto della tradizione. Lo diceva anche Walt Disney: “Innovare nella tradizione”. Ognuno deve portare il suo mattoncino.

Spero veramente di risultare sorpassato a un certo punto, perché vorrà dire dire che questa mentalità avrà contaminato anche altri colleghi. Per l’autoconclusiva in cui a Topolino clonano l’account di Twitter, dei lettori sono venuti a dirmi: “Questa è una storia speciale!”. In realtà, no: è che anche nelle storie “normali” cerco sempre di mettere qualcosa di diverso.

Oggi, cosa significa davvero “innovare” in ambito Disney?

La nuova storia e gloria della dinastia dei paperiCito di nuovo l’esempio di Carpi: stavo disegnando i classici mattoncini a vista nelle vie di Paperopoli, anche per riempire un po’ i muri alle spalle dei personaggi che parlavano, e lui mi disse: “Perché fai questi mattoni?”. Si erano sempre fatti, li avevo sempre visti, e nemmeno mi ero mai domandato il motivo: gli artisti della sua generazione disegnavano quello che vedevano, erano i muri bombardati del dopoguerra, mentre ai miei tempi non si vedevano più da nessuna parte. Il re era nudo, e così mi sono reso conto che facevo quella cosa semplicemente perché era sempre stata fatta.

Chendi, invece, mi diceva: “Guarda che Cavazzano non è mica diventato Cavazzano perché aveva Cavazzano da copiare! Lui veniva a Milano per consegnare le storie in redazione e si portava via borse di libri saccheggiando le librerie attorno”. Da quel momento ho cominciato a comprare un sacco di libri di Fotografia (ai tempi iniziavano a uscire i “The Art of” dei film, che costavano un salasso). Non c’era Internet, per cui se dovevo disegnare una foresta guardavo una foto su quei volumi e poi la rielaboravo a modo mio. Ero un ragazzo di vent’anni, non potevo certo fare le cose che facevano Cavazzano e Zemolin: le osservavo e cercavo di fonderle con la mia interpretazione di ciò che vedevo.

Purtroppo, mi rendo conto che per quelli più giovani l’insieme di informazioni con cui vengono bombardati è in realtà un rumore bianco: tutto gli passa davanti e non riescono a esserne davvero influenzati. Mi domando come gli stessi creativi possano uscire dal cinema, magari dopo aver visto un film di fantascienza moderno, senza prendere spunto e rivoluzionare quello che stanno facendo, e vadano invece su Facebook a postare una recensione. Io ogni volta che vedo un film che mi entusiasma cerco di capire cosa mi può tornare utile. Anche dietro ai film peggiori c’è il lavoro di migliaia di persone, e i concept artist fanno delle cose incredibili.

Da questo punto di vista, come ti sei approcciato a “La nuova storia e gloria della dinastia dei paperi”?

Mouse RunnerLa sceneggiatura di “La nuova storia e gloria della dinastia dei paperi” prevedeva sei vignette a tavola, che potevano essere singole o doppie. Poteva anche essere interpretata con una gabbia canonica da “Topolino”. Alessandro Sisti ha un modo di scrivere denso ma che lascia anche molto spazio all’interpretazione, quindi mi sono trovato a mio agio. È stato come guardare un film, chiudere gli occhi e immaginarselo nuovamente.

Io leggo le tavole, cerco il punto focale di quella pagina specifica e attorno a quello costruisco tutta la struttura: deve risultare fluida da leggere. Sto cercando di non metterci troppi dettagli, perché appesantiscono il ritmo. In una scena d’azione non puoi perdere un’ora a osservare tutti i particolari, va in contrasto con la dinamica richiesta dalla narrazione. Al contrario, se ci sono scene di dialogo, inserisco più dettagli, in modo che l’occhio si soffermi e rallenti automaticamente.

In ogni puntata si andrà in un futuro differente e si vedrà una Paperopoli in continua evoluzione. Non c’è mai lo stesso scenario, un po’ come all’inizio di “Futurama”, con Fry congelato e la città che cambia. Cominceremo dalla Paperopoli normale e poi ci sposteremo sul mare, perché verranno costruite delle piattaforme sull’oceano, tipo Dubai; in seguito andremo nella ionosfera e nello spazio, sempre più in alto, così che diventi un’avventura galattica. Di pari passo cambieranno l’abbigliamento, le astronavi, le tute spaziali e la tecnologia che verrà utilizzata. Ogni volta sarà come ripartire da zero.

Hai preso spunto da qualche opera in particolare per questa storia dalle venature così fantascientifiche?

La nuova storia e gloria della dinastia dei paperiHo raggruppato gli elementi della fantascienza che conosco, collegando per logica film e videogiochi. Banalmente, c’è la fantascienza alla “Blade Runner” e quella alla “Guerre Stellari”; nel mezzo c’è quella di “Oblivion”, il film con Tom Cruise con le piattaforme sopra alle nuvole, che mi ha ispirato per un elemento in particolare.

Cominceremo con dei riferimenti a “Il Quinto Elemento”, perché è quello più vicino a noi – a causa della società densa, massificata – per arrivare poi all’ultimo episodio, per il quale mi sono ispirato alla serie di videogiochi “Titanfall” nel realizzare alcune tute spaziali con caschi luminescenti.

Mi ricordo quando ho portato i primi bozzetti di queste tute in redazione, la direttrice De Poli mi ha detto: “Non possiamo cominciare subito dal sesto episodio?”. Erano talmente fighe che volevano vederle subito, ma è giusto osservare un’evoluzione. Ho affrontato il lavoro come se fossero sei storie diverse: ogni volta si ricominciava, a compartimenti stagni. Prima di partire davvero, ho avuto circa un mese per cercare in Rete il materiale di riferimento.

Dal punto di vista visivo, cosa ti ispira per il tuo lavoro nella vita di tutti i giorni? 

Io osservo un po’ tutto, anche i tessuti nei negozi di stoffe. Ho un cellulare che fa fotografie ad altissima definizione, perché qualunque texture mi può ispirare: così posso catturarla per poi rielaborarla.

Nella storia di cui ti parlavo prima, in cui viene rubato l’account a Topolino, c’è un riferimento alla sede americana di Twitter. Ho visto che ci lavorano un sacco di ragazzi giovani e hipster: invece di fare tutti i pannelli normali ho trovato un pannello su Photoshop in cui, sovrapponendo diversi livelli, ottieni l’effetto delle venature del legno. Sembrava legno in teak ma in realtà erano delle striature tirate quasi casuali, con l’effetto prospettico dei pavimenti. A scena finita sembrava che avessi fatto chissà cosa! Bisogna cercare di ottimizzare nel modo più veloce ogni effetto, perché vanno sempre considerate le scadenze: non puoi cesellare ogni vignetta come se fosse la Cappella Sistina.

A questo proposito, ho abolito del tutto i neri e i tratteggi che farei se stessi inchiostrando: faccio un livello di ombre, così quando poi la tavola viene colorata con le tinte piatte appaiono più tridimensionali, un po’ come gli acetati delle serie giapponesi.

In quest’ultima saga, nello specifico, ci sono dei particolari effetti di luminescenza, quindi ho aggiunto altri livelli oltre alle ombre. Quando mi faccio prendere la mano coloro personalmente delle tavole intere, che poi servono da traccia. Solitamente, invece, bastano le mie indicazioni e qualche foto di riferimento, e in seguito mi rimandano le tavole per gli ultimi accorgimenti.