Certi nomi del mondo del Fumetto sono leggendari, e uno di questi è certamente quello di Chris Claremont. Lo sceneggiatore britannico ha guadagnato fama imperitura con il suo ciclo di storie sui mutanti Marvel durato ben sedici anni, ma non si accontenta di vivere nel passato: è recentemente tornato a scrivere i suoi amati personaggi, ad esempio nello speciale sui Nuovi Mutanti firmato insieme a Bill Sienkiewicz.

X-Chris continua inoltre a seguire e commentare le vicende del sottobosco mutante e del mondo reale con la sua sensibilità e le sue lucide analisi, come ben sa il vastissimo pubblico di appassionati accorso alla recente Lucca Comics & Games 2019, dove era ospite di Panini Comics.

 

 

Le creazioni di Chris Claremont non sono da meno: grazie al rilancio delle testate mutanti orchestrato da Jonathan Hickman sotto l’etichetta Dawn of X, sono tornate sotto i riflettori come franchise di riferimento del panorama supereroistico.

Un momento più opportuno che mai per fare il punto della situazione sui fumetti, sui film e sugli immancabili parallelismi tra saghe mutanti e mondo reale, che Claremont ha espresso nel corso di una lunga intervista concessa al portale statunitense Newsarama, a cominciare dal segreto dietro al rinnovato successo degli X-Men, tra il recente restart e l’acquisizione dei loro diritti da parte dei Marvel Studios:

 

X-Men: La Saga di Fenice Nera su Anteprima

Claremont – Probabilmente dipende dal fatto che molta gente leggeva gli X-Men da giovane, quarant’anni fa o giù di lì, quando io scrivevo le storie, adesso si trova nella posizione di poter prendere delle decisioni in merito agli altri media. Tutto evolve, e nel nostro caso chi è cresciuto leggendo i fumetti, amandone la storia e i personaggi, ora può dire la sua.

Di tutti i personaggi e le storie che Dave Cockrum, John Byrne, Paul Smith e io abbiamo raccontato sono state a malapena sfiorate la superficie e la struttura [nei film]. Quello che bisogna tenere a mente è che tutta l’era attuale di film supereroistici è iniziata con X-Men, nel 2000, e la cosa ha colto la 20th Century Fox del tutto alla sprovvista. Non si aspettavano un weekend d’apertura a nove cifre, non era mai accaduto per un film tratto da un fumetto. Sono sicuro che sia stato questo ad aprire la strada a Spider-Man e poi ad Iron Man, un paio d’anni dopo, e sappiamo tutti a cosa Iron Man abbia portato poi. Se c’è un gruppo di personaggi maturo per essere maggiormente approfondito, questi sono gli X-Men.

Gli X-Men sono una sfida particolare, se considerate il modo in cui la Marvel ha prodotto i film dei Vendicatori: prima hanno lanciato i personaggi nei loro film personali – Iron Man, Thor, Captain America – e poi li hanno riuniti in Avengers. Quindi il pubblico si è gradualmente innamorato di loro e del mondo in cui vivono nel corso di una serie di storie. Occhio di Falco è comparso in Thor. L’abbiamo a malapena visto sullo sfondo, ma c’era. La Vedova Nera ha avuto un ruolo in Iron Man 2. Kevin Feige ha costruito e ampliato quel mondo un pezzo alla volta, a ogni passo della storia.

Con gli X-Men deve accadere qualcosa di simile… con la differenza che si tratta di un unico concetto. Non è possibile fare un film su Ciclope, poi uno su Tempesta, uno su Nightcrawler e così via. Bisogna trovare un modo per portare la scuola di Xavier e gli X-Men sullo schermo come concetto unificato, e allo stesso tempo costruire il loro mondo un pezzo alla volta, affinché il pubblico possa innamorarsi di loro allo stesso modo.

Phoenix Resurrection #1, variant cover di John Byrne

Come narratore, il modo ideale per farlo sarebbe seguire il percorso tracciato dalla HBO con Il Trono di Spade, dove si hanno a disposizione dodici episodi (dodici numeri, se vogliamo) con cui creare il mondo e introdurre i personaggi, così da permettere al pubblico di innamorarsi di loro lungo la strada.

Il mio problema con entrambe le iterazioni di Fenice Nera portate sullo schermo, sia l’originale di Brett Ratner che la nuova versione di Simon Kinberg, è che non credo sia possibile raccontare la storia in modo efficace in novanta minuti. Si può raccontare una buona storia in quell’arco di tempo, e credo che Simon l’abbia fatto, ma non evoca ciò che abbiamo prodotto Dave, John, Paul e io: non c’è l’impatto che si otterrebbe conoscendo i personaggi e le loro dinamiche, e non è possibile svilupparli in modo incisivo in questa forma narrativa.

La sfida consiste nel fatto che un canone come gli X-Men è più vicino a Harry Potter e Hogwarts, o Il Trono di Spade. Ha bisogno di tempo e di spazio per evolversi e per coinvolgere il lettore e lo spettatore, per poi fornirgli un risultato che sia degno del tempo che ha investito nella storia. Il modello migliore per narrare una storia del genere è farlo con una serie TV, per rendere giustizia a un’evoluzione narrativa graduale, come ha fatto la HBO con l’adattamento de Il Trono di Spade. Va fatta in una sequenza episodica simile, in una serie di otto o dodici episodi.

Quanto al fatto che possa funzionare o meno su qualcosa come Disney+, riparliamone quando il servizio sarà attivo [L’intervista risale a prima dell’esordio della piattaforma – NdR] e vedremo come funziona. Accedere ai servizi streaming per guardare una serie come quella potrebbe essere un ostacolo, se il prodotto non vale l’investimento. Nella vita il tempo non è mai abbastanza.

 

Il discorso si è poi spostato sui fumetti, con l’intervistatore che ha chiesto a X-Chris dei suoi prossimi progetti legati ai Figli dell’Atomo e di quali siano, oggigiorno, le parti fondamentali del loro mito:

 

X-Men: Black #1, variant cover di J. Scott Campbell

Claremont – Ci sono sempre delle storie che mi piacerebbe raccontare, ma non sono io ad assegnare gli incarichi.

Mi spezza il cuore dirlo, ma [quello degli X-Men] è un concetto più necessario e rilevante che mai nei tumulti del mondo attuale. Poco tempo fa ho scritto una storia incentrata su Magneto [X-Men: Black – Magneto – NDR] dove gli Stati Uniti, applicando l’atto di controllo dei mutanti, rastrellavano le loro famiglie e le imprigionavano in Nuovo Messico “per il loro bene.” I bambini venivano messi in una struttura, i genitori in un’altra, e restavano rinchiusi in quel modo finché non si fosse deciso se costituivano o meno una minaccia per la nazione, e se la risposta fosse stata sì, si sarebbero occupati di loro come previsto dalle leggi federali. Magneto parla delle sue esperienze da giovane a un gruppetto di persone in un bar, dove tutti hanno sentito la notizia dell’atto di controllo sui mutanti, e c’è gente che dice: “Era ora, dobbiamo fare qualcosa per tutti quei mutanti.” Magneto si dirige alla struttura, viene identificato come mutante, ha inizio uno scontro e ovviamente sconfigge i suoi nemici e smantella il tutto.

Il punto è: se un gruppo può essere trattato in questo modo in base alle decisioni del governo, cosa impedisce che altri gruppi vengano trattati allo stesso modo? In essenza i mutanti hanno sempre rappresentato i reietti e i derelitti. Per quanto combattano, per quanto si sforzino per vivere assieme agli umani, questi li respingono sempre con nuove leggi e nuovi modi per fare loro del male. Quello che intendo dire è che quando facciamo dei passi in avanti, purtroppo non sono mai irreversibili. Quindi come agiamo nei confronti della gente a cui viene fatto del male in questo modo? Come ci rivolgiamo ai nostri concittadini che restano coinvolti nel fuoco incrociato?

Non credo esista una risposta facile, ma credo sia una domanda che deve essere posta. E nel bene e nel male, in base alle circostanze, gli X-Men sono lo scenario del mondo del Fumetto in cui queste domande vengono poste.

 

 

Fonte: Newsarama