In occasione di Cartoomics 2019, abbiamo incontrato Nicolò Pellizzon, autore della tetralogia fantasy Haxa. Durante la chiacchierata con lui ci siamo concentrati sul secondo volume BAO Publishing dell’opera, Ombre d’acqua, tra fonti d’ispirazione, cultura nipponica e cosa ci attende nei prossimi appuntamenti.

 

Ciao, Nicolò, e bentornato su BadComics.it.
Volevo innanzitutto parlare dei dettagli di cui è ricca la tua opera: ci sono numerose schede di approfondimento che spiegano in maniera più approfondita l’ambientazione e, tramite i tuoi canali social, hai condiviso spesso immagini di elementi del design dei personaggi che sono stati tolti dalla versione definitiva. Sono stati fatti molti tagli in fase di editing? Mentre lavoravi all’opera hai mai temuto che non ci fosse abbastanza spazio per dire al lettore tutto ciò che ritenevi necessario?

È stato tolto tantissimo in fase di editing, ma già quando ho cominciato a scrivere la storia sapevo che sarebbero stati tagliati molti elementi. “Haxa” è un lavoro in cui tutto il mondo immaginario deve essere costruito da zero, quindi è ovvio che non possa comparire nei volumi tutto quello che ho creato. Non ho lavorato su cose inutili, tutto ciò a cui ho pensato è atto a costruire un background più realistico possibile. Per esempio, in “Haxa”, esiste la materica. Una sostanza che ti permette di costruire e decostruire oggetti, pertanto ho pensato a come sarebbe cambiata la società in seguito a un’invenzione così rivoluzionaria, e sono andato a lavorare su questo tipo di aspetti della storia, che spiegano ciò che è accaduto tra gli anni in cui “Haxa” è ambientato e i giorni nostri.

C’è una solida struttura di base e poi ci sono elementi minori – che talvolta sono quelli più interessanti – che invece emergono in maniera più libera, più accidentale. Sapevo fin dall’inizio che molte di queste cose non sarebbero arrivate nel progetto finale. Una delle recenti illustrazioni che ho condiviso sul mio profilo di Instagram, che raffigura un quadro di donne con abiti medievali, è un’idea che ho avuto all’inizio e che doveva apparire nella prima versione di “Haxa”, ma poi non è stata inserita. Almeno per ora.

Hai scelto di usare un cast quasi interamente femminile. Le ragazze protagoniste hanno un carattere deciso ma non temono di mostrare le loro fragilità, e ciò rende molto credibili le interazioni tra loro. A cosa ti sei ispirato per crearle? Hai incontrato delle difficoltà nel gestire questi personaggi inseriti in un contesto fantasy?

Innanzi tutto, quando lavoro ai personaggi non penso subito al loro genere e mi preoccupo in un secondo momento di decidere chi sia maschio e chi sia femmina. Non credo ci sia alcun problema nel fatto che siano quasi tutte ragazze, perché per me l’importante è avere personaggi con i quali identificarmi. Forse è un po’ presuntuoso da parte mia, che sono un uomo, ma trovo abbastanza facile scrivere personaggi femminili perché sono sempre stati raccontati in modo stereotipato. Spesso basta semplicemente partire dal presupposto che non importa se un personaggio sia maschio o femmina, dato che alla fine facciamo tutti le stesse cose, abbiamo tutti delle qualità e dei difetti. Soprattutto nel futuro che ho immaginato in cui sono state superate (forse quasi del tutto) le differenze di genere.

In realtà, anche se “Haxa” è una storia di fantascienza con un’ambientazione articolata, una cosa che mi interessa in modo particolare sono le relazioni tra i vari personaggi e come esse si inseriscono in un contesto globale: quello che accade loro è insignificante per il resto del mondo, ma è centrale per la lettura che fanno di questo mondo.

A proposito delle tavole in cui rappresenti il Metatron: quando le ho viste, mi sono venuti in mente un sacco di riferimenti all’animazione giapponese, come “Pretty Guardian Sailor Moon” o “Saint Seiya – I Cavalieri dello Zodiaco”. Questi personaggi dall’aspetto misterioso emergono da uno sfondo nero dall’aspetto onirico. C’è effettivamente un’ispirazione nipponica dietro a questa scelta?

C’è assolutamente. Il vestito del Metatron, per esempio, è ispirato a un indumento di “Bloodborn”. Gli altri personaggi raffigurati assieme al Metatron sono tutte figure misteriose, ma le maschere che portano hanno una funzione più ideologica e religiosa piuttosto che pratica, e questo dovrebbe emergere meglio nei prossimi volumi.

Il Giappone è molto presente nella tua storia, soprattutto nel lessico dei personaggi. Qual è il tuo rapporto con la cultura giapponese? Ci sono opere che ti hanno ispirato e che ti sentiresti di consigliare ai lettori di BadComics.it?

A me piace molto la cultura giapponese, in particolare sono affascinato dal fatto che sono una nazione che ha vissuto fino a fine Ottocento in completo isolamento. Quando ne sono usciti e si sono aperti al resto del mondo, hanno comunque mantenuto le loro diversità, che talvolta rendono i giapponesi alieni agli occhi delle altre culture. Una cosa che mi piace molto guardare è “Terrace House” [reality show giapponese, disponibile su Netflix – NdR] dove emergono delle caratteristiche delle loro interazioni personali che sono molto interessanti, perché diverse da come le percepiamo noi occidentali. Mi ha colpito in particolare uno dei ragazzi della serie, che ha detto di voler “trovare un amore per cui valga la pena morire”, e per farlo ci prova con tutte le ragazze. Dal punto nostro punto di vista potrebbe essere difficile prenderlo sul serio, ma nella serie viene detto che ha questo comportamento perché sta cercando la ragazza giusta, e quindi deve valutare bene le sue possibilità. Queste cose mi affascinano perché, guardando lo show si comprende il loro approccio alle situazioni e acquista tutto un senso diverso.

Per quanto riguarda l’ispirazione, sicuramente “Neon Genesis Evangelion” e “Pretty Guardian Sailor Moon”. C’è molto di Sailor Moon in “Haxa”.

Su BadComics.it abbiamo recentemente parlato della tua prima opera, “Lezioni di Anatomia” (edita da Grrrz Comic Art Books), che è interamente in bianco e nero, mentre “Haxa” è piena di colori psichedelici. Con cosa ti senti più a tuo agio mentre lavori?

Dipende. Con “Haxa” mi sentivo più a mio agio con i colori, anche se, sistemando i bozzetti di quest’opera per condividerli sui social, mi sta piacendo molto ritornare anche al bianco e nero. Sono due cose diverse, perché utilizzando i colori il lavoro è più descrittivo, più realistico, e il lettore viene vincolato a un immaginario più specifico. Il bianco e nero, invece, lascia più spazio all’immaginazione e le immagini diventano archetipe molto più facilmente. Per “Lezioni di Anatomia” era importante che fosse così.

Nel caso di “Haxa”, l’idea di usare i colori è stata veicolata dal fatto che stavi scrivendo una storia fantasy, oppure è stata la voglia di sperimentare con i colori che ha ispirato il fantasy?

È stato proprio perché stavo lavorando a un fantasy e volevo portarlo a un realismo estremo. Se ci guardiamo attorno vediamo quanto sia tutto molto colorato, e portare questa caratteristica in un’opera artistica ne comporta anche una lettura estetica. Gestendo i colori in un lavoro come “Haxa”, il mio scopo era essere ambivalente: è realistico perché vincolo l’immaginazione del lettore in questo modo, però allo stesso tempo non lo è, perché è in sovraccarico di significati.

Sulla quarta di copertina del secondo volume di “Haxa” c’è questa frase: “La società ci vuole divisi, ma la magia che dovrebbe allontanarci è in realtà la forza che ci unisce”. Si sta avanzando a grandi passi verso la guerra, quindi si potrebbe affermare che la magia è ciò che sta dividendo le persone. C’è un legame tra questo e il fatto che gran parte dei personaggi che si stavano unendo nel corso dei primi due volumi si siano separati?

Ci sono due cose importanti da dire in questa risposta. Essendoci principalmente personaggi femminili, questo ha influenzato molto le relazioni che ci sono tra tutti loro. Per forza di cose, i maschi sono pochi e sono dei personaggi secondari. È successo un po’ il contrario di ciò che accade in quei film dove sono tutti uomini e i personaggi femminili sono relegati a un ruolo secondario. Non so ancora esattamente se nei prossimi volumi continuerà a sembrare che ci sia una lettura negativa dei legami tra le persone. C’è sicuramente una componente di questo tipo perché in “Haxa” l’individualismo è portato all’estremo, ma nei prossimi volumi si vedrà come anche quello relativo alle relazioni è in realtà un discorso molto più ampio, trascendentale, meno legato all’amore romantico tra due persone e più a quello empatico tra diverse entità e individui. Sarà positivo, anche se molto tragico.

Nei prossimi volumi dobbiamo dunque aspettarci delle atmosfere più cupe?

Sì, si incupirà molto! In realtà mi piacerebbe tantissimo farli in bianco e nero, però non credo che avrebbe senso. Sto lavorando adesso al terzo volume, e se ti facessi vedere l’abbigliamento dei personaggi, pur restando molto vicino a quello di adesso, le protagoniste sono tutte molto più “incattivite”. Per ovvie ragioni, vista la conclusione del secondo volume.

Oltre al terzo volume, stai lavorando ad altri progetti?

Essendo impegnativo lavorare a un progetto lungo e continuativo come “Haxa”, al momento sto facendo altro, ma lontano dal mondo dei fumetti. Non so che forma prenderanno le cose a cui sto lavorando. Continua a piacermi tanto disegnare, perciò faccio molte cose, ma non so ancora se e in che modo verranno mai mostrate al pubblico.

 

Nicolò Pellizzon, Cartoomics 2019