In occasione dell’ultima edizione di Cartoomics, abbiamo potuto intervistare il fumettista spagnolo Alvaro Ortìz, autore di Murderabilia. Presto potrete vedere, sulle pagine di BadComics.it, la nostra videorecensione della sua sorprendente, particolarissima e affascinante graphic novel, ricca di umorismo macabro e sorprendente per le atmosfere grafiche, molto indie.

Con lui, grazie alla gentile collaborazione dello staff BAO Publishing e alla preziosa opera di interpretariato di Lorenzo Bolzoni, ci siamo goduti la chiacchierata che state per leggere.

 

Grazie per essere con noi su BadComics.it, Alvaro. Benvenuto!
Da dove viene la premessa di “Murderabilia”? La storia dei gatti e dei collezionisti è presa dalla realtà? Da fatti di cronaca?

L’idea iniziale era quella di una storia basata su un ragazzo che vende dei gatti per fare dei soldi. Poi è nata quella ispirata al murderabilia, il collezionismo molto macabro e morboso di oggetti che hanno a che fare con gli omicidi. Sorprendentemente, c’è un sacco di gente che la condivide. Se cerchi su Internet trovi parecchia gente che vende e scambia cose di questo genere, soprattutto per quanto riguarda i serial killer. C’è un sottobosco enorme.

La storia dei gatti che fanno quel che fanno nella storia è accaduta effettivamente in un piccolo paese spagnolo dove andavo in vacanza d’estate. Mi ha colpito tantissimo e l’ho infilata nella storia. Quindi non so se si possa parlare di un’ispirazione tratta da fatti di cronaca nera, ma certamente siamo molto vicini alla realtà.

Hai un modo bizzarro di disinnescare il male: un po’ con l’umorismo e un po’ come lo stile di disegno. Dalla lettura, l’impressione è che tu voglia raccontare la banalità delle cose, della cattiveria, della malvagità, nella storia.

Murderabilia, copertina di Alvaro Ortiz

Ho un approccio alla storia molto documentaristico, racconto senza sovrastrutture narrative, senza enfatizzare. Per cui posso raccontare con lo stesso atteggiamento la storia di un personaggio che va a far la spesa e quella di un altro che compie un crimine efferato. Questo permette al lettore di aggiungere il proprio, di completare il significato della storia. La mia è proprio una volontà di lasciare del tutto libero il lettore di interpretare gli eventi. Al termine di “Murderabilia” c’è una svolta narrativa che avrei potuto sviluppare in molte più pagine, mentre io mi sono limitato a mostrarla, così da lasciare a voi il compito di decidere cosa significa.

Non c’è una particolare ricerca da parte mia di questo umorismo nero, mi viene naturale. Già in passato mi sono trovato a utilizzarlo in un’altra mia opera, che in Italia non è stata pubblicata, e il pubblico ha apprezzato molto. Non è uno stile che ho creato, ma qualcosa che viene da sé, dal mio modo di raccontare. Nel mio prossimo libro, invece, sono andato ad esplorarla con un po’ più di consapevolezza. In generale, mi stupisce che i lettori lo apprezzino così tanto sin dalle prime opere.

Il mio stile grafico, un po’ accattivante e sintetico, mi permette di raccontare delle storie che vanno a stridere ancora di più con il grottesco. Genera straniamento nei lettori. Ma anche qui, si tratta del mio stile naturale, con cui mi sento molto comodo. La sintesi delle due cose è nata in maniera naturale. Lo stile di disegno è il mio, non lo cambio a seconda della storia. Però c’è questo gioco tra le immagini attraenti, carine, e una storia molto oscura all’interno. Anche i due gattini in copertina, molto carini, si rivelano con sorpresa protagonisti di un evento macabro. Si crea un depistaggio, diciamo.

Il personaggio di Malmo è un uomo senza direzione che insegue un sogno per cui non ha gli strumenti e le competenze. Che vive un po’ a caso. Credi sia un simbolo dei nostri tempi?

Effettivamente, la figura di Malmo riflette un po’ una situazione propria dei giorni nostri, in cui si sottovaluta lo sforzo che sta dietro la creatività. Molti vogliono raccontare storie senza pensare alle parecchie ore di lavoro che ci sono dietro, se si intende farlo in modo professionale.

Non è, però, una critica radicale alla società. Ho raccontato questa storia durante una mia personale crisi creativa, mentre cercavo l’ispirazione per un nuovo libro. Quindi si può leggere anche come una mia analisi di quanto siamo disposti ad accettare pur di trovare quell’ispirazione. Cosa siamo disposti a fare pur di trovare una storia da raccontare, anche se dobbiamo vivere fatti e compiere azioni lontane dalla nostra normalità, dalla nostra quotidianità? Malmo è un ragazzo chiuso nella sua stanza e, seguendo la sua voglia di raccontare, si infila in situazioni estreme che lui stesso non avrebbe mai potuto immaginare.

La storia è piena di humour nero. Hai dei riferimenti per questo tipo di umorismo, qualcuno a cui ti ispiri in particolare?

Sicuramente, un riferimento che spesso mi citano è quello ai fratelli Coen. Il che mi va benissimo, ma me lo hanno detto talmente spesso che non ne posso più di sentirmelo dire, anche se è vero che nel loro umorismo nero ritrovo molti elementi del mio. Il mio film dei Coen preferito è “A Simple Man”, per esempio, che mi è spesso utile come riferimento stilistico.

E per quanto riguarda il tuo stile di Fumetto, molto indipendente nelle atmosfere? Chi sono gli autori che vedi come un’ispirazione?

Domanda difficile a cui rispondere, perché non ho riferimenti precisi. Faccio meno fatica a trovare ispirazioni nella Letteratura e nel Cinema. Sono attento a tutto lo spettro della produzione attuale, leggo un po’ di tutto e tutto mi influenza, anche se non si vede poi nelle mie storie. Ad esempio, Mike Mignola è un autore che mi ispira tantissimo, anche se non credo sia immediatamente visibile. Niente di specifico, quindi. Credo di essere riuscito a maturare uno stile personale.

L’ambientazione è quella di un piccolo paese americano della provincia, lontano dalla civiltà e un po’ ignorante. Un po’ da America di Trump. Come mai questa scelta?

No. Non è ambientato negli Stati Uniti. Infatti non lo dico mai, apposta per confondere un po’ il lettore.

Vero. L’ho dato per scontato io per via di alcuni nomi dei personaggi.

Sì, è una cosa voluta. Ma in generale volevo raccontare una realtà di vita un po’ chiusa, becera e ignorante, in effetti. I miei riferimenti, però, sono molto più vicini, appartenenti al mondo europeo e latino. Verso il finale, quando appaiono le maschere tradizionali, ad esempio, il mio riferimento culturale è assolutamente europeo. Anche qui mi piace molto depistare i lettori.

 

Alvaro Ortìz e Claudio Scaccabarozzi a Cartoomics 2019