Il prossimo 24 novembre, arriva nelle fumetterie americane The Other History of the DC Universe. I motivi di interesse del progetto sono molti e ve ne abbiamo parlato recentemente. Uno dei più scontati è che, per le matite di Giuseppe Camuncoli, a scrivere questa sorta di riassunto degli eventi più importanti dell’Universo DC c’è un premio Oscar come John Ridley, che ha ricevuto la statuetta dall’Academy per 12 anni schiavo.

 

 

Ridley non è nuovo al mondo del Fumetto, soprattutto dell’animazione tratta dai comics, per aver lavorato al cartoon dedicato alla Justice League e, soprattutto, a quello di Static Shock, uno dei personaggi più rappresentativi di Milestone Comics, etichetta fumettistica creata da artisti afroamericani per dar vita a super eroi legati alla propria cultura e alle aspettative del pubblico di colore degli Stati Uniti. Non stupisce quindi che l’autore annoveri diversi temi legati alla diversità all’interno di questo suo importante progetto per DC Comics. Ecco le sue dichiarazioni più interessanti in merito, a partire dal fatto che l’eroe Fulmine Nero sia una figura centrale della storia.

 

John Ridley – Ci sono molti eroi che hanno il loro momento di gloria e poi crollano, a seconda di quanto vendano le loro serie. In particolare, succede ai personaggi di colore. Ci sono stati molti sforzi per elevarli, renderli importanti, integrarli nel contesto. Ma in termini di densità culturale, sfortunatamente molti di loro non hanno mai avuto il successo sperato.

Other History of the DC Universe

Persino Pantera Nera, per quanto tutti abbiamo visto cosa sia successo con il suo film. La gente ha certamente sostenuto il personaggio, ma il punto è che era in giro da un sacco di tempo. Sfortunatamente, con un sacco di altri eroi di colore, di figure femminili, di personaggi LGBTQ, il risultato è quello di dar vita a qualcosa che ha successo in contesti molto ristretti e connotati, invece della percezione che siano personaggi come tutti gli altri, appartenenti alla cultura prevalente.

Quando ero un ragazzino, Black Lightning era il personaggio di colore della DC Comics che non solo conoscevo bene, ma che aveva una serie tutta sua. Per me, vedere un eroe che aveva il mio stesso aspetto, che era un insegnante come mia madre, che cercava di fare la differenza per la sua comunità anche nella vita privata, un eroe di livello metropolitano, era un’esperienza molti interessante. Finalmente un personaggio diverso dagli altri, ma non diverso da me.

Ecco perché, quando sono stato chiamato a scrivere The Other History, per quanto John Stewart sia un personaggio più datato di Jefferson Pierce, ho pensato subito a quest’ultimo, perché ha avuto un effetto più importante nella mia infanzia di lettore di comcis. Ci sono degli aspetti, come il fatto che sia un padre, o il fatto che pur essendo un nero abbia dei valore un po’ più conservativi della media, che lo rendevano molto interessante e la figura giusta da cui partire con questa storia.

 

Ridley è stato stimolato sul fatto che molti personaggi afroamericani abbiano poteri legati all’elettricità: Tempesta, Static Shock, Fulmine Nero. Persino Miles Morales. Una stranezza in cui Ridley non vede un pregiudizio etnico, simile a quello che lega molti personaggi asiatici ad abilità legate alle arti marziali. Secondo lui, si tratta di una coincidenza innocua, almeno apparentemente. E certamente, un aspetto che non gioca alcun ruolo in The Other History of the DC Universe, vicenda che rivive i grandi eventi, fatti di crisi, entità cosmiche e ultraterrene dalla prospettiva di un uomo che appartiene a una minoranza etnica come Fulmine Nero.

 

John Ridley – Per me, fin da subito, è stato meno importante richiamare alla memoria eventi come Crisi sulle Terre Infinite e più importante esplorare il difficile rapporto tra un uomo di colore e Superman. Se sei un afroamericano devi affrontare il pregiudizio, l’intolleranza. Hai di fronte un tizio che è letteralmente un alieno ma che, per effetto del suo aspetto esteriore, del suo viso e della foto sul passaporto non subisce nulla di tutto questo.

E quando Batman chiama il proprio gruppo Outsiders, definendolo come l’insieme di quei lottatori reietti che stonano con il resto della Justice League, questa cosa come viene percepita da un eroe di colore, da un eroe giapponese o da Geo-Force, che è anche lui uno straniero? Sono tutti degli Outsider? E come li fa sentire tutto questo?

 

The Other History of the DC Universe è quindi l’altra storia dell’Universo DC in questo senso: c’è un cambio di prospettiva importante, che sfugge all’opinione condivisa e più immediata sugli eventi cardine delle storie della casa editrice, riviste secondo valori non previsti e che parlano di pluralità di visione, di minoranze. La forza di questo progetto sta nel fatto che l’oggetto della narrazione è fatto di trame arcinote al pubblico, molto vive nella memoria e facili da richiamare, ma mostrate sotto una luce del tutto nuova.

 

John Ridley – Allo stesso tempo, ci saranno anche avvenimenti reali nella storia. Grandi eventi come la vittoria a Wimbledon di Arthur Ashe, la crisi degli ostaggi in Iran. Se la gente non sa cosa fosse l’Ordine Esecutivo 9066, avrà modo di andare a cercarselo. Se non sa chi fosse Vincent Chin, dovrà andare a informarsi. Abbiamo fatto lo sforzo di trattare gli eroi e i personaggi come persone reali e di chiederci come fossero le loro vite. Non solo in quanto giustizieri, ma come persone.

 

Ridley ricorda una storia che lesse da bambino, la prima serie che abbia mai letto. Batman e Superman finivano in un gulag che somigliava molto a quelli sovietici, l’uno privo dei propri gadget e l’altro senza poteri. Lo sceneggiatore ricorda la forza di quelle immagini, dure e potenti senza scendere nella violenza troppo pesante, ricorda il fatto che fosse ricca di temi politici e fortemente connessi al mondo reale.

 

Ridley – Quel che ricordo in maniera più vivida è il fatto che leggendola mi sentii sinceramente infastidito, lo sentivo nello stomaco. Credo che Curt Swan fosse il disegnatore, ma non si sentiva nulla della leggerezza delle storie di Batman o Superman che mi erano note. Per me, leggere quelle storie non aveva a che fare con i super poteri, anche perché non li avevano. Batman e Superman erano due tizi normali che dovevano affrontare l’oppressione. Sarà anche stata propaganda, non ne sono inconsapevole, ma io ero un bambino all’epoca e percepivo che quelle cose erano una minaccia reale.

Per quanto crescendo mi sia innamorato anche delle avventure nello spazio e cose di questo genere, il mio orizzonte è sempre stato influenzato da questa lettura, dall’idea di raccontare le storie delle persone che ci sono dietro le maschere, di raccontare le minacce più concrete di un portale che ingoia pianeti, quelle che incombono su di noi, gente normale.

 

Questo il suo atteggiamento ai tempi di The American Way, il suo precedente progetto con DC Comics che metteva in scena un universo alternativo rispetto a quello DC, utilizzato per mettere in mostra la durezza del razzismo. Una cosa che ha sempre colpito lo sceneggiatore è che molti dei lettori pensarono di trovarsi di fronte a un universo alternativo non perché Batman non ne faceva parte o perché c’erano dei super eroi negli anni Sessanta, ma perché il razzismo che veniva raccontato sembrava inverosimile, troppo pronunciato e potente a quell’epoca. Eppure, nella sua prospettiva, The American Way era fortemente realistico nel mostrare gli eventi di quel decennio e il livello di razzismo presente allora negli Stati Uniti.

 

Ridley – Posso trovare credibile che una persona cresciuta negli anni Ottanta pensi che il razzismo non sia un problema così grande, oggigiorno. Molto raramente è finito in prima pagina, nel corso degli anni. Spesso non lo vediamo. Ma solo perché non si vede, non significa che non ci sia. E questa è una delle cose che ho cercato di alleggerire, all’interno di The Other History.

Speriamo di intrattenervi, di ispirarvi. Speriamo di condurre un po’ di persone a riprendere in mano vecchie storie e a rileggerle chiedendosi cosa si sono perse. Ma cerchiamo anche di spingere i lettori a cercare di considerare le esperienze altrui reali, non qualcosa di alternativo. Se mi racconti una storia sulla tua vita, non dovrei mai ascoltarla con sufficienza. La tua esperienza non è alternativa alla mia, ma fa parte del bagaglio collettivo.

Io credo che i valori fondanti dei super eroi siano valori positivi, di persone che decidono di non essere passive nei confronti della società, che imparando dalla perdita personale, che vogliono essere parte della formazione della società. Certo, sono valori che in America sono spesso veniti dalla prospettiva dominante, della cultura prevalente, quella dei bianchi adulti.

Other History of the DC Universe

Quindi certo che credo che ci sia anche un po’ di propaganda nella morale dei super eroi e anche nel motto “verità, giustizia e American Way. Ma allo stesso tempo, Siegel e Schuster, molte delle persone che raccontano queste storie e le hanno raccontate in passato, sono immigrati a loro volta che cercavano di contestualizzare l’esperienza del loro arrivo in America.

Una delle cose che ho sempre trovato interessanti è che nella prima narrazione del passato di Batman vediamo Bruce Wayne in ginocchio accanto al letto, che prega un’entità superiore ed esprime il desiderio di passare il resto dei propri giorni a fare la guerra al crimine. Parlava specificamente di guerra. E oggi vogliono farci credere che definirsi “guerrieri per la giustizia sociale” sia sbagliato. Ma in realtà sono definizioni che sono sempre esistite.

Se un uomo combatte per la verità, la giustizia e l’American Way, non lo fa forse per tutti? E questo non implica lottare anche per la giustizia sociale? Wonder Woman arriva nel mondo degli uomini, in un mondo diviso, e deve mostrare alla gente un modo migliore di vivere. Siamo negli anni Quaranta e il personaggio viene da un’isola abitata da sole donne. Le sue storie hanno chiaramente un sottotesto erotico, che ha a che fare con il bondage, con il fatto che ci siano donne che amano donne, in qualche misura. Era una storia decisamente sovversiva, in senso positivo.

Forse non ha avuto abbastanza forza, non ha mostrato abbastanza una prospettiva più ampia, non ha invitato a sufficienza altri narratori a fare altrettanto. E intendo l’interezza dell’industria, non un singolo editore o un singolo gruppo. Parlo di tutto l’ambiente dei comics e possiamo estendere il discorso a tutto l’intrattenimento. Abbiamo davvero fatto abbastanza per ampliare la base culturale della nostra narrazione?

 

La risposta di Ridley è che probabilmente no, gli sforzi non sono stati sufficienti, ma i valori della narrazione super eroistica rimangono in gran parte positivi.

 

Ridley – E tuttavia si vede in ogni epoca che la gente può prendere dei valori positivi, magari un po’ populisti, per trasformarli in demagogia. Qualcosa a cui tutti noi dobbiamo fare attenzione. Che siano storie degli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta o scritte a vent’anni da ora. Dobbiamo sempre chiederci se stiamo davvero sostenendo prospettive diverse, punti di vista di minoranza, narrazioni provenienti da tutte le componenti della società o se stiamo semplicemente facendo propaganda.

 

 

Fonte: Polygon