Un nuovo volume antologico, dedicato alla Justice League di Brad Meltzer, arriva sugli scaffali delle fumetterie americane in questo periodo. Ecco perché Games Radar ha deciso di raccogliere ricordi e considerazioni dello sceneggiatore in merito al proprio rapporto con i personaggi e alle storie di quel periodo, che hanno lasciato un segno importante nel cuore degli appassionati.

 

MeltzerJustice League of America è il primo fumetto che abbia mai collezionato, il numero #150 il primo albo che abbia letto. Sapevo di non poter recuperare fino al numero uno, ma pensavo che il #100 fosse accessibile. Una volta riuscito nell’impresa, mi dissi che aveva senso puntare al #90. All’epoca si dovevano spulciare grandi scatoloni per trovare gli albi, non c’erano manifestazioni e internet. Si entrava in libreria sperando che ci fosse una sezione comics nel retro.

Justice League #0, copertina di Michael Turner

Quando ho iniziato leggevo solo la Justice League, poi col tempo ho iniziato a seguire sceneggiatori come Gerry Conway e Len Wein che mi hanno influenzato molto. E poi, ovviamente, George Perez ha preso le redini delle matite. Ho sempre avuto un debole per lui. Mi attirava più di chiunque altro e mi ricordo tutte le sue copertine.

Non credo che avrei mai avuto la possibilità di scrivere le storie di Freccia Verde se non fosse per Kevin Smith. Gli sono debitore per essere il primo ad aver abbattuto certe barriere e perché ottenni l’opportunità grazie a lui. Crisi d’Identità fu figlio del successo di Freccia Verde. La verità è che dopo Crisi d’Identità ho detto a Dan DiDio che avevo chiuso coi fumetti, che non ne avrei mai più scritto uno e che avevo bisogno di un romanzo. Non avevo più il tempo a disposizione, semplicemente. Dan fu molto gentile, mi chiamò e mi propose la serie di Justice League, con un nuovo numero #1 e la possibilità di fare quel che volevo. Non potevo dirgli di no e lo sapeva.

 

Prima di iniziare la serie, ci fu un numero zero che Meltzer in realtà non avrebbe voluto scrivere, restio alle operazioni meramente commerciali. Fu convinto nuovamente dalla libertà totale che la DC gli concesse e dalla prospettiva di lavorare con George Perez, Luke McDonnell, Mike Sekowsky e Howard Porter. In quell’albo poté lavorare con gli artisti che più ammirava.

 

Meltzer – Quel che ho scritto con i super eroi non ha mai avuto le battaglie come argomento, ma i momenti più silenziosi e umani. Non potrei scrivere un’intera serie solo con quelli? E poi c’è quella tavola di Jim Lee con la JLA e la JSA che fanno una poto, Andy Kubert fece cose grandiose con il Cavaliere Oscuro. Potemmo davvero ottenere tutto quel che volevamo. Era una cosa quasi impossibile da realizzare, ma ne valse la pena. E poi potei tenermi le tavole originali di quasi tutto l’albo, per la generosità dei disegnatori che me le regalarono.

Io sono cresciuto con la base satellitare della League. Quello era il mio periodo formativo. Grazie a dio a un certo punto Grant Morrison decise che era ora di tornare ai big seven e di mollare i gruppi enormi. Cosa che adorai. Era durata per decenni, quella fase e, quando io arrivai sulla serie fu proprio all’inizio del cambiamento. Grant aveva raccontato storie che coinvolgevano i grandi archetipi delle divinità e io volevo riportare le atmosfere a problemi più terreni, a interazioni umane. Quella era la League che mi emozionava di più.

 

Non a caso, Meltzer cita la cotta di Flash per Zatanna e tutto il dramma emotivo e familiare che ne nacque come uno dei suoi momenti preferiti. In generale, lo sceneggiatore si dice convinto del fatto che la Justice League rappresenti la storia dell’Universo DC, la sua direzione. Ecco perché fu felice di giungere in un momento di svolta: significava guardare avanti e non al passato.

 

 

Fonte: Games Radar