Una lunga intervista a Tom King fa la sua comparsa su Newsarama. L’argomento è per noi molto attraente, dato che le domande vertono su Mister Miracle, una delle storie a fumetti più sorprendenti degli ultimi anni, forse il vero capolavoro dell’autore americano, per lo meno fino ad oggi.

 

 

Eccovi i passaggi più interessanti di questa intervista in retrospettiva, sull’opera personale, politica, filosofica, riflessiva e tragica firmata da King stesso e dal suo sodale, Mitch Gerads.

 

Mister Miracle vol. 1, copertina di Nick Derington

King – Credo che l’idea iniziale fosse quella di un tizio il cui potere è riuscire a fuggire da ogni cosa. Consapevole di poter eludere qualunque sfida, decide di fuggire dalla vita. Quindi si uccide. Poi le cose si sono evolute da qui. Ovviamente, lo hanno fatto parecchio e la storia è diventata molto personale e politica.

Ci abbiamo lavorato con una consapevolezza. Nessuno può essere più Kirby di Jack Kirby. Se avessimo tentato di raccontare con Mister Miracle una storia più cosmica ed epica delle sue avremmo fallito. Non si può essere più potenti d Kirby quindi abbiamo cercato di essere armoniosi, di suonare note diverse dalle sue e di fare in modo che non stonassero.

Il modo in cui potevamo farlo era prendere le idee di Kirby, che sono colossali, cambiano il mondo e l’umanità, e cercare di renderle più introspettive, di trasformarle in una sorta di metafora dei problemi di una famiglia che deve affrontare questo mondo. Qualcosa che io credo sia già presente nei concetti originali di Kirby e che mi permette di sedermi semplicemente sulle sue spalle gigantesche.

Quando lessi le sue storie del Quarto Mondo, le trovai incredibilmente personali e profonde. Le sue storie su Mister Miracle parlano di un uomo che è passato attraverso una guerra ed è riuscito a tornarne vivo. Kirby era una persona che aveva raggiunto grandi cose nella vita, era riuscito a realizzare il sogno di diventare fumettista e di mantenerci la propria famiglia, ma che stava perdendo tutto. E cercava di rimettersi in sesto durante il suo passaggio dalla Marvel alla DC. Sappiamo bene che aveva sviluppato il Quarto Mondo come uno dei reami asgardiani e che si è portato le idee alla DC, quando si è sentito mancare di rispetto dalla Marvel.

Mister Miracle #3, anteprima 01

Quando lessi quelle storie, io vedevo tutti questi elementi mescolato, tutta la sua rabbia verso Stan Lee, verso la casa editrice, assieme alla personalità di un uomo cresciuto nei ghetti ebraici del Lower East Side, che aveva dovuto lottare per tutto quel che aveva ottenuto nella vita, che era passato attraverso la Seconda Guerra Mondiale. Per me, tutti questi aspetti personali erano evidenti nella storia. E poi, ovviamente, c’è il modo in cui funziona il personaggio di Big Barda, chiaramente ispirata a sua moglie, Roz Kirby.

Inoltre, un aspetto centrale sia delle storie originali che del mio lavoro è il fatto che Mister Miracle sia una figura christi, letteralmente il figlio di Dio. Che, come sappiamo, alla fine si sacrifica per i nostri peccati. Anche Mister Miracle lo fa, ma non per scelta propria. Suo padre decise per lui. L’uomo che dovrebbe compiere solo azioni benevole, decide di fare qualcosa di orribile, un atto di malvagità, consegnando il proprio unico figlio a un torturatore. E Scott si dimostra in grado di correggere quel sacrificio e fuggire, per poi rinascere. Solo che poi deve continuare, vivere la propria vita. Il come lo trovo affascinante e, per molti versi, rappresenta il nucleo di tutta la storia.

 

King dice di non aver avuto un’infanzia particolarmente felice, segnata dal senso di distanza e alienazione di tanti adolescenti e ragazzini nerd. Ma poi, diventato padre, si è trovato a chiedersi come evitare quelle esperienze ai propri figli senza negare la propria natura e la propria personalità. Da qui, l’importanza del tema della famiglia, presente in Mister Miracle e ricorrente nelle sue opere.

 

King – Mitch Gerads è il mio disegnatore preferito in assoluto e questa storia è tanto sua quanto mia. Non è un caso che sia diventato padre proprio mentre ci lavoravamo. Più o meno, non appena è nato il piccolo West è nato anche il piccolo Jacob. Difficile non cadere in banalità, quando si parla del proprio disegnatore. Per me, Mitch rende il mio lavoro più facile possibile. Posso chiudere gli occhi e vedere come disegnerà quel che scrivo, ma poi lui lo fa un po’ meglio di quel che ho immaginato. La cosa migliore che possa capitare a un autore. E poi è uno dei miei migliori amici.

Mitch è un innovatore silenzioso. Viene dalla scuola di Alex Toth, più che da quella d Kirby, e sono convinto che stia rivoluzionando il mondo dei comics senza che la gente se ne accorga, trovando modi nuovi per raccontare per immagini, per rendere i fumetti più realistici senza perdere la dimensione del disegno. Penso che stia davvero abbattendo barriere antiche, con il suo lavoro.

Mister Miracle #2, copertina di Nick Derington

Il finale della storia, senza voler spoilerare troppo per chi non l’ha letta, è che Mister Miracle decida se la sua vita, come l’abbiamo raccontata, sia contenuta nella continuity DC oppure no. Il che significa anche decidere se lui sia in grado di accettare la propria vita oppure se sia in cerca di un’altra, migliore, che somigli più al suo ideale. L’idea è che il dubbio sul fatto che la nostra storia sia o meno all’interno della continuity sia uno specchio di quello che tutti abbiamo sulla realtà: quel che viviamo è reale oppure no?

E ovviamente, questo ha a che fare con il modo in cui ognuno di noi si relaziona con il mondo reale. Io, ad esempio, ho spesso la sensazione che gli ultimi tre anni della storia d’America non siano affatto nella continuity. Nel finale, Scott deve decidere se abbracciare la vita folle che si è creato o tornare alla “realtà”. La scelta banale e corretta sarebbe dire che ha scelto la realtà, ma io non credo che questo sia il tema della storia.

Per me non è facile parlare dell’ambito familiare come trattato nella storia, perché so cosa significhi per me quel che abbiamo raccontato e so cosa volevo dire, quindi potrei parlarne in maniera troppo palese. La magia di Mister Miracle, per me, quel che lo rende un buon fumetto, sempre che lo sia, è il fatto che risuona con il pubblico, che interagisce, che i lettori si sentono coinvolti lo interiorizzano. Mister Miracle diventa, in qualche modo, parte della loro realtà. Se io vi dicessi cosa significhi per me troppo apertamente, penso che sottrarrei qualcosa all’esperienza della lettura.

Sono convinto che i fumetti che funzionano meglio lo facciano su due livelli. Il primo è quello spettacolare, di una storia incredibile che ti intrappola e da cui non riesci a uscire, il secondo è quello dell’analogia, della metafora di quel che succede nella vita vera. Quando leggi le storie originali su Galactus di Kirby e Lee, per prima cosa reagisci alla storia, a questo mostro enorme che viene dallo spazio. Ma poi c’è tutto un simbolismo religioso, c’è la prospettiva di Silver Surfer sugli eventi, inizi a vedere come dev’essere avere un mentore che non è una brava persona, cosa significhi doversi ribellare a lui anche se non si può.

Noi cerchiamo di fare lo stesso su Mister Miracle. Il primo livello è quello di un tizio e della sua famiglia e della guerra contro questi enormi demoni. Ma il secondo parla della vita in famiglia in generale. Tutti quelli che conosco vivono in due mondi: quello familiare, dove cercano di far funzionare le cose per il meglio, e quello professionale, dove cercano di arrivare là dove hanno sempre voluto. A volte, questi due mondi collidono.

 

Una situazione che l’uomo che ha privato Batman di una possibile felicità coniugale conosce molto bene dal punto di vista narrativo. In quel caso come in Mister Miracle, King confessa di aver messo molto della propria esistenza. Pur essendo soddisfatto del proprio lavoro e pur amando moltissimo la propria famiglia, aveva tanto della propria infanzia da raccontare e tanto della situazione che viveva non gli era chiaro. Questa storia parla anche di questo e lo sceneggiatore non nasconde di esserne orgoglioso.

 

King – Non so se credo nel potere catartico della scrittura. Se leggete le mie storie, di solito si chiudono con l’opposto della catarsi. Non è la catarsi ciò che ci fa superare le difficoltà. Superare le difficoltà è ciò che ci fa superare le difficoltà. Questo posso dirvi: io ho trovato il modo di farlo.

 

 

Fonte: Newsarama