Elektra. Kingpin. Bullseye. Nomi essenziali nella mitologia di Daredevil, e che hanno una cosa in comune: sono tutti assurti a status di figure cardine nel ciclo di storie realizzato da Frank Miller e Klaus Janson. Una run che non ha mai avuto bisogno di tornare alla ribalta, essendo rimasta ai vertici delle migliori storie di Matt Murdock, ma che in questi giorni conosce una nuova giovinezza e può potenzialmente rivelarsi a molti nuovi lettori, entrando a far parte del parco dei grandi classici che la Marvel ha incluso nel suo shop digitale.

È quindi l’occasione giusta per ascoltare ciò che Janson ha da raccontare sulla nascita e lo sviluppo di quelle storie e sulla sinergia tra lui e Miller:

 

Daredevil 170, copertina di Frank Miller

Janson – Prima dell’arrivo di Frank, c’erano svariati disegnatori al lavoro su Daredevil, perché all’epoca la serie era quindicinale e faceva fatica a stare a galla. Molti artisti si alternavano tra loro, e il mio compito era quello di mantenere coerente il look della serie. Quando Frank arrivò, nessuno poteva immaginare che sarebbe rimasto così a lungo, perché solitamente i disegnatori fanno due o tre numeri e poi passano ad altro, ma con lui le cose cambiarono decisamente in termini di dedizione. Credo che tutti iniziarono ad affezionarsi davvero alla serie. Di certo fu così per me e per Frank, dopodiché l’asticella si alzò ulteriormente quando Frank iniziò a sceneggiarla.

Tra noi non c’erano divergenze creative, pensavamo in maniera quasi identica e avevamo approcci simili alla narrazione. Era molto divertente. C’era un rapporto di collaborazione straordinario. Ci incontrammo in una fase molto interessante delle nostre vite. Lui aveva una gran fame ed era ambizioso, ma lo stesso valeva per me. Credo valga per entrambi ancora oggi. Volevamo davvero fare qualcosa di rivoluzionario con il materiale e le opportunità che avevamo, e credo che entro certi limiti questo risulti chiaro anche ai lettori di oggi.

Eravamo riusciti a superare i limiti e a fare cose che non si erano mai viste prima. Io ebbi l’opportunità di sperimentare varie tecniche di colorazione e di usare il bianco e nero in modi nuovi. Da molti punti di vista fu il crogiolo perfetto per le tante idee che io e Frank avevamo, e il caso volle che queste finissero per coincidere in quella situazione.

Daredevil 181, copertina di Frank Miller

Traboccavamo di idee da collaudare, e uno dei vantaggi di lavorare su Daredevil era il fatto che la serie stesse per chiudere, quindi nessuno del reparto editoriale o della direzione si curava di dirci: “Ah, no, questo non potete farlo”. Non eravamo soggetti a restrizioni vere e proprie, quindi avevamo la possibilità di attuare tutto ciò che volevamo. La coesione che traspariva da Daredevil era percepibile da tutti, credo. C’era una visione comune, coesa…

Arrivati al terzo anno, eravamo rimasti solo io Frank. Non c’erano altri coloristi, inchiostratori, disegnatori o scrittori. C’eravamo solo Frank, io e il letterista, Joe Rosen. Realizzare un mensile in due è dura, non capita tutti i giorni.

Mi sono trasferito a New York all’inizio degli anni ’70 e non me ne sono mai andato. Ho sempre sognato di vivere a New York. Credo che parte del divertimento nello sfogliare quei vecchi numeri di Daredevil stia nel fatto che mostrino una città sporca, truce, ostile, e per buona parte era tutto vero, all’epoca. Negli anni ’70 o ’80, probabilmente, non avreste mai scelto di vivere a Hell’s Kitchen.

Frank Miller è affascinato dall’architettura e influenzato da Frank Lloyd Wright. È affascinato dalle linee architettoniche, ed è un amore che condividiamo. In termini di compatibilità, abbiamo numerosi interessi in comune, e creare le atmosfere e le architetture giuste per la città era un aspetto importante della serie. L’architettura e l’ambiente dovevano essere accurati e credibili, era qualcosa che ci sforzavamo di fare entrambi.

Daredevil 186, copertina di Frank Miller

Quanto alle scene d’azione, credo che in qualche modo Frank fosse influenzato dai film giapponesi dell’epoca, specialmente quelli sui samurai, e un pizzico dai manga. La capacità di esprimersi cineticamente di Frank non si limita solamente alle scene di combattimento. Credo che derivi dalla sua concezione dell’arte come veicolo della storia, come qualcosa che debba informare il lettore ma anche intrattenerlo. Spesso il punto di vista del lettore zooma all’indietro nelle scene di combattimento di Frank per mostrare chiaramente dove sia e cosa stia facendo ciascun lottatore. È indice di una buona narrazione.

Credo che il nostro ciclo di Daredevil funzioni su due differenti livelli. Uno riguarda il puro piacere di vedere personaggi poco utilizzati come Ben Urich e Punisher, così come creare Elektra. Vedere svilupparsi questa linea narrativa è un vero piacere, a mio parere. Quanto al secondo livello, credo che chiunque sia interessato alla narrazione o all’arte possa imparare qualcosa dal ciclo di storie che io e Frank abbiamo realizzato. Suggerirei ai nuovi lettori di leggerlo due volte: la prima per la storia e la seconda per osservare come l’abbiamo realizzata, senza avere timore di guardare negli angoli delle vignette e nei dettagli della storia. Ci sono un sacco di elementi. Io e Frank ci abbiamo infilato parecchie cose. Scoprirete qualcosa di nuovo ogni volta.

 

Daredevil vs. Bullseye

 

 

Fonte: Marvel