Joe Hill non è soltanto un romanziere e uno sceneggiatore di fumetti horror ma anche il detentore di una delle eredità letterarie più affascinanti di sempre, in quanto figlio di Stephen King. Il creatore di Locke & Key, titolo che si appresta a diventare una serie TV prodotta da Netflix, sta attualmente scrivendo Plunge, progetto disegnato nientepopodimeno che da Stuart Immonen, l’assoluto fuoriclasse moderno della matita in ambito comics, secondo molti.

 

 

Plunge è descritto dalla DC Comics – che lo accoglie nell’etichetta adulta Black Label e in una divisione interamente dedicata allo scrittore, Hill House – come una mistura in pari quantità di La cosa di John Carpenter e dei racconti di Cthulhu di H.P. Lovecraft.

Tra il ritorno di Immonen, il fatto che sia il nuovo progetto di uno degli autori horror più interessanti di sempre e i tanti riflettori addosso, è decisamente uno dei titoli che converrà tenere maggiormente d’occhio nei prossimi mesi.

Il prossimo 19 febbraio, Plunge debutterà nelle fumetterie americane, ed ecco cosa ha dichiarato il tandem creativo in merito:

 

Plunge #2, copertina di Jeremy Wilson

Immonen – Ho scoperto di questa idea quando l’editor Mark Doyle mi ha chiamato per sapere se fossi interessato. Sapeva che ero in cerca di un progetto e che, per parafrasare Mark Twain, le voci sul mio ritiro dalle scene erano largamente esagerate. Il soggetto mi ha colpito all’istante per varie ragioni: personaggi interessanti, un’ambientazione bizzarra, mostri… tutte belle cose.

Hill – Quando ho scritto il mio primo romanzo, La scatola a forma di cuore, parlavo di un musicista Heavy Metal ultracinquantenne in fuga da un fantasma. E nella mia testa c’era sempre il volto di Kurt Russell in un film di John Carpenter. Uno di quei titoli tipo La cosa o Essi vivono, uno qualunque dei grandiosi film di Carpenter degli anni Ottanta. Ho l’impressione che tutte le mie storie siano sostanzialmente film degli anni Ottanta mai usciti. Come se cercassi sempre di impersonare lo Steven Spielberg di quell’epoca. E questa è, a suo modo, la storia definitiva di quel genere, un omaggio a La cosa, inteso come il remake di Carpenter, che era grandioso.

Si tratta di un horror ambientato nell’Artico, e c’è una certa quantità di violenza molto esplicita. Allo stesso tempo, non voglio solo rigurgitare elementi narrativi del Cinema dell’epoca, quindi spero di averci infilato anche concetti nuovi e idee da esplorare.

Immonen – In effetti, il cast di questa storia sarebbe perfetto per un film di Carpenter, Spielberg o Cronenberg di quel periodo. E l’ambiente in cui si svolge il conflitto, nonché il conflitto stesso, è profondamente radicato nel genere horror. Ci sono tutte le caratteristiche del caso. Non ho dovuto fare molto per raggiungere una buona resa dell’ambientazione e dell’epoca.

Artisti più svegli di me sarebbero stati in grado di dare al fumetto un tocco vintage, ma per me era molto più importante trarre ispirazione da altri fumetti dell’orrore. In particolare gloriosi titoli Vertigo, ma anche materiale di Bernie Krigstein, Alberto Breccia e Katsuhiro Otomo. Vedrete molte texture e tanti neri pesanti, più ruvidezza di quanto siate abituati a trovare nei miei lavori recenti. Il colorista Dave Stewart è stato fondamentale per creare le atmosfere giuste.

 

Hill, che dichiara di preferire di gran lunga la scrittura di fumetti a quella dei romanzi, perché i primi gli danno più gioia e se li sente addosso con più naturalezza, sostiene di aver dato vita a questo racconto sempre con questo linguaggio in mente: secondo lui è una storia che aveva bisogno di un forte gancio visivo, di azione fortemente dinamica.

 

Plunge #3, copertina di Jeremy Wilson

Hill – Il Fumetto ti consente davvero di raccontare ogni genere di storia, di espanderla e di rischiare di più. Tuttavia credo che una vicenda fortemente intima, interiore, che parli di una battaglia contro demoni psicologici e non fisici, sia un po’ più complessa da rendere sulle pagine dei comics e chiami più per la prosa. Quindi è forse questo il mio parametro di scelta. Se ci sono molti elementi intimisti ed essi sono in maggioranza, se le sfide di fronte all’eroe sono mentali, meglio esitare davanti a un fumetto.

La trama di Plunge è questa: un vascello di recupero dai fondali che ha preso il mare per trovare una barca scomparsa da quarant’anni dopo uno tsunami, affondata all’improvviso al largo di un atollo nell’Artico, in acque nazionali russe. Quando la squadra di recupero arriva sul posto, scopre che l’equipaggio è inspiegabilmente ancora vivo e che nessuno è invecchiato. Tutti però sono stati infettati da qualcosa ha distrutto i loro occhi. Uomini disseccati con orbite oculari vuote. Hanno perso la vista, ma in cambio hanno ricevuto altre abilità. E presto la squadra di recupero si troverà sperduta, disperatamente impegnata ad affrontare questi uomini che non sono più tali. C’è un po’ di La cosa nella storia, ma anche di L’invasione degli ultracorpi. Spero che ci sia anche una manciata di originalità e novità.

 

Perché nell’Artico? Perché lì non prendono i telefoni ed è difficile comunicare con la terraferma. I cellulari hanno distrutto il thriller moderno, secondo Hill, perché l’isolamento e la trappola che esso comporta sono diventati sempre meno credibili. Quel che la tecnologia consente di fare in termini di geolocalizzazione e intercettazione ha fatto danni anche alle storie di indagine e mistero. Per reintrodurre questi elementi, c’è bisogno di inviare la gente ai confini del mondo civilizzato, in un paese straniero, con l’aiuto più vicino molto, molto distante.

 

Immonen – I personaggi si trovano in una serie di ambienti piuttosto spietati, a volte sul mare e a volte sulla terraferma. La speranza che che io e Dave siamo riusciti a convogliare un po’ di questa inesorabilità grazie ai giochi di luce, agli angoli dell’inquadratura e alle trame delle immagini. Come ogni buon horror, Plunge si svolge soprattutto in spazi confinati: la carlinga di una nave, luoghi subacquei, nella tundra boreale. La natura selvaggia è un elemento presente, ma non dominante visivamente. Direi che è proprio l’isolamento a essere protagonista.

 

A Immonen sono tornati utili gli ultimi anni passati sull’Isola di Vancouver, nel sud del Canada, dove ha potuto fotografare e osservare ambienti freddi e incontaminati, poco ospitali a loro modo. Il che non ha diminuiti le difficoltà tecniche imposte da Plunge, una storia non semplice dal punto di vista della narrazione per immagini. Per fortuna, la sua sensibilità e quella di Joe Hill sono simili e hanno saputo trovare i giusti ritmi narrativi.

 

Hill – Stuart ha un controllo impressionante delle espressioni facciali e del linguaggio del corpo. I suoi personaggi sono così vividi e reali che saltano fuori dalla pagina. E i suoi paesaggi sono quasi fotografici da quanto prendono vita e risultano intensi. Credo che sia ossessionato dai dettagli, il che è perfetto perché lo sono anch’io. E un buon telaio di particolari è necessario a rendere l’orrore ancor più efficace, perché lo fa risultare convincente, credibile quel che stiamo osservando.

Immonen – Joe è uno studioso e un gentiluomo. Chiaramente è innamorato della ricerca, che è cara anche a me, e scrive le sceneggiature con generosità, senza mai esagerare nelle descrizioni e lasciandomi lo spazio per fare ciò di cui sono capace. Ed è generoso anche con il proprio tempo: prende il suo ruolo di organizzatore del lavoro molto seriamente mentre scrive anche tante altre storie, ma trova anche il tempo per rispondere alle mie domande idiote e fare i complimenti a tutta la squadra.

 

 

 

Fonte: Newsarama