Daniel Warren Johnson, autore che abbiamo intervistato alla scorsa edizione di Lucca Comics & Games e di cui vi abbiamo cantato le lodi per Murder Falcon, risponde ad alcune domande su Wonder Woman: Dead Earth, miniserie Black Label che ha esordito lo scorso 18 dicembre negli Stati Uniti.

Domande che gli sono state rivolte non da un redattore del sito ufficiale della DC Comics, com’è consuetudine in questi casi, ma nientepopodimeno che da Jim Lee, amatissimo artista e Co-Publisher dell’editore di Burbank.

Ecco le dichiarazioni più interessanti scaturite dalla loro chiacchierata:

 

Wonder Woman: Dead Earth #1, copertina di Daniel Warren Johnson

Johnson – Io sono stato istruito a casa fino alle scuole medie. I miei genitori sono dei super fighi, ma mi hanno anche super protetto dal mondo. Il mio primo approccio con i fumetti è stato Calvin & Hobbes. Credo che parte di quel che mi ha attratto di quell’opera sia il modo in cui Watterson usa la linea e il pennello. Mi entusiasmava. Riuscivo a intuire che aveva una tale padronanza dello strumento da consentirgli di non perdere molto tempo a disegnare, e la cosa aveva perfettamente senso: le immagini uscivano da lui in maniera immediata.

E questo è ciò che ha dato il via al mio viaggio. Ho iniziato a leggere ogni cosa che riuscissi a recuperare. Erano gli ultimi anni in cui si poteva comprare fumetti nei negozi di alimentari. Il mio primo numero di Superman era quello in cui c’erano la versione rossa e blu in copertina. Mi ricordo che mia nonna mi comprò un albo di Superboy, negli anni Novanta, quello con la giacca di pelle. Mio padre mi disse che c’erano troppi pugni e me lo portò via.

Non appena divenni un adolescente, iniziai ad appassionarmi sempre più ai manga. Ho iniziato a leggere Appleseed e Akira, ovviamente. Al college, sono entrato a contatto con l’Arte europea. Ho sempre saputo chi fosse Moebius, ma non l’avevo mai apprezzato prima di studiare davvero le tecniche del fumetto. Ovviamente, c’era anche molto Jim Lee nelle mie letture. Vogliamo parlare di WildC.A.T.s? Diamine!

 

Quattro capitoli per un totale di quarantaquattro pagine per Wonder Woman: Dead Earth, che si apre, secondo Jim Lee, con un inizio fortemente lirico per un’avventura ambientata in un mondo post-apocalittico.

 

Wonder Woman: Dead Earth #1, variant cover di Daniel Warren Johnson

Johnson – Sin dalla scrittura del soggetto avevo deciso di evitare di coinvolgere Batman e Superman, mentre ero interessato a eroi di terzo o anche quarto piano. Avevo l’impressione che ci fosse qualcosa di grosso da raccontare su Wonder Woman, sul modo in cui interagisce con l’umanità e sulla sua prospettiva sul mondo.

Mi sembrava che fosse unica nel mondo dei super eroi. Volevo che avesse un aspetto diverso dal solito, ma che mantenesse i suoi elementi di base, tentare di spingerla ai limiti. Cercavo di creare un mondo che la portasse a chiedersi se i suoi principi hanno senso quando le convinzioni della gente sono divergenti dalle sue.

Una gran parte del conflitto della storia proviene da Diana e da sua madre, un genitore molto protettivo, decisamente troppo. Io stesso sono padre da poco, quindi ho convogliato nella storia molta della mia vibrazione di quel momento. In più di un senso, sto cercando di prendere spunto dalla mia esperienza personale. E anche di regalarvi qualcosa di bizzarro, come Cheetah con una testa di ghepardo al posto della mano.

 

Jim Lee applaude Warren Johnson per questo ed altri elementi della storia che fanno da subito pensare al lettore che tutto sia possibile nel mondo di Wonder Woman: Dead Earth. Inoltre, la trama vede Diana tentare di portare una colonia di brave persone, che resistono alla malvagità del mondo circostante, in un luogo migliore. Una storia che secondo Lee parla molto del mondo contemporaneo, del bisogno di eroi, di qualcuno che ci ispiri e che ci voglia bene.

I complimenti piovono addosso all’autore di Extremity anche per il layout delle sue tavole, che sfruttano al meglio l’ampiezza maggiore del formato prestige degli albi Black Label, più ampio dei canonici spillati.

 

Johnson – Il fatto di avere più spazio a disposizione è stata una gran bella cosa, ma in fine dei conti non ha alterato in maniera decisiva la creatività del progetto. Black Label mi ha consentito di realizzare cose come la mano/ghepardo di Cheetah. Sento di aver spinto verso i limiti l’aspetto di Wonder Woman in maniera importante, al punto che se qualcuno sostituisse la mia Diana con quella della serie regolare sarebbe decisamente straniante.

Black Label mi ha concesso, come minimo, l’occasione di disegnare personaggi famosissimi in maniera diversa e personale, tanto da renderli quasi irriconoscibili, al di fuori del mondo in cui li ho collocati. Il che è grandioso. Hai a disposizione questo parco giochi che deriva dal canone e un contesto dalle caratteristiche immediatamente riconoscibili, che suggeriscono delle aspettative. Ma all’interno di quel contesto, puoi piegare un po’ i limiti. Il che dà occasione di raccontare storie nuove e di trovare modi interessanti per narrare, con personaggi famosi da decenni. Black Label apre davvero un sacco di porte.

 

 

 

Fonte: DC Comics