Si torna a parlare di Doomsday Clock, dopo che i lettori americani hanno letto il finale della miniserie in dodici parti che ha mescolato gli universi di Watchmen e quello canonico DC Comics, con grandi conseguenze sulla struttura del cosmo narrativo in cui vivono Batman, Superman, Wonder Woman e tanti altri super eroi.

 

 

C’è Geoff Johns, architetto della vicenda e di molte fondamentali saghe degli ultimi quindici anni, a rispondere alle domande di Comic Book Resources su questa maxi-serie così controversa e importante per il futuro narrativo dell’editore di Burbank:

 

Doomsday Clock #10, copertina di Gary Frank

Johns – Penso che l’ultimo numero farà in modo che molti lettori tornino indietro a rileggere tutta la serie, in cerca di qualcosa che non avevano notato, il che è un po’ l’obiettivo fondamentale della storia: mostrare qualcosa che non è evidente, spingere a guardare oltre il proprio punto cieco per vedere le cose da una nuova prospettiva. La serie parla di questo come di molto altro, e la ritengo la storia più sofisticata e dettagliata che abbia mai scritto. Quando io e Gary Frank ci siamo messi in viaggio, questi erano i nostri obiettivi.

Avevamo intenzione di fare qualunque cosa affinché meritasse di essere letta, e non abbiamo mai voluto raccontare qualcosa di cui non fossimo totalmente convinti. Nessuno alla DC mi aveva chiesto di realizzare una storia con questi personaggi. Doomsday Clock è nato da me e Gary. Quando ho realizzato le storie di Rinascita, l’idea mi è venuta organicamente, e volevo che il Dottor Manhattan ne facesse parte. L’idea di coinvolgere il suo punto di vista sull’Universo DC non è stata una scelta commerciale. Io e Gary parlavamo della vita, del mondo, della DC, del Fumetto, di tutto quel che stavamo affrontando. Tutto è nato da qualcosa di molto personale, che scende al cuore di quel che io e Gary vediamo e sentiamo.

La cosa meravigliosa del Dottor Manhattan è che vede l’Universo DC in molti modi: vede la verità che contiene e ce la mostra… in parte. C’è una macchia che rappresenta un’oscurità incombente, perché lui ha raggiunto questo… metaverso… e lo ha trovato vivo. Una cosa che respira e che il Dottore vede per quel che è. Superman è esistito in molte differenti versioni e in altrettante epoche di questo universo, e il Dottor Manhattan le vede tutte. Noi sappiamo che quel che vede è reale.

Alla fine, decide di tentare di capire tutte quelle forze, quelle entità che hanno cambiato la storia, che l’hanno alterata. Lui fa altrettanto e questo ha un impatto su Superman, come una fila di domino che cadono. Manhattan pensa che questo rappresenti una minaccia per se stesso, come se un virus stesse invadendo l’universo, capisce di essere in rotta di collisione con Superman. E ammette di non sapere come andrà: sarà Superman a distruggerlo o sarà lui a cancellare tutto l’universo? Ed è questa l’oscurità incombente che vedeva?

 

Una storia molto metanarrativa, dunque, che parte da una grande verità anche editoriale: Superman è il primo super eroe, la figura che ha dato vita, creativamente, a tutto quanto il Multiverso DC, la cui personalità in qualche modo finisce per coincidere con quella del cosmo in cui si trova. Kal-El va oltre le storie, e questa è la verità più grande che Doomsday Clock afferma fortemente, in mezzo a tanti altri temi. Tra cui una visione personale del personaggio del Comico:

 

Johns – Per me, il fatto che Ozymandias fosse il primo avversario della figura la cui morte è ciò che catalizza e mette in moto la trama di Watchmen, ha sempre avuto un forte valore simbolico. Cosa rappresenta il Comico? Una delle scene che sono rimaste impresse nella mia mente e in quella di molti altri è quella in cui uccide una donna di fronte al Dottor Manhattan. Jon lo rimprovera, in qualche modo, ma Blake gli rinfaccia che sapeva cosa stava accadendo e non ha fatto nulla per impedirlo.

Credo che il Comico rappresenti un certo tipo di verità e una certa quantità di caos, motivo per cui il Dottor Manhattan fa fatica con lui. Riportarlo sulla scena, per me, era l’occasione di giocare con l’altro lato di Jon. Ci dev’essere qualcosa dentro di lui che resiste, che cerca di contrastare quel che è diventato.

 

Una storia che parla anche del mondo in cui stiamo vivendo, sostiene Geoff Johns senza scendere troppo nei dettagli ma affermando che soprattutto il finale merita di essere letto come un commento sugli eventi della contemporaneità.

Lo sceneggiatore ha poi parlato dell’altro sequel di Watchmen che ha tenuto banco negli ultimi mesi, la serie omonima della HBO:

 

Johns – La forza di Watchmen è ovviamente il lavoro che Alan Moore e Dave Gibbons hanno fatto nelle storie originali. Sono gli scenari e i personaggi, sono i temi che affrontano e che parlano di qualcosa che travalica il Fumetto e le battaglie tra eroi e criminali. Non sono cose che i lettori tipicamente trovano nei comics. E Damon Lindelof nella sua serie TV ha splendidamente tradotto la cosa con un grande amore per i personaggi. Credo che un aspetto fondamentale sia il fatto che in Watchmen troviamo costantemente storie dentro ad altre storie. Si potrebbe parlarne per più di cinque ore di fila senza pause, perché l’opera ha una risonanza colossale.

 

Doomsday Clock #12, copertina di Gary Frank

 

 

Fonte: Comic Book Resources