Paper Girls è giunto al termine. La saga delle quattro terribili, tenere, problematiche e commoventi amiche in bicicletta, coinvolte da una folle avventura a spasso nel tempo, ha visto la parola fine, scritta dalla penna di Brian K. Vaughan e ribadita dalle matite di Cliff Chiang.

Proprio il disegnatore è stato ospite di BAO Publishing, editore italiano della serie Image Comics, all’ultima edizione di Lucca Comics & Games.

Se non lo avete incontrato, non avete avuto modo di complimentarvi con lui, artista dallo stile emozionante e immediato, lo abbiamo fatto noi per voi. E, grazie alla consueta gentilezza dello staff della casa editrice milanese, che ringraziamo sentitamente, gli abbiamo anche rivolto qualche domanda.

 

Ciao, Cliff! Benvenuto su BadTaste.it.
“Paper Girls” giunge al termine. Cosa credi che ti mancherà di più di questa esperienza?

Di sicuro lavorare con Brian. A ogni episodio, anche se conoscevo la trama, Brian non mi anticipava esattamente ogni dettaglio che avrei trovato nella sceneggiatura. Così per me era tutto nuovo ogni volta! Di solito andavo a letto leggendo le sue sceneggiature, e ne valeva sempre la pena. È proprio questo che mi mancherà: essere il primo lettore delle sue storie.

Sono soddisfatto di come la serie è giunta a conclusione, per me è stato un epilogo perfetto. Ho avuto modo di dire addio alle ragazze e disegnarle come ho sempre voluto: di nuovo sulle loro biciclette, tra le case di periferia. Per quanto ami questi personaggi, sento che la loro storia è finita, e non avverto il bisogno di tornare a lavorarci. È una sensazione piuttosto strana, perché questa storia ha dei contenuti molto personali e, ora che questo percorso è terminato, sento di poterla lasciare andare, quasi come un figlio. Non vedo l’ora che i lettori, semplicemente, la leggano fino alla fine. E guardino la serie TV, quando uscirà.

“Personale”, hai detto. Ovviamente sono molto d’accordo. La serie è ambientata in parte negli anni Ottanta: essendo il decennio in cui siete cresciuti, per te e Brian c’è anche un’identificazione generazionale? Eppure siete riusciti a evitare il sempre più frequente effetto-nostalgia, che spesso vediamo in opere con questo tipo di ambientazione temporale.

È vero. Le ragazze, oggi, avrebbero circa la stessa età che abbiamo io e Brian. Siamo passati attraverso delle esperienze generazionali molto simili. Ci ricordiamo bene gli anni Ottanta e anche che, sotto certi aspetti, non ci piacevano granché. La nostalgia rischia di farci ricordare solo le cose belle del passato, e ci fa dimenticare alcuni problemi. C’erano un sacco di cose che non andavano bene negli anni della nostra crescita. Per tante persone, il mondo di oggi è migliorato rispetto a quello di trent’anni fa.

Infatti, i vostri non sono gli anni Ottanta brillanti e fatti di luci e colori, l’epoca in crescita e spensierata, di musica pop.

Sì, anche perché “Paper Girls” inizia nel 1988. Molte delle storie ambientate in quel decennio, si svolgono tra l’80 e l’84, gli anni di Madonna e Michael Jackson. Ma nell’88 la musica era cambiata, si era già proiettati verso il decennio successivo, che non è stato altrettanto scintillante esteticamente.

E proprio i colori sono molto importanti per la storia. Hai lavorato da vicino con Matt Wilson, il colorista, sulla storia, se non sbaglio.

Io e Matt avevamo già lavorato insieme a “Wonder Woman” e ci siamo confrontati a lungo riguardo questa nuova serie. Non volevamo affatto che somigliasse, stilisticamente, a un fumetto di supereroi, perché ci sono tantissimi elementi e luoghi reali nella vicenda! Avevo la sensazione che fosse necessario sintetizzare la parte visiva più di quanto avessimo fatto altrove, per non rendere la serie noiosa.

Io sono sempre stato un fan del Fumetto europeo, che è stato l’ispirazione per usare colori piatti. Volevamo ottenere un effetto non solo originale, ma anche in linea con la storia e l’epoca che avremmo raccontato.

Come raccontavi, sei spesso impegnato anche su progetti mainstream. In questa serie hai avuto l’occasione, mi pare, di elaborare alcuni dettagli del tuo stile che in altri contesti emergono con meno forza. Le ragazze, ad esempio, sono fortissimamente connotate dal punto di vista delle espressioni facciali, molto riconoscibili e, in generale, molto intense. Si tratta di un elemento su cui hai dovuto lavorare più del solito?

Bella domanda. Devo ammettere che all’inizio del progetto ero abbastanza nervoso, perché dovevo disegnare delle ragazzine di dodici anni e, in pratica, non l’avevo mai fatto.

E qui anticipi una domanda che avevo in serbo…

Volevo essere certo che sulla pagina ci fossero quattro ragazze intelligenti, con una sensibilità e una personalità precise per ognuna. Le ho disegnate tantissime volte prima dell’inizio della serie, proprio per perfezionare il loro modo di esprimersi. Non volevo che risultassero poco credibili. Quando in ballo ci sono tante emozioni diverse dei personaggi, si corre il rischie che sembrino caricature e che sulla pagina appaiono in modo negativo. Ho sudato parecchio per prepararmi, ma mi sono anche divertito molto a disegnare le ragazze.

A proposito, ti ritengo un’eccezione nel mondo dei comics, per come sei riuscito a gestire delle protagoniste così giovani. Anche questa tua attenzione viene dal fumetto europeo?

Nel Fumetto europeo c’è una lunga tradizione di storie che si concentrano sulla vita quotidiana e sul mondo che ci circonda. In U.S.A siamo più spesso proiettati verso invenzioni fantastiche. A volte si dimentica l’importanza di connettere il proprio lavoro con il mondo reale.

Le ragazze sono delle teenager che stanno crescendo in un contesto piuttosto complesso. Questo è stato un elemento decisivo per il successo e per l’identità della serie. Come vedi questo aspetto del vostro lavoro?

Leggendo “Paper Girls” si assiste alla crescita di quattro ragazze. Non è un racconto di formazione individuale, ma corale, e questo ha influenzato la natura dell’intera serie. Uno dei temi fondamentali è sicuramente l’amicizia, quel legame intenso che si crea quando attraversi delle fasi complesse assieme a qualcun altro, nell’età giusta. Sono davvero orgoglioso che siamo riusciti a raccontare certe metamorfosi in un’età così importante.

E le ragazze viaggiano nel tempo. Vengono dal nostro passato, ma si spostano nel futuro, in diversi futuri possibili. Quale credi che sia il messaggio fondamentale che “Paper Girls” ci comunica, dalle epoche in cui è ambientato? Cosa dice a noi o di noi, nel presente?

Credo che il messaggio della serie sia riassunto dalla dottoressa Braunstein, quando nel futuro dice che l’importante non è quanto tempo abbiamo, ma il modo in cui decidiamo di passarlo. Non sappiamo mai quel che ci succederà, ma dobbiamo fare del nostro meglio per goderci il viaggio e stare vicino alle persone che abbiamo accanto.

E direi che tu e Brian K. Vaughan lo avete fatto. Lavorerete ancora assieme?

Oh, mi piace pensare di sì.

E c’è già qualcosa in ballo di cui si può parlare?

Non abbiamo progetti precisi, ma a entrambi piacerebbe. Ora siamo impegnati a sviluppare i nostri prossimi lavori, forse quando Brian terminerà “Saga” potremmo iniziare a pensarci.

E cosa aspetta te, invece, nel prossimo futuro?

Sto per scrivere, disegnare e colorare un nuovo fumetto per DC Comics, all’interno dell’etichetta Black Label. Non posso dirti niente di più, ma si tratta di un progetto adulto. Avevo voglia di raccontare una storia un po’ strana, ma capace di arrivare a un pubblico ampio, dunque ho creato una storia molto matura. Ci saranno crime e politica, spero che i lettori saranno entusiasti di quel che leggeranno.

 

Cliff Chiang e Claudio Scaccabarozzi a Lucca Comics & Games 2019