Durante l’edizione appena passata di Lucca Comics & Games, abbiamo avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con Mattia De Iulis, ventottenne disegnatore italiano considerato tra i giovani più interessanti attualmente in forza alla Marvel.

Ringraziamo lo staff di Panini Comics, che ci ha consentito di condurre l’intervista presso il suo stand, e lo stesso Mattia, tanto gentile e disponibile quanto lucido nel parlarci dell’esperienza di un vero e proprio esordiente alla Casa delle Idee, dato che il suo lavoro su Jessica Jones, per le sceneggiature di Kelly Thompson, ha rappresentato il suo debutto professionale come disegnatore.

 

Ciao, Mattia! Benvenuto su BadTaste.it!
Ho letto il tuo “Jessica Jones”, scritto da Kelly Thompson. Una cosa che si nota è che sei molto maturo artisticamente, nonostante tu sia molto giovane. Un aspetto che ho avuto modo di sottolineare durante la recensione del primo volume è che nonostante tu abbia uno stile davvero molto realistico, riesci a non risultare troppo ingessato. Cosa non da tutti, tenere assieme le due cose.

Guarda, io ho studiato molti artisti. Come tutti, ho i miei punti di riferimento: Sara Pichelli, Stuart Immonen, Clay Mann… Ma anche Pepe Larraz e Marco Checchetto sono per me dei mostri sacri, che studio ogni volta che posso e da cui cerco di rubare soluzione per poi inserirle nel mio stile.

Io prediligo un’immagine realistica, come dicevi, anche perché mi piace realizzare da me i colori, nello stesso modo in cui faceva Justin Ponsor, che secondo me è il più grande colorista di sempre. Mantengo una linea chiara per poter intervenire sulle atmosfere con il colore. In effetti, non è sempre facile restare freschi visivamente, non risultare troppo pesanti, quando si cerca il realismo, per non essere stucchevoli.

Be’, “Jessica Jones” è un fumetto di super eroi ma un po’ particolare, il dinamismo dell’azione non è esasperato. Diciamo che ti poteva consentire di mascherare un po’ di macchinosità, semmai ne avessi avuta addosso. Da un po’ sei impegnato su una storia della Donna Invisibile che credo sia molto più d’azione, e lì devi aver lavorato per forza su questo aspetto. 

Proprio così, anche perché è una vicenda molto action, in linea con “Mission: Impossible”, come genere.

E la cosa non ti ha spaventato? Te lo sei sentito addosso, come stile?

Kimeramendax 0: Ab Imis, copertina di Mattia De IulisAll’inizio, in realtà, anche per la novità che rappresenta, mi ha messo addosso un po’ d’ansia, perché ovviamente, avendo come protagonista un personaggio con cui non ho familiarità, comportava tanto lavoro di ricerca, dato che io amo lavorare molto sulle espressioni facciali e il linguaggio del corpo. Conoscere l’umore e le reazioni del personaggio è fondamentale per me.

Per dirti, Jessica Jones è una badass, rispetto alla Donna Invisibile, e reagisce con espressioni di un certo tipo, che non posso portare intatte con me. Ci metto molta cura per fare in modo che la personalità del personaggio buchi la pagina.

In generale, comunque, sto lavorando molto sul dinamismo per rendere completo il mio stile. Devo dire che sono soddisfatto del mio lavoro e che mi hanno anche fatto i complimenti per alcune scene di “Invisible Woman”. Ce n’è una di inseguimento, mi pare a Bangkok, molto urbana e con una moto in ballo. La Vedova Nera e la Donna Invisibile sono inseguite… una roba fuori scala che mi spaventava. Ma Mark Waid, lo sceneggiatore, mi ha fatto i complimenti pubblicamente, e sono molto contento, perché vuol dire che riesco a gestire anche queste situazioni.

Per te è più il divertimento o la fatica, in questi casi?

Eh… diciamo che quando viene bene è più il divertimento, ma lì per lì, quando leggi la sceneggiatura, ti devi fare un’idea di quel che puoi tirar fuori, capire come impostare il layout e cosa puoi davvero permetterti. Per ora, non mi sono trovato di fronte situazioni in cui mi sono sentito troppo superficiale. Ho sempre trovato il modo di realizzare quello che mi veniva proposto come ce l’avevo in testa, che è un po’ il mio obiettivo di fronte a ogni richiesta.

Tre domande veloci a un disegnatore molto giovane come te, che sei ventottenne e già su un palco così importante. Cosa si prova a lavorare per la Marvel? Cosa si prova a lavorare con Kelly Thompson? E, la più interessante di tutte, cosa si prova a lavorare con una leggenda come Mark Waid?

Jessica Jones #1, copertina di Mattia De IulisBella domanda. Lavorare per la Marvel è il sogno di una vita, perché è da quando ero piccolo che sono stregato dai suoi super eroi, che mi hanno accompagnato nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza. Da sempre li disegno anche un po’ nel tentativo di trovare una strada per realizzarli da professionista. Che poi è una di quelle cose che non mi sono venute da subito. Da sempre avevo voglia di disegnare, ma non avevo idea delle dinamiche di questo mondo a livello professionale. Poi i miei studi e le scuole che ho fatto mi hanno indirizzato nella maniera giusta, e con un po’ di fortuna e una portfolio review con Rickey Purdin, ecco che sono entrato in casa Marvel. Uno shock all’inizio e adesso una gratificazione enorme, anche perché l’ambiente aiuta. Anche se sono emergente mi trattano come un professionista, alla pari.

Sia Kelly che Mark mi hanno dato libertà di discutere le sequenze della sceneggiatura, di proporre aggiunte o modifiche. E infatti, in alcuni casi, volevo conferire un ritmo diverso o un dinamismo maggiore a certe sequenze di dialogo e le mie proposte sono state accettate. Grande disponibilità, nonostante siano nomi importanti quelli con cui ho lavorato. Pensavo fossero un po’ più gelosi delle loro scelte, invece apertura totale e persone molto alla mano, sia Waid che Thompson.

Differenze tra i due?

Invisible Woman #3, anteprima 01Kelly Thompson ha questa sua peculiarità nello scrivere dialoghi talmente realistici che mi emozionavo già dalla lettura della sceneggiatura e non stavo nella pelle dalla voglia di disegnarli. Anche perché io, come dicevo, sono appassionato delle componenti drammatiche e recitative della storia. Così realistici, i dialoghi, non li avevo mai letti.

Mark Waid, invece, è soprattutto capace di creare trame molto intrecciate e racconta le sequenze in maniera molto interessante, sempre. Grandi idee, in generale.

Devo dire che debuttare con due nomi così importanti mi ha tranquillizzato. Perché arrivi alla Marvel e ti senti immediatamente sotto pressione, cerchi di ripagare l’occasione enorme che hai avuto, di fare un lavoro abbastanza buono da farti richiamare. Ora ho un contratto in esclusiva, rinnovato per i prossimi due anni, quindi arriverà altro lavoro. Non so ancora che personaggi mi affideranno, ma sono davvero molto felice.

Sei consapevole del fatto che figure come la tua, che si occupano sia di matite che di colori, saranno sempre più richieste, alla luce dei tempi di lavoro strettissimi che alla Marvel sono un classico?

Sì. E poi mi accorgo del fatto che loro si sentono tranquilli quando un solo artista controlla tutto l’ambito grafico. Metti che ci sono delle modifiche da fare a un aspetto singolo delle tavole, sono io ad avere il controllo di tutto, e questo snellisce molto il lavoro. Magari per me è uno sbattimento in più, ma loro sono più sereni per il fatto che io possa intervenire al volo su più aspetti.

Ho visto che tanti artisti stanno cercando di imparare a colorarsi anche per questo motivo. E poi anche perché non sempre lo stile di un colorista si sposa con quello di un disegnatore, quindi diventa un po’ una terno al lotto.

Mi fai venire in mente quando ho intervistato Greg Capullo, che mi raccontava che per anni è stato accusato di aver cambiato il proprio stile per somigliare a Todd McFarlane, una volta arrivato su “Spawn”, mentre invece erano le chine di Todd che cambiavano molto la personalità delle sue matite. Immagino che possa succedere anche con il colore, a un certo livello. Ti darebbe fastidio una cosa simile?

Io sono abbastanza geloso del mio prodotto, quindi pensare a matite mie colorate da altri mi metterebbe ansia, anche perché sono uno di quelli che ha già la tavola finita in testa. Se risultasse diversa, resterei un po’ di stucco. Ma è proprio una questione di gelosia da superare, immagino. Chiaro che entrambi, sia colorista che disegnatore, vogliono esprimere la propria personalità, ma a volte alcuni stili hanno bisogno di una lavorazione precisa, che non cozzi. Trovare quella giusta coesione quando si è in due non è sempre facile. Su “House of X”, Pepe Larraz e Marte Gracia, ce l’hanno fatta, per esempio. Si sposano alla perfezione.

E “Marvel Comics #1000”, su cui sei presente? Anche quello immagino sia stato un bell’attestato di stima.

Wow. Tieni conto che mi hanno mandato la mail di richiesta durante il lavoro di “Invisible Woman”, e Tom Brevoort, che è il mio attuale editor, mi ha detto subito che era un’occasione che non potevo perdere. Mi ha parlato del progetto, di tutti quei team creativi ospitati. Mettere la mia firma in mezzo a tutti quei nomi assurdi, che veneravo da anni, è un’emozione difficile anche solo da raccontare. Vedere la mia storia stampata lì in mezzo mi dà sicurezza. Allora è vero! Faccio parte di questo mondo!

Due figure femminili, per ora, tra le tacche sulla tua spada. Pensi che ci sia un motivo? Che alla Marvel ti vedano come un artista particolarmente efficace e a suo agio con personaggi femminili?

Io mi sento abbastanza all’altezza e pronto anche per protagonisti maschili. In entrambe le run c’erano figure di uomini, da Luke Cage ai villain della Donna Invisibile, che non mi hanno dato problemi. Forse loro, dopo la buona prova su “Jessica Jones”, mi vedono bene sui personaggi femminili.

E tu sei d’accordo?

Sì, mi ci rivedo abbastanza. Dalle espressioni alla figura, mi vengono abbastanza bene.

Il tuo lavoro sull’espressività fisica di Jessica Jones non è niente male. Per quello ti facevo la domanda.

Grazie. Ho lavorato davvero molto su questo aspetto, come ti dicevo, per entrare nel mood del personaggio.

Per caso ti hanno chiesto di prendere a riferimento la serie TV?

No. Non mi hanno chiesto di pensare agli attori, anche se un po’ di sfumature, come potrebbe essere l’abbigliamento, le ho tratte da lì. Anche perché la serie scritta da Kelly Thompson è nuova, va in cerca di nuovi lettori e quindi riferimenti anche minimi di coerenza con la serie TV erano una risorsa troppo comoda da sfruttare. Però sui volti, ad esempio, anche per il fatto che le serie Netflix non ci sono più e quindi ci sono questioni di licenze, ci è stato proibito di prendere come riferimento gli attori.

Personaggi su cui vorresti mettere le mani? E colleghi sceneggiatori con cui vorresti lavorare in futuro?

Eh eh… non vorrei suonare troppo ambizioso, però… Spider-Man, ovviamente. Sarebbe davvero il sogno di quando ero bambino che diventa realtà. Ho iniziato a leggere con lui. E poi i Guardiani della Galassia, tantissimo.

Sui Guardiani ti ci vedrei benissimo.

Spider-Man mi permetterebbe di mettermi alla prova sull’anatomia e la dinamicità, di cui parlavamo prima. Per quanto riguarda gli scrittori, mi piacerebbe Donny Cates.

Buttagliela lì! Hai l’occasione di averlo qui a Lucca! Lo hai incontrato?

No, non l’ho incrociato.

Lo intervisto domani. Glielo dico!

Dai! Magari. A ‘sto punto, dato che ho sparato in alto, ti dico anche Mark Millar.

Che invece non prevedo di incontrare a breve, mi spiace.

E poi, magari, un bel progetto indipendente con Robert Kirkman. Mi piacerebbe tantissimo lavorare ancora con Kelly Thompson, perché la adoro, è una che ti coinvolge, che vedi sempre in ogni momento presissima da quello che fa, entusiasta. Adesso sta lavorando con Captain Marvel, e poi sta iniziando su “Deadpool”. Si vede proprio che entra nella storia e con lei ho trovato una sintonia perfetta. Infatti, non appena ho portato a termine “Invisible Woman”, mi ha detto che anche lei vorrebbe collaborare ancora. Tutti i colleghi con cui parlo di lei dicono le stesse cose, e immagino sia così. Un bel tipo con tutti.

Avrai occasione di conoscere un po’ di colleghi a breve?

Penso che l’anno prossimo tornerò al New York Comic Con, dove l’anno scorso ho conosciuto i miei editor. Kelly non è potuta venire e mi ha scritto tutta dispiaciuta. Sarebbe stato proprio figo, e spero di beccarla lì nel 2020, oltre ad altri della Marvel.

E cosa bolle in pentola alla Marvel per te, visto che hai due anni di contratto? Se si può dire, ovviamente.

No, non si può dire. Però ci sono due editor molto, molto quotati, che ultimamente hanno fatto uscire delle storie molto, molto – ripeto ancora – MOLTO… importanti che sono interessati a me. Non posso farti il nome esplicitamente, ma lui ha già detto ai miei editor che vorrebbe rubarmi per portarmi in quel campo lì della Marvel. Che non posso dire. Però… è molto interessante. Anche perché mi ha detto che sarebbe interessato a me alla luce del mio lavoro su “Invisible Woman”, quindi mi ritengono adatto, a ragion veduta.

 

Mattia De Iulis Claudio