Tra pochi giorni, il cofanetto della prima stagione di Wondercity, presentato a Lucca Comics & Games 2019 da Tatai Lab, proporrà il settimo e ottavo numero, albi inediti realizzati a dodici anni dall’interruzione della serie da parte di Free Books.

Dopo aver intervistato tutti gli autori coinvolti nel progetto, abbiamo contattato Giovanni Gualdoni, che a metà degli anni Duemila, insieme a Stefano Turconi ed Emanuele Tenderini, ha creato Wondercity.

 

 

Lo sceneggiatore ha inoltre dato il suo contributo ai due albi inediti, collaborando con Francesco Vacca e Fabrizio Capigatti alla stesura dei soggetti, e nella chiacchierata con noi si è rivelato essere la “memoria storica” del progetto…

 

Ciao, Giovanni, e benvenuto su BadTaste.it!
Ci racconti com’è nato il progetto “Wondercity”?

Wondercity 1

Grazie a voi di BadTaste.it per la disponibilità. Riguardo “Wondercity”, la storia è un po’ lunga e chiedo ai lettori di portare pazienza. Il progetto nasce inizialmente per il mercato francese, da inserire all’interno del catalogo di proposte che annualmente presentavamo alla fiera di Angoulême. Lo presentammo e piacque subito a diversi editori. Solo Éditions Soleil, quella di “Sky Doll” per intenderci, ci offrì però l’opportunità di pubblicare più volumi all’anno, che era fin dall’inizio il nostro obbiettivo.

Contemporaneamente, tramite Stefano Turconi, venimmo a conoscenza che Disney Italia stava vivendo un momento d’oro in seguito al successo delle WITCH e cercava nuovi progetti. Senza pensarci due volte gli proponemmo “Wondercity”, che entrò in una rosa di progetti di altri autori disneyani. Dopo una serie di selezioni finimmo testa a testa con “Speed Loop”, di Fausto Vitaliano e Claudio Sciarrone, ma, all’ultimo, scelsero quest’ultimo. Fu certo una delusione ma, vista oggi, la considero una fortuna. Per restare nei canoni disneyani avremmo dovuto rivisitare fortemente il tono della serie, con il rischio, poi – come accaduto proprio a “Speed Loop” – di finire a pubblicare solo un numero zero.

Soleil, intanto, premeva sempre più per avere “Wondercity”, e questo ci permise di ottenere delle condizioni particolarmente favorevoli. Prima tra tutte ci opzionarono sei volumi in una volta, cosa mai accaduta fino ad allora. Inoltre accettarono di acquistare solo i diritti per la lingua francese, inglese e spagnola, lasciando a noi quelli per il resto del mondo. In questo modo, oltre ad uscire nei tre Paesi già citati, vendemmo la serie anche in altre nazioni, tra cui appunto l’Italia.

Qui avremmo dovuto uscire con Edizioni BD che, specializzata in prodotti da libreria e fumetteria, avrebbe dovuto esordire in edicola proprio con “Wondercity”. All’ultimo, però, fecero i loro conti e ci dissero che non se la sentivano di buttarsi sull’edicola con un investimento troppo oneroso per loro in quel momento. Sarebbero stati invece felici di pubblicarci in formato cartonato sui loro canali abituali. Declinammo l’offerta e, a un Comicon di Napoli, incappammo in Andrea Materia, direttore artistico di Free Books che, alla fine, fu il nostro editore per l’Italia.

Cosa ha rappresentato “Wondercity” per la tua crescita artistica e per il tuo modo di fare Fumetto?

Non mi vergogno a dire che è stato il progetto più impegnativo che abbia mai affrontato e, al contempo, quello che mi ha permesso di crescere di più come sceneggiatore, coordinatore redazionale e persino come agente, dato che alla fine mi trovai a contrattare con una mezza dozzina di editori esteri per ogni cosa, dalle condizioni contrattuali sino alla consegna del CD per la stampa.

Fu proprio in quel periodo, fra l’altro, che proprio grazie a “Wondercity” mi notò Sergio Bonelli, invitandomi a pranzo con lui e a una serie di visite in Casa editrice, in vista di quella che divenne poi una proposta di assunzione.

Puoi raccontarci un tuo ricordo legato a “Wondercity” che ha ancora il super potere di farti sorridere?

Sono tanti. Difficile sceglierne uno in particolare. Forse i momenti migliori erano quelli che trascorrevo con Stefano Turconi a inventare personaggi secondari che, immancabilmente, finivamo per caratterizzare più dei protagonisti. Mi riferisco ai docenti del collegio, in particolare al professore Luxor Lounes e al suo assistente Mr. Moleman, ai membri della Seconda Classe, che adoro dal primo all’ultimo, e ai cattivi, dove sono innamorato delle Argonaute, le malvagie ma non troppo assistenti del Conte Silberner. Non è un caso che questi personaggi abbiano poi preso vita propria divenendo protagonisti di episodi della serie spin-off pubblicata in coda al magazine di “Wondercity”, “Tales of Wonder”.

All’epoca, lo staff di “Wondercity” aveva annunciato un primo ciclo narrativo programmato per sei episodi, poi divenuti dodici e infine ridotti nove. Come sappiamo, la serie si è purtroppo interrotta al sesto albo. Come avete reagito alla chiusura della serie? In questi anni ci sono stati altri tentativi di farla proseguire?

Parlo per me dicendo che il dispiacere maggiore fu quello nei confronti degli autori coinvolti, con i quali si era instaurato un sincero rapporto di amicizia, e verso i tanti lettori che ci seguivano con grande passione. Ovviamente abbiamo pensato a ogni possibile modo di far ripartire la serie, ma purtroppo, sino all’arrivo della proposta di Tenderini e della sua Tatai Lab, non siamo mai riusciti a concretizzare nulla.

Quali pensi siano i principali punti di forza della serie?

Potrei dire il disegno, i colori, l’enorme lavoro che c’era dietro, la grafica, lo studio dei personaggi eccetera… Ma preferisco semplificare dicendo solo che quello fu il progetto a cui lavorai con più entusiasmo di ogni altro prima e, forse, anche dopo. E, come si sa, la passione è contagiosa.

Quale impatto pensi possa assumere la ripresa di “Wondercity” e delle sue tematiche di apertura e diversità nella sua società attuale?

Fosse anche solo un sassolino nello stagno di odio, intolleranza e paura nella quale è sprofondata la società attuale, ben venga che anche un fumetto possa fare la sua piccola parte aiutando le nuove generazioni a essere migliori di quelle che le hanno precedute.

Come hai collaborato alla ripresa della serie e ai due nuovi albi?

Ho scritto, a sei mani con gli altri sceneggiatori, i soggetti e ho fornito loro tutto il materiale, su cui poi si sono dimostrati preparatissimi, riguardo l’ambientazione e le mie idee sul prosieguo e sul termine della stagione. Il loro lavoro è stato incredibile, e non gli sarò mai abbastanza grato per aver ridato vita a questo progetto che per me e altri ha significato così tanto.

Nel caso “Wondercity” proseguisse oltre la prima stagione, c’è possibilità di vederti tornare alla sceneggiatura di qualche episodio?

Difficile ma non impossibile. Quest’anno ho festeggiato i vent’anni come sceneggiatore. Possono sembrare pochi a chi, come Alfredo Castelli, papà di Martin Mystère, ne compirà a breve i cinquantacinque di attività, ma per me, sinceramente, cominciano a essere tanti.

Voglio continuare a scrivere, di questo sono certo, ma per medium diversi dalla letteratura disegnata. Come altri miei colleghi sto puntando su narrativa, Cinema e Televisione. Al Fumetto resterò comunque legato per sempre, ma preferirei limitarmi, come ho fatto per questi due ultimi episodi di “Wondercity”, al ruolo di soggettista, lasciando a menti più giovani e talentuose quello di sceneggiatore.