Manca ormai meno di un mese all’uscita del cofanetto di Tatai Lab dedicato a Wondercity, contenente storie edite e inedite, che concluderà la prima stagione dopo una pausa lunga più di dodici anni.

 

 

Dopo Stefano Turconi e Francesco Vacca, abbiamo contattato lo sceneggiatore Fabrizio Capigatti (Into the Net, Capitan Venezia) per chiedergli di parlarci del ritorno della serie e in particolare della realizzazione del settimo numero.

 

Ciao, Fabrizio e benvenuto su BadTaste.it!
Conoscevi “Wondercity” prima che Tatai Lab decidesse di rilanciarlo? Quali pensi siano i suoi principali punti di forza?

Ciao! Sì, conoscevo eccome “Wondercity”! Ricordo bene: con Emanuele ci siamo conosciuti praticamente in quel periodo perché stava organizzando un corso di colorazione ed è da lì che ho conosciuto il suo lavoro e “Wondercity”!

Per mio gusto personale, due punti di forza spiccano tra i tanti della serie: il primo è l’aspetto visivo, davvero sensazionale, mentre il secondo sta nei personaggi che animano le storie e il loro – in qualche modo – essere vicini ai super eroi di cui son sempre stato affamato!

Quale impatto pensi possa avere sulla società attuale la ripresa di “Wondercity” e delle sue tematiche di apertura e diversità?

Fare pronostici è sempre difficile, ma quel che posso dire è che mi auguro possa avere un impatto positivo. Quando si toccano questi temi, ricordo sempre le parole di Marcello Fois, uno dei miei docenti di Sceneggiatura di fiction. Lui giustamente diceva che “noi” scrittori dobbiamo sempre cercare di fare al meglio il nostro lavoro con l’ambizione di migliorare la società. Ecco, stiamo parlando di un prodotto d’intrattenimento, ma io auspico che queste storie aiutino ad avere una predisposizione all’apertura. Non c’è niente di meglio della curiosità e della conoscenza. E te lo sto dicendo mentre sono dall’altra parte del globo, in Australia!

Cosa pensi di questa nuova edizione? Temi il peso del confronto o, al contrario, ti stimola?

Questa nuova edizione, permettimi, penso sia una figata assurda! “Wondercity” era un fumetto cult, interrotto prima della fine: pensare che esca in una nuova edizione, curata come Tatai Lab cura tutti i suoi libri, e per di più portando a termine la prima stagione… penso si possa solo commentare con un “WOW” grande come una casa. E, proprio per questo motivo, sono veramente emozionato. Aver l’onore di chiudere la prima stagione con l’ultimo episodio è elettrizzante e, semmai, più che temere il confronto sento un senso di responsabilità verso i lettori che sognavano da tempo che “Wondercity” potesse riprendere.

C’è qualche personaggio a cui ti senti affine? E se sì, quale?

Non direi affine, ma posso dire che Roary ed Erik sono i personaggi che amo di più perché, per quanto “forti”, hanno debolezze, paure, segreti, desideri… sono personaggi incredibilmente umani e ricchi di sfacettature.

Come ti sei immerso nel mondo di “Wondercity”? In che modo ti sei confrontato con i creatori della serie e la sua bibbia?

Quello che Giovanni Gualdoni aveva creato è incredibile. La bibbia, già ricchissima, era la punta dell’iceberg. Quando io e Francesco ci siamo messi al lavoro siamo stati travolti da personaggi, intrecci, sottotrame… quello che avevamo a disposizione era un bacino di informazioni immenso e travolgente! Poi, ovviamente, ci siamo fatti delle domande, abbiamo cominciato a ragionare su come dovevamo far proseguire la storia, e a ogni domanda arrivava una pioggia di informazioni nuove, di intrecci e semine che Giovanni aveva precedentemente immaginato. Uno degli aspetti più belli di “Wondercity” è che è stato creato un vero e proprio mondo, enorme, ricchissimo e variopinto come solo un Mondo sa essere.

Dovendo chiudere le trame della prima stagione, quanto ti sei basato sulle linee guida preesistenti e quanto invece hai avuto libertà di manovra?

Non avevo un soggetto, quindi sono partito da zero, dalla stesura di quello che avrebbe di fatto chiuso la prima stagione. Chiaramente è stato fondamentale in primis il lavoro di squadra fatto con Francesco [Vacca], con cui ho lavorato divinamente. Sapendo come volevamo chiudere la stagione, dovevamo coordinare il mio numero e il suo, oltre ovviamente a dover rispettare le idee iniziali di Gualdoni con cui ci siamo confrontati molto.

È stato un gran bel lavoro: non dovevo “tradire” le idee di Giovanni ma ho avuto molta libertà di metterci del mio. Inoltre, anche per via del mio percorso di studi, in cui si lavora spesso in team per la fiction, la condivisione e lo scambio costante con Francesco sui rispettivi episodi credo sia stato un valore aggiunto – oltre che necessario – per affrontare questo lavoro.

Trovandoti a scrivere l’ultimo numero della prima stagione, in che misura hai lasciato aperti degli spiragli narrativi per la seconda?

Questa domanda è un trabocchetto, e tu lo sai benissimo! A parte gli scherzi… la mia risposta non può essere dettagliata perché vige la regola del “non spoiler”, però posso dire questo: la prima stagione ha una fine a tutti gli effetti, e il Mondo di cui parlavo prima è così vasto che io e Francesco potremmo andare avanti fino all’età pensionabile. E siccome la pensione non la vedremo mai, significa all’infinito!

Come descriveresti in tre parole la storia che hai scritto? Cosa dobbiamo aspettarci?

Emozionante. Perché spero davvero che emozioni i lettori così come ha emozionato me lavorare a quel che accadrà nel volume ai tantissimi personaggi. E succedono davvero un sacco di cose, come in ogni finale di stagione che si rispetti!

Adrenalinico. Perché spero sia una scarica di adrenalina per il lettore, soprattutto per l’attenzione che metto nel mio lavoro relativamente al ritmo.

Dipendenza. Perché spero che i lettori non possano più fare a meno di “Wondercity”!

 

Wondercity 8, copertina di Stefano Turconi