Ieri pomeriggio, durante la prima giornata di Lucca Comics & Games 2019, abbiamo partecipato alla conferenza stampa con il leggendario Don Rosa, autore della celeberrima Saga di Paperon de’ Paperoni.

 

 

L’autore del Kentucky ha confermato la sua ben nota avversione nei confronti della Disney, spiegando i motivi dietro a tanta ostilità e raccontando la sua personale visione dei Paperi:

 

Don Rosa

Don Rosa – Questa è la mia tournée autunnale in Europa: ho lasciato mia moglie a casa a occuparsi degli animali e del giardino, non sono venuto qui per fare il turista. Sono qui per fare il mio lavoro, incontrare i fan e firmare dediche, magari far guadagnare chi lavora con me e portarmi qualcosina a casa. Mi sentirei un po’ colpevole a fare il turista senza di lei, perciò sto cercando di evitarlo.

Sono venuto qui già ventisei anni fa, ed è sempre bellissimo tornare. Ci sono queste mura meravigliose… negli Stati Uniti avrebbero buttato giù tutto per costruire dei parcheggi. In quell’occasione avevo passeggiato per la città, notando i primi negozi per turisti. Forse non sono la persona giusta per parlare delle differenze tra cultura alta e bassa: negli Stati Uniti non c’è molta cultura.

Ho visto un paio di episodi di DuckTales, ma trovo che sia un intrattenimento troppo sopra le righe. Non mi piace che la Disney prenda le idee mie e di Carl Barks per farci qualcos’altro. Trovo un insulto anche questo portfolio Disney’s art of Don Rosa. Io lo chiamerei “Carl Barks’ Art of Don Rosa”.

Al momento ci sono 300 persone che mi stanno aspettando sotto la pioggia per un autografo. Negli Stati Uniti le cose vanno in maniera molto differente: al mio stand si ferma forse una persona ogni quindici minuti, e più o meno una all’ora mi riconosce per via dei miei lavori. Dovrei mettere un cartello che dice: “Questo non è lo stand di DuckTales“, perché molti ignorano che Zio Paperone sia prima di tutto un personaggio dei fumetti e poi di una serie animata.

Mi piacerebbe che la Disney usasse il lavoro di Don Rosa e Carl Barks per il suo intento originale, ma non è quello che sta accadendo. La Disney ha i diritti di questi personaggi, di queste storie e non posso farci niente.

Don Rosa

Ai tempi volevo raccontare delle storie di avventura, come quelle di Carl Barks. Mi è sempre piaciuta l’idea di poter realizzare una storia con i personaggi di Barks, e alcuni amici me ne hanno offerto la possibilità, quando hanno ottenuto i diritti di pubblicare i suoi fumetti. Mi hanno chiesto di realizzare una storia di Paperone, ero convinto che sarebbe stata una sola, ma quando è stata pubblicata ha vinto il premio come fumetto dell’anno. Al che mi sono detto: “Facciamone una seconda”. È andata bene anche quella, così ho deciso di liquidare l’azienda di famiglia fondata un secolo prima.

Negli Stati Uniti non esisteva questa possibilità, mentre in Europa sì. Non mi piaceva però il modo in cui veniva descritto Paperone, che era soprattutto un avaro. Questo aspetto non mi interessava: volevo raccontare di un personaggio in cerca di avventura. Lui non è interessato al denaro in sé, infatti non lo spende, ma continua a collezionare trofei. Lui è il più duro dei duri, il più furbo dei furbi e fa quadrare i suoi conti. Volevo approfondire questo personaggio.

 

Abbiamo avuto la possibilità di porre una domanda al maestro Don Rosa, il quale si è particolarmente emozionato nel soddisfare la nostra curiosità:

 

Sappiamo che da anni ha deciso di non realizzare più storie a fumetti. Ci ricorda un po’ Zio Paperone, che decide di ritirarsi su Monte Orso per non vivere più avventure. Lui, però, poi incontra Paperino, Qui, Quo e Qua, che in qualche modo gli fanno cambiato idea. Cosa potrebbe far cambiare idea a lei? 

Don Rosa

Don Rosa – No. Sono cresciuto con la necessità di raccontare storie. Sono cresciuto in campagna, mia sorella è andata via di casa molto presto e mi ha lasciato la sua collezione di fumetti. Avevo bisogno di raccontare storie a me stesso e facevo questi mix di vecchi film e fumetti. Poi, al college ho realizzato fanzine assieme ad alcuni amici, senza avere un ritorno economico, solo per soddisfare il bisogno di raccontare storie, cosa che ho sempre amato fare. All’epoca lavoravo nell’impresa edile di mio padre, ma a un certo punto il mio sogno è diventato realtà: dall’Europa mi hanno chiesto di sviluppare i personaggi di Carl Barks. Da americano medio, la mia visione era “tutto ciò che non succede in America non esiste”, e invece esisteva un fiorentissimo mercato di storie a fumetti Disney.

Ho lavorato ai personaggi di Barks per vent’anni, ma quel periodo sarebbe durato molto meno se non fosse stato per i fan. Avrei mollato quindici anni prima, ma l’amore che loro dimostravano per il mio lavoro mi ha convinto ha continuare. Il “sistema” Disney ha distrutto la mia passione per la narrativa, per le storie raccontate. Non mi sono mai pentito di aver preso la decisione di non realizzare più storie, perché il mio entusiasmo è stato ucciso.

Ciò che più mi disgustava erano i calendari di Don Rosa, i libri di Don Rosa… tutto materiale su cui io non potevo mettere mano, sul quale non avevo il minimo controllo. Inoltre era qualcosa per cui non prendevo un soldo, perché tutti i diritti erano di Disney. Mi dava fastidio che la gente fosse convinta io ero milionario, che avessi fatto un sacco di soldi.

Don Rosa

Prima di smettere, dodici anni fa, ho messo un copyright sul mio nome, così da impedire la produzione di materiale di scarsa qualità con la dicitura “Don Rosa”. Non lo sopportavo. La Disney sfruttava il mio nome perché sapeva che amo il mondo di quei personaggi e il mio lavoro. Ora posso dire la mia, quali colori vanno utilizzati e quali testi di accompagnamento inserire, perché c’è il mio marchio. Inoltre, devono farmi un’offerta, devono trattare.

È chiaro che i profitti sono tutti della compagnia. Le royality si fanno sempre più basse, perché la Disney deve avere ogni anno un profitto maggiore. Per esempio, grazie alla collana a mio nome venduta in Russia mi verrà in tasca un migliaio di dollari, complessivamente, per dei volumi che vengono venduti a 100 Euro a copia. Non è tanto questione di soldi, ma di rispetto. Rispetto per le persone che hanno svolto il lavoro che ora stanno sfruttando.

Al momento, la cosa che più mi preoccupa sono tutte quelle persone che aspettano sotto all’ombrello per avere un mio autografo, cosa che faccio molto volentieri. In questi tour nelle fiere sto dietro a un tavolo anche per dieci ore di fila, ininterrottamente. Evito anche di bere prima di cominciare, così da non dover andare in bagno. Vi sembrerà retorico, ma è vero: più sto seduto al tavolo e più ho energia. È come se assorbissi quella dei fan. Quando mi alzo dal tavolo dopo dieci ore, sono ancora più entusiasta di prima.