La settimana scorsa vi abbiamo presentato la copertina dell’ottavo numero di Wondercity, illustrata da Stefano Turconi (Non stancarti di andare, Il porto proibito), tornato a lavorare sul fumetto che aveva contribuito a creare a metà degli anni Duemila.

 

 

Abbiamo in seguito contattato il disegnatore per fargli qualche domanda sul ritorno della serie e su come si è approcciato ai personaggi della serie dopo così tanti anni dall’ultima volta.

 

Ciao, Stefano! E bentornato su BadTaste.it.
Cosa ha rappresentato “Wondercity” per la tua crescita artistica e per il tuo modo di fare Fumetto?

Be’, potrei dire che è stato una specie di test, di sfida: un modo per vedere quello che riuscivo a fare, dove potevo arrivare, dal punto di vista “artistico” ma anche “fisico” (occuparsi di una serie comporta una quantità di lavoro, di impegno e di stress tutt’altro che indifferente).

“Wondercity” è arrivato in un momento di, potremmo dire, “fermento”, un momento in cui molti di noi autori provenienti dalla realtà del Fumetto popolare italiano (Disney, Bonelli) cercavano una via più autoriale nel mercato francese. “Wondercity” è stato questo, per me: un modo per aprire una porta su un mondo più vasto e stimolante.

Quale credi sia stata “l’eredità” di “Wondercity” (non che sia morto, anzi, è più in forma che mai!) dopo l’interruzione della serie? Ha influenzato in modo rilevante qualche tuo fumetto successivo o hai visto delle sue influenze in opere di altri autori? Qualcuno ti ha mai detto di averlo tra le sue fonti d’ispirazione?

Wondercity 8, copertina di Stefano Turconi

Per quel che mi riguarda, Roary & Co. hanno avuto un curioso erede: Pippo. É abbastanza risaputo che, quando mi occupo di una storia con una precisa ambientazione, passo molto tempo a documentarmi, raccolgo materiale, studio… Insomma, cerco di costruirmi le condizioni per essere più preciso possibile nella ricostruzione storica. Possiamo affermare senza tema di smentita che sono un pignolo rompipalle di prima categoria. :-)

Ecco, per “Wondercity” avevo raccolto così tanto materiale, mi ero talmente calato nel mondo degli anni tra il proibizionismo e la Seconda Guerra Mondiale che mi dispiaceva tantissimo doverne uscire. Perciò, quando con Teresa ci siamo messi a pensare a una serie da proporre alla redazione di “Topolino” e dovevamo decidere in che epoca ambientarla, io ho detto subito: “Gli anni ‘30!!!”. Così da una serie ne è nata un’altra: “Pippo Reporter”, una delle nostre produzioni Disney più fortunate.

In generale, invece, credo che non siano pochi gli autori che sono stati influenzati da “Wondercity”, almeno a giudicare da quanto spesso mi capita di dedicare vecchie edizioni, sia italiane che francesi, ma anche che lettori e autori mi dicano quanto abbiano amato la serie o che la leggevano da ragazzini (questa cosa è un po’ più inquietante, perché di solito si tratta di ragazzoni grandi, grossi e con la barba, cosa che mi fa sentire terribilmente vecchio…)

Quale impatto pensi possa assumere la ripresa di “Wondercity” e delle sue tematiche di apertura e diversità per la sua società attuale?

Viviamo in tempi oscuri, purtroppo. Odio, rancore e intolleranza sono stati diffusi a piene mani e temo ci vorrà un po’ perché questa marea di liquami si abbassi, anche se cominciano a vedersi le prime timide luci. Non mi illudo che un fumetto possa cambiare qualcosa. Però, chissà, in fondo “apertura” e “diversità” sono parole di cui la nostra società ha un disperato bisogno…

Puoi raccontarci un tuo ricordo legato a “Wondercity” che ha ancora il super potere di farti sorridere?

I pomeriggi con Giovanni Gualdoni a studiare i personaggi e a cercare chi, tra amici e colleghi, usare per una determinata parte in una determinata storia. Uno su tutti: il prof. di archeologia Luxor Lounes era modellato sul nostro spacciatore di noccioline caramellate ad Angoulême…

Com’è stato tornare a disegnare i personaggi di Wondercity per la copertina dell’ottavo numero, dopo tutto questo tempo? Lo stile mi è sembrato leggermente differente dal tuo tratto abituale…

Non è stato semplice, in effetti. In fondo sono passati più o meno quindici anni. Oddio, non è che abbia mai davvero “smesso” di disegnarli: spesso me li chiedono alle fiere, e anche in quei casi devo cercare un’immagine del personaggio per vedere com’è fatto…

Per la cover la difficoltà maggiore è stata il momento dell’inchiostrazione: non usavo in quel modo, pulito e preciso, i pennarellini Pigma da una vita, e decisamente non sono più abituato…