In occasione del Comicon 2019 abbiamo incontrato Lorenzo Palloni per parlare della nuova edizione – rimasterizzata e colorata da Luca Lenci – della sua opera La lupa, che uscirà in fumetteria e in libreria il prossimo 16 maggio per saldaPress.

Con lui ci siamo soffermati soprattutto sulla protagonista, Ginger – o meglio la Ginger, come preferisce chiamarla – sulla sua origine e sul conflitto interiore che l’accompagna nel corso della storia.

 

Ciao, Lorenzo! Bentornato su BadComics.it.
Quella pubblicata da saldaPress è una nuova edizione di “La lupa”: cos’è cambiato dalla precedente? Hai avuto modo di cambiare qualcosa?

La lupa, copertina di Lorenzo Palloni

In origine, “La lupa” è uscito per il collettivo Mammaiuto in duecento copie, che sono volate via nel giro di due mesi perché è piaciuto molto. Il primo cambiamento è avvenuto quando io e Lenci, il colorista, lo abbiamo proposto a Sarbane, che è la mia casa editrice di riferimento in Francia, con cui ho pubblicato alcuni libri. A loro è piaciuta molto l’opera nella versione a colori, perché in Francia il mercato è squisitamente a colori, tranne per i grandi maestri come Pratt e Battaglia, che possono essere letti in bianco e nero. I giovani autori, generalmente, vengono pubblicati a colori, per cui questo è stato il primo cambiamento. È squisitamente tecnico, dato che la prima versione de “La lupa” era in bianco e nero con i retini.

Poi, per l’edizione di saldaPress, abbiamo lavorato anche sui testi e snellito la storia. Sono passati tre anni dalla prima edizione, per cui sono cambiato anche io come autore e ho affinato molto il mio lavoro. Il fumetto è stato riletterato tutto da Ravazzani di saldaPress, che fa anche parte di Mammaiuto, il che ha reso incredibile questa nuova edizione, che definirei la versione definitiva del libro. Dopo questa non credo ce ne saranno altre.

Com’è nata la storia di “La lupa”? A cosa ti sei ispirato?

Ricordo un servizio del telegiornale o di un sito online che mostrava la vita di chi recupera crediti così com’è nella realtà. Un servizio super interessante e altrettanto violento che raccontava del lavoro di questa gente che poi torna a casa da moglie e figli. Volevo capire che cosa scattasse nella testa di queste persone che per lavoro sono violente, ma quando tornano a casa sono di una tenerezza sfrenata.

La cosa bella dello scrivere personaggi è che sono tridimensionali e bisogna trovare il modo di fare andare di pari passo delle dinamiche molto differenti tra loro. Uno dei personaggi più interessanti di cui abbia mai letto è Daredevil, che è un avvocato, disabile, cattolico, che di notte diventa un vigilante: un esempio perfetto di come mettere insieme cose completamente differenti e farle andare bene insieme faccia capire come funzionino gli esseri umani. Un insieme di dinamiche sociali, caratteriali e un po’ animalesche che con la giusta alchimia danno risultati molto soddisfacenti.

È quello che ho provato a fare con la Ginger, la protagonista di “La lupa”. Personalmente mi soddisfa sentire che un personaggio sia “risolto”, cioè che puoi immaginarlo mentre cammina nella stanza insieme a te, che possa fare cose, che sembri effettivamente tridimensionale.

La lupa, anteprima 01

In questa storia hai sviscerato l’animo della Ginger. Lei, però, rimane in una zona grigia: ne vediamo il lato più spietato così come quello tenero. Qual è l’origine del suo “male”? È qualcosa di intrinseco nella sua natura o è causato dai trascorsi che in parte racconti nel fumetto?

Direi che è causato dal suo vissuto: lei non sa fare altro, è cresciuta portando avanti questa attività. Nella finzione narrativa, mi immagino lei, nipote di questo tabaccaio che le insegna il lavoro fin da piccola. Anche se non ci sono tutti i dettagli all’interno del volume, ho immaginato nei particolari la sua adolescenza: la Ginger è una ragazzona che aiutava questo tabaccaio, un usuraio, a riscuotere i crediti. Da quando era giovanissima non ha fatto altro, quindi si trova a dover inventare scuse per rimanere se stessa.

È molto più comodo restare nel proprio dolore e nelle proprie abitudini piuttosto che cambiare. La Ginger è una persona molto attiva, ma da questo punto di vista è pigra, perché non vuole cambiare. Crede di stare bene così. Poi, quando i suoi affetti cominciano a vacillare, mette in discussione il resto del suo mondo.

Dunque, quando comincia a nascere il suo conflitto interiore e nella storia diventa più evidente, è questa sua pigrizia, la ritrosia al cambiamento, che le impedisce di tagliare con la sua vita lavorativa. Oppure è la paura che possa succedere qualcosa ai suoi affetti? O ancora l’attaccamento al potere che è riuscita a ottenere facendo quel lavoro a impedirle di cambiare?

Credo che siano tutte e tre le cose, effettivamente. È una persona che sta bene come sta, ma il suo potere e la forza che ha sviluppato in tutti quegli anni di attività le danno un senso di sicurezza nei confronti dei suoi cari. Se continua a portare i guantoni e a spaccare grugni, sicuramente non accadrà niente alla sua famiglia, ma una volta abbandonato quel mondo, cosa potrebbe succedere?

Ha timore dell’indeterminatezza…

Esatto, dell’ignoto. Lasciata la vecchia strada, per lei la cosa principale è proteggere ciò che ha, sia la famiglia sia il suo stesso lavoro, almeno fino a un certo punto della storia. Proprio per questo ho pensato alla gabbia delle tavole: ogni vignetta doveva avere lo stesso peso, ogni momento di vita della Ginger doveva avere la medesima importanza: mentre stava spaccando la faccia a un poveraccio per 500 Euro così come quando era a casa a coccolare i suoi figli. Mi piace questo genere di potenza che il Fumetto riesce a esprimere.

La lupa, anteprima 02

Dopodiché, la Ginger salta nel vuoto, ma la sensazione che lascia quel balzo è che se si è fatti in un certo modo non è detto che si possa cambiare…

È un finale aperto. Non si sa bene cosa avvenga, ma non mi interessava raccontarlo. Quando ho lavorato al fumetto non ho saputo quale fosse il finale finché non ho cominciato a disegnare. Solitamente, quando lavoro a un libro scrivo tutto e faccio gli storyboard per l’intera storia, mentre con questo ho lavorato a un episodio per volta, cosa che mi ha dato la possibilità di sviluppare la Ginger in modo più “carnoso”. All’inizio pensavo che la storia si sarebbe conclusa in modo molto drammatico, ma poi ho capito che non ero interessato a scrivere una cosa del genere e che preferivo concentrarmi sul modo in cui lei sarebbe arrivata a un cambiamento drastico per la sua vita.

Il fatto che il finale sia in cliffhanger è funzionale: considerando che il personaggio si muove realisticamente, ci si immagina che il male che ha fatto le ritorni indietro, in modo karmico. È una conclusione “catartica”. A me piacciono molto i finali nichilistici. Sono cresciuto leggendo i libri dell’Agente 007, di Ian Fleming, che sono un delirio di sesso, droga, sangue e violenza. È incredibile come Fleming riuscisse a far finire le storie in maniera drammatica, quasi mai positiva per il personaggio e sempre ambigua. Questa cosa mi è rimasta dentro e l’ho sempre ricercata per le mie narrazioni: dare una botta al lettore, lasciare un senso di sospensione e di stupore.

Prima hai detto di aver pensato molto all’adolescenza della Ginger: hai mai pensato di riprendere questo personaggio per raccontare altri eventi della sua vita?

No, secondo me quando senti un personaggio esaurito, è esaurito. Mi sarebbe piaciuto riprenderla perché è molto divertente e molto stimolante stare nella sua testa, ma non credo sia necessario. Il male necessario, in questo caso, è non fare niente. Potrei benissimo scrivere “La lupa 2”, ma non voglio proprio intaccare il cerchio che ho chiuso.

C’è un altro personaggio che mi piacerebbe molto riprendere: Rico Ferris, il protagonista di un altro mio lavoro che si intitola “Mooned” [edito da Shockdom – NdR]. È talmente simile a me che mi veniva davvero semplicissimo scriverlo, e mi piacerebbe riprenderlo, ma non lo farò mai. Perché quella parte della mia vita e quella parte del mio storytelling sono finiti lì. Non lo riprenderò perché la storia ha sempre la precedenza: l’autore non deve esistere mai, solo la storia e quello che si vuole dire. Quando la storia è perfetta così, non ha senso andare avanti.

Nella tua storia, la Ginger ricerca il silenzio, ma hai pensato a una colonna sonora o a delle canzoni che potrebbero rappresentarla?

Quando lavoravo a ognuno degli episodi ascoltavo canzoni alla “Drive”, di Winding Refn, musica elettronica anni Ottanta, per rievocare delle atmosfere notturne urbane. Ma anche italiana anni Settanta, che richiama il mondo in cui lei è cresciuta. In realtà, ho pensato più che altro a quali attrici avrebbero potuto interpretarla se il fumetto venisse trasposto in un film. Insomma, più cose legate alle immagini che alla musica.

La lupa, anteprima 03

Sei un artista completo, ma collabori con altri autori: quale tipo di lavoro preferisci?

Questa è sempre una bella domanda, e la risposta è sempre la stessa, ovvero che nelle varie esperienze le sensazioni sono differenti. Tutte e tre le esperienze – essere autore unico, scrivere una sceneggiatura o fare da disegnatore per qualcun altro – sono completamente diverse tra loro. Da autore unico sei libero, scrivi cose e sai quando vanno bene o vanno male, sei guidato da un tipo di istinto particolare.

Sceneggiare dà una soddisfazione diversa, perché vedi le tue parole interpretate dalla testa di qualcun altro, spesso migliorate. Attualmente sto lavorando con una disegnatrice molto brava, Vittoria Macioci, che interpreta tantissimo la mia scrittura, ed è molto soddisfacente anche se le cose vengono diverse da come me le immaginavo. Anzi, è proprio per questo!

La terza parte è quella del lavoro da disegnatore, che è molto divertente perché ci si può lasciare andare senza avere la pressione della scrittura. Nel momento in cui scrivi per te stesso senti quasi di dover rendere omaggio a una parte di te. Hai proprio un istinto di dovere qualcosa – almeno per quanto mi riguarda – alla tua scrittura, il che è limitante. Quindi quando disegni per qualcuno – come in questo momento che sto lavorando con Samuel Daveti a una nuova serie di Mammaiuto che si chiama “Il premio” – ti senti veramente libero di fare il regista: prendi e piazzi la camera senza l’ansia della tua scrittura.

Personalmente ho diverse esigenze: quando scrivo tanto, a un certo punto ho bisogno di farlo per me o disegnare per qualcun altro… Devo mantenere un certo equilibrio che non ho ancora capito bene come funzioni.

Hai già anticipato un po’ dei tuoi progetti futuri. Ci sono altre cose a cui stai lavorando e di cui ti va di parlare ai lettori di BadComics.it?

C’è un sacco di roba! Sto facendo un adattamento di un progetto scientifico del Dipartimento di Ecodinamica dell’Università degli Studi di Siena. Sto lavorando a “The Desolation Club”, una storia per ragazzi in due volumi in collaborazione con Vittoria Macioci, che uscirà in Francia, per Sarbacane, a fine anno e all’inizio dell’anno prossimo. Poi sto lavorando a un altro progetto con Martoz, di cui non posso ancora parlare.

Direi che ho in ballo almeno quindici progetti da sceneggiatore e quattro da autore unico, e proprio per questo faccio un appello: ho bisogno di un agente che riesca a vendere all’estero i miei lavori, perché non riesco a starci dietro da solo!

 

Lorenzo Palloni (Comicon 2019)