In occasione del Comicon 2019, abbiamo avuto il piacere di conoscere Giulia “Zuzu” Spagnulo e di parlare con lei della sua opera d’esordio, Cheese, edita da Coconino Press.

Durante la chiacchierata abbiamo chiesto all’autrice di raccontarci com’è nato il progetto e quali sono state le difficoltà incontrate durante la creazione di una storia così personale.

 

Ciao, Zuzu! Benvenuta su BadComics.it.
Direi di cominciare con una domanda per presentarti ai nostri lettori: com’è nata la tua passione per il Fumetto e per l’illustrazione? C’è stato un momento in particolare in cui hai capito che volevi fare questo lavoro nella vita?

Sì, ho avuto un momento un po’ epifanico, di quelli che poi racconti. Mi è sempre piaciuto disegnare, fin da piccola, ma non sapevo bene che farmene di questa passione. Un giorno ero in un bar di Salerno e ho trovato un fumetto: “LMVDM – La mia vita disegnata male”, di un certo Gipi. L’ho letto e poi mi sono detta: “Ecco cosa posso fare!”. O meglio, “cosa mi piacerebbe fare”. Ho scoperto un mondo che mi era ignoto – perché conoscevo solo i fumetti di super eroi, che è un genere che non mi appartiene – e ho trovato un linguaggio che avrei potuto usare anch’io, a mio piacimento.

È bello che sia stato proprio un fumetto di Gipi a farti intraprendere questa strada. Lui è stato infatti il tuo “Mago” [iniziativa di Coconino Press che affianca artisti d’eccellenza a nuovi autori italiani – NdR] per la creazione di “Cheese”. Ti va di raccontarci che ruolo ha avuto durante la lavorazione?

Credo che il ruolo di “Mago” cambi da persona a persona. Nel mio caso, Gipi ha posto delle domande che mi hanno fatto aprire gli occhi sulla storia. Il fumetto c’era già, così come gran parte della trama, ma quando lo si leggeva, si arrivava alla fine e si voltava pagina… non si era davvero pronti al finale, ci si aspettava che ci fosse altro. Per preparare il lettore alla conclusione, era necessario capire meglio cosa volessi raccontare. Gipi mi ha chiesto: “Di cosa parla il tuo fumetto?”. E io ho iniziato a raccontare, fino a quando non mi ha interrotto dicendo che finché non fossi riuscita a trovare una sola parola per raccontarlo, non sarei riuscita a farlo concluderlo nel modo giusto. Poi mi ha anche dato un’altra serie di suggerimenti. È stato un po’ quella vocina della coscienza che ti fa aprire gli occhi.

E la parola è stata…?

Audacia.

Hai già in parte anticipato la risposta alla prossima domanda, ma volevo comunque chiederti se, oltre alla definizione finale, hai incontrato altre difficoltà durante la lavorazione.

Inizialmente, la principale difficoltà è stata rappresentata dai tempi. Questo fumetto è stata la mia tesi di laurea, per cui ho avuto un mese e mezzo per completarlo. Dovevo completare cinque tavole al giorno, quindi è stato difficile gestire il tempo e la mia salute mentale. Inoltre, è stato difficile chiuderlo, togliere delle parti e aggiungerne altre dove era necessario, e soprattutto fare quel lavoro finale di pulizia che poi ha cambiato molto il tutto: sono state aggiunte varie piccole cose, ma così rilevanti che è cambiato il significato alla base della storia.

Hai raccontato una storia molto intima: è stata una scelta consapevole o una cosa che è avvenuta in corso d’opera?

Visto che era la mia tesi, in origine non ho proprio pensato al pubblico. Pensavo che a leggere “Cheese” sarebbero stati i miei professori e i miei compagni di corso, quindi lo consideravo il mio momento per fare finalmente un fumetto, dato che prima di allora non avevo avuto modo. Ho frequentato un corso di illustrazione allo IED, non avevo la possibilità di dedicarmi ad altro a causa delle commissioni. Mi sono presa il tempo necessario per raccontare ciò che volevo e non ho pensato a quanto fossero implicate la mia parte emotiva, la mia fragilità e il mio passato. Non mi importava di questo aspetto.

Nella storia, il corpo ha un ruolo fortemente simbolico. Anche questo è stato un elemento che è venuto di getto, oppure c’è un ragionamento preciso dietro?

La ricerca sul corpo nasce ancor prima del fumetto, perché i tre anni di università in cui mi sono dedicata al disegno ventiquattro ore al giorno, a fare continuamente copia dal vero, mi hanno fatto capire che avevo un particolare interesse per il corpo, il quale ha sicuramente origine anche dal rapporto che ho con il mio e dalle difficoltà che ho vissuto.

In questa storia doveva emergere soprattutto il corpo come quarto protagonista, perché c’è un rapporto, oltre che tra i personaggi, anche tra Zuzu e il suo corpo, che è quasi una storia parallela leggibile a sé. Tutte quelle parti in cui non ci sono vignette, quelle in cui ci sono solo parole in libertà, potrebbero essere lette da sole, dato che hanno una loro linea narrativa incentrata sul corpo.

Altro elemento fondamentale nella tua storia è il disturbo alimentare: ritieni sia necessario che nei media di intrattenimento, fumetti o romanzi, si parli di più dell’intrusività di questo genere di problematiche?

Credo che non sarebbe male, ma che purtroppo manchi a priori un’attenzione a tutto ciò anche nelle scuole e nelle famiglie. L’attenzione dei media dovrebbe arrivare dopo. Non è una cosa negativa, ma prima di tutto l’ideale è che genitori si siano preoccupati di contattare uno specialista, perché spesso non accade e le persone vengono lasciate allo sbando: convivono con dei disturbi che dovrebbero invece cercare di superare. Quando c’è questo tipo di interesse tra le persone penso che di conseguenza nasca un interesse da parte dei media.

Hai menzionato i genitori, che però non sono presenti in “Cheese”. L’unica persona adulta è una zia. Perché hai deciso di non mostrare le famiglie dei tuoi personaggi?

Questo fa sempre parte del “togliere”. Mi sono resa conto che per far funzionare la storia doveva esserci un ambiente chiuso con tre personaggi, dove gli altri che entravano in scena erano solo comparse. I genitori non possono fare le comparse, perché hanno un ruolo importante, che sia positivo o negativo, quindi non potevo inserirli. Una zia, invece, è il classico personaggio che – anche se in alcuni casi, ovviamente, può essere la persona più importante nella vita di qualcuno – per antonomasia, rimane marginale. È stata una scelta fatta per non togliere attenzione ai tre protagonisti.

“Cheese” è ambientato in un paese di provincia, dove c’è il problema di trovare un passaggio per andare agli eventi e divertirsi. Pensi che l’ambiente in cui vivono i protagonisti li abbia influenzati o sarebbero stati gli stessi se avessero vissuto in una grande città?

La trama non sarebbe stata la stessa, e magari anche i personaggi sarebbero stati diversi. Penso però che la mia storia possa parlare anche a chi vive in una grande città. Questo elemento è più un pretesto narrativo, perché va ad aumentare lo stato di disagio generale: non solo sono tre ragazzi abbastanza disagiati, ma vivono anche in un contesto che non li aiuta.

Detto ciò, non è una cosa fondamentale, perché il loro è un disagio che prende tutti, non solo gli adolescenti. Tutti abbiamo un momento in cui dobbiamo lanciarci da una collina, e a volte capita anche a quarant’anni o più in là. È anche il motivo per cui non ho mai detto l’età esatta dei personaggi, perché ci tengo che non si capisca bene se siano all’ultimo anno di liceo o all’inizio dell’università…

A questo proposito, sei riuscita a scrivere una storia molto trasversale: può essere letta come un ricordo e allo stesso tempo come un evento che sta accadendo in questo momento. Credo che la tua storia si datti molto alla percezione di chi la stia leggendo.

Sì, perché non racconta un momento esatto della vita di una persona, ma di qualcosa che può accadere a tutti in un momento personale, e questo può avvenire nel passato come nel presente. È un po’ quello che succede con l’adolescenza: ci sono persone che si accorgono di entrarci e persone che non se ne accorgono; c’è chi non ci entra mai e chi sembra non uscirne. L’adolescenza è una fase della vita piuttosto misteriosa: ricordo che da piccola mi chiedevo cosa fosse, dato che sembrava qualcosa che dovesse arrivare di colpo e non farmi capire più niente!

Durante il viaggio in macchina, i tre protagonisti di “Cheese” mettono un po’ di musica. Oltre ai brani presenti nel fumetto, cos’altro hanno ascoltato?

Ci sono solo due brani che compaiono nel fumetto, ma è chiaro che ascolterebbero tutti generi diversi. Riccardo canzoni dei musical, Dario musica elettronica, mentre Zuzu ascolta di tutto, indistintamente.

Nel finale vediamo i protagonisti avviarsi verso il cambiamento. Dove possiamo immaginare che siano ora?

Visto che sono tre personaggi realmente esistenti, so perfettamente dove sono. Il finale fa presagire che tutti prendano strade coerenti con la loro persona, perché hanno il coraggio di capire cosa sono, di cosa sono fatti, e iniziano ad accettare anche le parti più fragili di loro stessi. Sono un po’ più contenti di essere nella loro pelle.

Ultima domanda: progetti futuri? Stai già lavorando a qualcosa di nuovo?

In realtà, no. Ho troppe idee, e quando ne ho tante non mi fido di loro. Sto aspettando che me ne venga una che mi convinca a farmi stare seduta dalla mattina alla sera. Adesso devo liberarmi dei tre personaggi di “Cheese”. Anche se la mia tesi risale a due anni fa, visti i tempi editoriali, durante tutto quel periodo ho continuato a lavorare alla storia, per cui è difficile dire addio a questi personaggi. Ho bisogno dei miei tempi per metterli da parte.

Pensi di poter tornare a scrivere di loro?

Questa è una storia che per me si conclude qui. Essendo un’autobiografia, se ne scrivessi un’altra potrebbero tornare, ma sarebbero comunque personaggi che cominciamo a conoscere da zero, perché non ho intenzione di fare un seguito di questo fumetto.

 

Zuzu, Comicon 2019