Le nostre interviste per i settant’anni di Tex continuano, dopo il maestro Giovanni Ticci, con l’unica artista donna in forza al team creativo di Aquila della Notte: Laura Zuccheri. Ben nota ai lettori di Julia, la disegnatrice emiliana originaria di Budrio si è prima cimentata con la copertina di Color Tex 4 (novembre 2013) e poi con uno degli albi giganti della collana Tex Speciale, il noto “Texone”, un compito oltremodo impegnativo.

Ecco cosa ci ha raccontato al riguardo, ringraziandola per la sua gentilezza e lo splendido sketch che ci ha regalato.

 

Ciao, Laura, e benvenuta su BadComics.it!
Volendo partire dagli inizi, non possiamo dimenticare che tuo padre Ettore è stato un famoso giocatore e allenatore di Basket della Virtus Bologna, negli anni 60, con varie presenze in Nazionale. Anche tu sei stata a un passo dalla carriera di cestista professionista, poi hai deciso che la tua strada era quella di realizzare tavole e non canestri. È stato difficile scegliere tra due mestieri così differenti?

Laura Zuccheri

Grazie a voi. È stata una scelta che ho preso subito dopo la maggiore età. Valutando anche le esperienze di colleghe che già giocavano in Serie A, mi sono resa conto che sarebbe stata una carriera piuttosto breve – solitamente non si prosegue dopo i trent’anni. Va anche detto che il Basket professionista femminile in Italia non è certo remunerativo come in altri paesi o come quello maschile.

Ricordo di aver preso la mia decisione una volta chiamata a giocare in una squadra di A2, a Castel Guelfo, vicino a Bologna. Dopo una rapida somma di conti e di opportunità, mi sono persuasa che fosse meglio investire i miei sforzi su qualcosa di molto più duraturo. Inoltre, il fisico va mantenuto con sacrifici sempre più grandi con il passare degli anni, e inevitabilmente riduce le sue risorse fino ad esaurirsi, mentre per una mente che continua ad allenarsi succede quasi il contrario: si espande, si arricchisce e trova nuovi modi per esprimersi. Così ho messo da parte il canestro e mi sono rivolta ad altro, al Fumetto appunto.

Il western è qualcosa che ti appartiene fin dagli esordi nel mondo della Nona Arte, quando hai iniziato giovanissima a collaborare con Ivo Milazzo e Giancarlo Berardi su “Ken Parker Magazine”. Cosa ricordi di allora?

Sono stati quattro anni e mezzo molti difficili, dove però ho imparato moltissimo a bottega. Ho cominciato a lavorare immediatamente a livelli molto alti, con due professionisti unici, straordinari, ma estremamente esigenti. È stata una gavetta durissima, che mi ha costretta anche a trasferirmi in Liguria, condividendo l’appartamento con futuri colleghi quali Pasquale Frisenda, Giuseppe Barbati e Massimo Bertolotti. Si lavorava a Chiavari, presso lo studio di Ivo Milazzo, e si andava spesso a Genova, a casa di Giancarlo Berardi, per la revisione delle tavole e degli albi di “Ken Parker Magazine”.

L’approccio al western è stato dettato esclusivamente da motivi professionali o è un genere a cui eri già appassionata?

È qualcosa che mi appartiene fin dall’infanzia. Guardavo film western fin da piccola, soprattutto quelli di Sergio Leone e quelli con protagonista John Wayne; mi sono sempre piaciuti, anche perché ho un’enorme passione per i cavalli. È un genere che credo di avere nel sangue da sempre e che preferisco in assoluto; sono affascinata da quel mondo, dai suoi paesaggi e dal suo tipo di vita, libera e dura.

La tua carriera di artista, dopo un breve passaggio su “Zona X”, si è consolidata in Sergio Bonelli Editore, approdando a “Julia”. Sei stata coinvolta sulla serie di Berardi fin dai primi numeri, diventandone una firma di riferimento. Cos’hai amato di più di questo fumetto? Ti rivedremo ancora alle prese con la bella detective di Garden City?

A essere onesti, “Julia” è stata l’unica opportunità di lavoro che mi era stata offerta in quel periodo. A malincuore avevo lasciato “Ken Parker”, e Giancarlo aveva iniziato da poco questa sua nuova avventura che lo aveva portato dal western al giallo. In quel momento, ripeto, era la mia unica possibilità di continuare a disegnare, ma il genere in questione penso non sia mai stato completamente nelle mie corde… e gli ho dedicato solo quindici anni. [Ride] Sicuramente ho imparato moltissimo e ho cominciato a lavorare anche per la Francia.

Infatti, per la Francia hai collaborato con la prestigiosa rivista di livello internazionale “Les Humanoïdes Associés”. Che esperienza è stata?

È stata un’esperienza entusiasmante e tosta. Ho iniziato nel 2009 con una serie totalmente mia, dove ho potuto costruire graficamente un mondo da zero e dove mi è stata concessa la massima libertà espressiva. Mi riferisco alla bande dessinée fantastico-medioevale “Les Epées de verre” [“Le spade di vetro”, portata in Italia da ReNoir – NdR], realizzata insieme alla scrittrice Sylviane Corgiat.

Con i cambiamenti al vertice della casa editrice il mio spazio creativo si è molto ridimensionato. Terminata l’avventura di “Le spade di vetro”, che è stata per me fantastica, sono passata a “Retour sur Belzagor” [“Ritorno a Belzagor”, Magic Press – NdR], tratto dal best seller fantascientifico “Downward to the Earth” [“Mutazione”, Editrice Nord – NdR], di Robert Silverberg, sceneggiato da Philippe Thirault. Conclusi i primi due albi ho lasciato la serie, però, perché sentivo il bisogno di uno spazio creativo maggiore.

Quindi, sei tornata in via Buonarroti 38, per realizzare la copertina di “Color Tex 4” (novembre 2013) e uno Speciale di “Tex”. Ci racconti com’è avvenuto tutto ciò?

Avevo lavorato in contemporanea su “Julia” e per “Les Humanoïdes” a ritmi forsennati, praticamente insostenibili, per cui avevo deciso di prendermi un anno sabbatico, di riposo, durante il quale sono stata contatta da Sergio Bonelli Editore per la copertina del “Color Tex”. Pochi mesi dopo, ero già al lavoro sul “Texone”. Lasciata “Julia”, in Bonelli mi avevano già proposto “Tex”, perché sapevano che era un mio sogno nel cassetto e che amavo molto il western. Alla fine doveva succedere, ed eccomi qui.

“Tex” è notoriamente un fumetto difficile da approcciare per qualunque disegnatore. Inoltre, una donna come disegnatrice di “Tex” è certamente cosa insolita, anzi, tu sei la prima in assoluto. Se ci sono state, quali difficoltà hai incontrato nell’affrontare l’icona Bonelli? E cosa ti piace di più disegnare del suo mondo?

È vero, sono stata la prima e per ora unica disegnatrice di “Tex”, e questo non mi ha di certo aiutato. Premetto che non è stato per niente facile all’inizio conquistarsi piena credibilità, e comunque sono sempre tenuta sotto torchio. [Ride]

“Tex” è difficile da disegnare perché possiede tutta una serie di caratteristiche e di proporzioni a livello grafico che sono solo sue e di nessun altro. Non è per nulla facile poi, a mio parere, riuscire a renderne la personalità, unica nel suo genere. Claudio Villa e Giovanni Ticci sono maestri assoluti in questo. Infine, anche se lo amo molto, il western non è per nulla banale da rappresentare, dai cappelli ai cinturoni, dalle armi ai cavalli. Ci vuole una grandissima passione e costanza che ti spingano a documentarsi continuamente. Ho in casa letteralmente pile di film western che guardo in continuazione e in cui cerco l’ispirazione o il dettaglio che mi serve in quel momento.

“Tex” è una testata che esiste da settant’anni, nel corso dei quali si sono consolidate regole importanti e indispensabili da rispettare, al primo approccio non semplici da metabolizzare. Seguendo queste, ti viene chiesto contemporaneamente di esprimere il tuo carattere e la tua personalità. Devi riuscire a far andare d’accordo le due cose: è una splendida sfida, ma davvero impegnativa. In più, va detto che il “Texone” è il non plus ultra delle sfide, in quanto contempla una storia lunga 224 pagine.

Hai citato Villa e Ticci, che ci hanno consegnato un’immagine iconica di Tex. Ci sono degli artisti a cui ti sei ispirata per la tua interpretazione di Aquila della Notte?

All’inizio – sono sicura si noterà nel “Texone” – avevo come punto di riferimento fisso Ticci. Con il passare delle tavole e l’impratichirmi con il personaggio e le sue atmosfere, ho cercato di dare un’impronta mia personale, ma a un certo punto mi sono accorta di non sapere come fosse fatto veramente “Tex”, perché solita guardare i disegni degli altri. Sono abituata a disegnare mantenendo un costante richiamo alla realtà per interpretare un soggetto, a prescindere dal suo genere, e mi sono trovata in difficoltà rivolgendomi solo ai disegni degli altri. Ognuno di noi ha la sua interpretazione della realtà, e io avevo bisogno della mia per quanto riguardava “Tex”.

Sono riuscita a superare quel momento, fortunatamente, quando ho iniziato a lavorare alla copertina dell’albo e ho chiesto a Claudio Villa a quale viso reale si rifacesse lui per raffigurarlo. Grazie ai suoi consigli, ora la strada sembra molto meno in salita. Disegnare prendendo costantemente e solamente come riferimento gli altri artisti può diventare un boomerang; meglio avere sempre un riferimento nella realtà.

Hai detto di essere alle prese con la copertina del “Texone”, quindi hai già concluso gli interni. Quando potremo vederlo in edicola? Puoi rivelarci qualcosa al riguardo? Non ne sappiamo nulla, tranne chi l’ha scritto, Mauro Boselli.

Sì, esatto. La storia è di Mauro, e ne ho concluso le illustrazioni il giugno scorso. Il “Texone” uscirà esattamente un anno dopo, il prossimo giugno. Purtroppo, non posso rivelarvi nulla, ho il divieto assoluto! Se no mi uccidono. [Ride] Tex sarà in compagnia di Carson, accontentavi di questo. [Ride]

Dopo il “Texone”, ti rivedremo alle prese con il nostro ranger? A quali progetti inediti stai lavorando ora?

Dopo aver concluso il “Texone” a giugno, ho iniziato a dedicarmi di un’altra sceneggiatura di Mauro per un cartonato alla francese, ma dopo una ventina di pagine è stato sospeso per gli innumerevoli impegni di Boselli. Quindi, sono passata a uno script da 160 pagine, di Pasquale Ruju, per un futuro “Color Tex”. Mi occuperò di matite e chine.

Per quanto riguarda le mie incombenze extra-Tex, ho appena firmato con Glénat per una nuova serie a metà tra la fantascienza e il fantasy insieme a Simona Mogavino, che curerà i testi: potrò nuovamente, come per “Le spade di vetro”, creare un universo ex novo. Infine, sto preparando la presentazione di un altro progetto rivolto al mercato francese, per adesso top-secret.

Concludiamo con la domanda più difficile, che abbiamo posto a tutti gli autori intervistati in occasione dei 70 anni di “Tex”: qual è la tua personale opinione sull’inossidabile successo del personaggio?

Bella domanda… Quello che piace a me di Tex è che è una specie di super eroe, e quindi è molto facile venirne affascinata. Se penso al tipico uomo italiano, Tex è indipendente e senza impedimenti, senza famiglia, moglie e figli, libero di cavalcare dove gli pare; è sempre in forma, nonostante non disdegni patatine fritte, alcol e tabacco, ma su di lui questi vizi, così deleteri per noi uomini comuni, non hanno effetto; è poi attorniato da amici e compagni di cui può fidarsi ciecamente, che non lo tradiranno mai. È forte, intelligente, sempre calmo: incarna l’ideale non solo di uomo, ma di persona che ognuno di noi sogna di essere. È sempre in grado di trovare una soluzione a qualsiasi problema, anche il più spinoso; è in sintesi il contrario di ciò che siamo noi nella vita di tutti i giorni: fragili, insicuri, pieni di paure. Credo che il suo successo risieda in questo: Tex incarna la persona che vorremmo essere tutti noi.

 

Tex, bozzetto di Laura Zuccheri