In occasione della presentazione di ARGH, primo volume BAO Publishing dell’opera omnia dedicata a Gli Scarabocchi, avvenuta lo scorso 11 gennaio al MACRO Asilo di Roma, abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Michael Rocchetti, alias Maicol & Mirco, a proposito del suo modo di intendere il linguaggio del Fumetto.

Ne è uscita l’intervista che segue:

 

Ciao, Maicol! Bentornato su BadComics.it!
Gli Scarabocchi sono un modo di raccontare estremamente personale. Nascono su una piattaforma web come fumetto digitale, fruiti in modo molto diverso rispetto a quello cartaceo. Come hai fatto a ibridare questi linguaggi appartenenti a due diversi media?

ARGH, copertina di Maicol e Mirco

Per me è stato facile, perché gli Scarabocchi c’erano già prima di Internet. Non sapevo dove pubblicarli, dopo il libretto che ho realizzato nel 2000, che ha avuto un successo esagerato nell’ambito dell’autoproduzione. Impaurito da questa risposta, ho accantonato il tutto perché diversissimo dalle cose che stavo facendo e portando avanti in quel momento. Quel libro era di sedici pagine, ma prima di stamparlo avevo comunque già realizzato cento Scarabocchi, che poi ho nascosto in un cassetto, terrorizzato proprio dal loro successo. Anni dopo ho deciso di tirarli fuori, perché mi piacevano e perché mi ero consolidato in altri stili. Pubblicarli su Internet mi è sembrata la forma adatta, proprio grazie alla sua velocità di lettura: sono strip – che di natura sono già molto veloci da fruire – e in quanto Scarabocchi sono ancora più veloci! Non sono in tre battute, ma in due, e il testo è ridotto all’osso. Per questo mi è sembrato giusto metterle lì. Pensavo di creare una pagina e pubblicare unicamente quei cento, poi mi sono fatto prendere la mano…

Il “tempo” degli Scarabocchi funziona, è qualcosa che mi piace. Vedendo la versione cartacea, poi, si scopre che il lavoro è più lungo, che i personaggi non parlano unicamente nella singola vignetta, ma lo fanno anche tra una vignetta e l’altra, ovvero la bellezza dello “spazio bianco”. Credo che il Fumetto sia proprio quel vuoto. Più lo scavi e lo riempi, e più si sviluppa quel genere di fumetto. È una parte “cicciona”, quella presente tra una vignetta e l’altra, ingrassandola o diminuendola rendi la tua cifra personale. Come ne “Gli Arcanoidi” (Coconino, 2018), lo spazio bianco e tra una pagina e l’altra, qui è tra le singole storie, tra le singole vignette.

Internet è interessante perché è un posto talmente libero che ci si può perdere. È vero che ci puoi trovare di tutto, ma se non sai cosa cercare è come se non ci fosse niente. Apri YouTube e ti ritrovi a vedere video di gente che si tira su le mutande o si fa scherzi facendosi esplodere le macchine l’uno con l’altro. Ci puoi infilare anche Carmelo Bene per intero nel mezzo, ma se non sai chi è, non lo troverai mai. È un posto strano! Mi sembrava giusto metterci dei contenuti che non ci fossero. Gli Scarabocchi mi hanno fatto pensare: “Vediamo che succede!”. Come capita sempre, all’inizio ero uno spericolato senza remore, non mi sono chiesto come sarebbe andata a finire, non lo faccio mai con i miei lavori. Mi chiedo unicamente se funziona la storia per me. Quindi li ho messi lì senza alcun timore, ma non mi aspettavo una risposta del genere. In una recensione scrissero che, sì, questa è filosofia, però non è “strano” trovarla su strade simili, dato che può trovare percorsi differenti da quelli canonici. Non è strano che possa nascere su Internet! A noi che siamo agli albori di questo mezzo, sembra un atto esecrabile mettere contenuti alti in un mondo popolare, ma è esattamente ciò che è accaduto. Arrivano a chiunque e tutti possono leggerli senza far vedere di essere letti. Questo è importante.

Palla Rossa e Palla Blu, copertina di Maicol e Mirco

Su Internet, la gente può leggere in privato, cosa diversa da quando si prende i libri. Quando compri una cosa viene mostrato il gesto stesso dell’acquisto, lo si vuol mostrare. L’adulto dice: “Se leggo questo libro, risulterò più interessante? Cosa penseranno gli altri di me?” Stephen King è stato uno dei primi scrittori che tutti leggevano, ma poi con un suo libro tra le mani si realizzava che erano storie horror, con un cane che ammazza la gente! Tante persone lo adorano ma preferivano mostrare che leggevano Sartre, per dire. Su Internet, invece, ognuno è libero di leggere il c***o che gli pare, tornando a essere un po’ bambini.

Su “Palla Rossa e Palla Blu” ho messo in atto una cosa a cui tenevo: che il libro fosse esattamente per bambini. Loro ti scelgono senza alcun indottrinamento, non gli interessa se sei famoso, se hai tanti like, se sei interessante o alla moda… si interessano solo alla storia e se questa funziona. A ben pensarci, su Internet è successa la stessa cosa: ognuno nel suo privato ha letto gli Scarabocchi. Alcuni mi hanno detto: “Cavolo, all’inizio mi davano fastidissimo, ma che c***o sto leggendo?”. Li prendevo in giro perché prima non mi leggevano e poi sono diventati i miei lettori più ferventi!

Una volta mi dissero che una storia l’avevo copiata da Altan… magari avessi il tempo di leggerlo per intero! Purtroppo uno le storie o le fa o le legge. Per me è un enorme piacere essere accomunato a lavori altrui, alti o bassi che siano. Quella persona, leggendo nel proprio intimo ci ha trovato quello che voleva. Poi una cosa può prendere anche solo dieci “mi piace”, ma i lettori sono in realtà diecimila. Perché uno dovrebbe dichiarare ciò che sta leggendo? È giusto che possa leggere in privato! Uno spazio intimo. Con Internet è stato possibile, probabilmente senza che fosse voluto. Ha permesso alle persone di arrivare di nascosto. Un mio Scarabocchio, molto più intelligente di me, dice: “È un modo per stare da soli, ma in compagnia.” Ed è vero! A me capita, per esempio, di stare a qualche cena in cui mi rompo il c***o di parlare con le persone per un qualsiasi motivo e di andare su Internet. Tutti mi guardano e pensano: “Guarda quel deficiente che sta su Internet”, ma io, in realtà, in quel momento sono in un posto bellissimo, sto parlando con persone che mi interessano o vedendo un video che mi incuriosisce. Come ogni cosa nuova, la indichiamo immediatamente come sbagliata, ma perché dovrebbe esserlo? Magari scopriamo che potrebbe essere una nuova via di fuga. Poi, di ogni cosa si può fare un uso positivo o negativo.

Volendo decostruire il fumetto da te realizzato, la prima cosa che salta all’occhio è la sua forma, un personaggio estremamente stilizzato che nel tuo modo di raccontare prende due strade: o la forma di Scarabocchio o quella Arcanoide. Da un lato la forma che esprime una personalità, dall’altro la geometria perfetta. Allo stesso tempo, nel caso specifico degli Scarabocchi ci sono due battute: una d’ingresso e una d’uscita, non ce n’è una terza in mezzo. E, infine, hai scelto di rendere il tutto estremamente ripetibile, un format che si reitera all’infinito. Dal punto di vista autoriale, perché hai deciso di importi questi paletti?

Il papà di Dio, copertina di Maicol e Mirco

Perché effettivamente il modulo è una cosa figa. Ti permette di ripeterti senza farlo veramente, perché una somma di moduli uguali danno vita a una terza cosa. Il modulo è utile perché ti fa entrare in un mondo riconoscibile, come quando iniziano i “Simpson” con la loro sigla estremamente riconoscibile, con tutto quello che accade dopo, che è sempre “altro”. Il modulo è comodo, e in entrambi i modi di raccontare porta a simili risultati, perché secondo me è vera una cosa e lo è anche il suo contrario. Una verità e il suo opposto coesistono.

Gli Scarabocchi presentano un modo di raccontare opposto ma… quasi identico a “Palla Rossa e Palla Blu”. Lì utilizzo due colori con forme precise, perfette. Poi prendo queste forme e le sposto, come se giocassi a una sorta di gioco elementare con le formine. Con gli Scarabocchi lavoro allo stesso modo, in termini di velocità: nel primo caso utilizzando cose già esistenti, nel secondo compiendo gesti rapidi. È tutto utile a raccontare il più possibile con il meno possibile, concetto che credo ormai sia il mio slogan. La semplicità permette di raccontare il complesso in modo più diretto e veloce.

L’icona è un buco che ognuno riempie con quello che ha. Non a caso, i miei personaggi più seguiti sono quelli senza naso né occhi, ci si riconosce più in uno scarabocchio che in un umanoide: così viene permesso al lettore di far parte di questo mondo. Non si tratta di una figura passiva, incatenata a una sedia, a cui faccio sorbire il mondo da me creato; gli apro una porta e lui ne entra da solo, uscendone cambiato. Ogni lettore mi racconta un’esperienza diversa dopo aver letto la stessa vignetta, e tutte sono vere!

È interessante notare, con questi presupposti, come utilizzi il “modulo scarabocchio” anche per realizzare i ritratti. Sfrutti quel genere di sintesi per identificare i tratti somatici di un individuo per poi riportarli. Crei un’immagine astratta non figurativa. Allo stesso tempo, però, dai vita a dei personaggi completamente tuoi, figure ricorrenti e riconoscibili all’interno di un racconto. 

Mirko Tommasino secondo Maicol & Mirco

Diciamo che rubo un po’ dalle persone trasformandole in Scarabocchi, e rubo un po’ dagli Scarabocchi trasformandoli in persone. All’inizio è nato come divertimento, e poi certamente ci ho impostato sopra un impianto commerciale, ma ciò non toglie che resti una parte estremamente divertente per me, perché si ritrae una persona senza nulla: o è una truffa o è poca cosa, in teoria. In realtà, per me rappresenta una modalità per indagare il segno.

Nei miei fumetti, il segno è sempre narrativo. Gioco-forza, quando scrivo le lettere sembrano disegnate. Quando disegno, i personaggi sono scritti. Quando realizzo i ritratti in quella forma, mi è capitato che le persone si sentissero “lette”. Poi, un conto è ritrarre qualcuno che conosco, di cui ho presente i gesti, un altro è fare ritratti a persone che mandano due o tre foto. Però, l’esercizio è davvero molto forte, perché indago in una direzione prettamente di disegno.

Il Fumetto è narrazione, ma si può raccontare anche solo con il disegno, e non per forza facendo un fumetto muto. A volte un disegno può essere “parlante”, avere una voce. Fin da piccolo, a scuola, facevo disegni per cui mi dicevano: “No, dovevi farlo diversamente, però ne hai colto l’anima.” I miei amici, i miei compagni di banco facevano disegni molto più belli e simili alla realtà. Io ero quello tutto storto e zoppicante, ma nei miei lavori si riconoscevano le persone, perché andavo a indagare delle cose che mi colpivano. Magari non la simmetria, ma lo sguardo, una cosa che colpisce perché ti interessa ciò che c’è dietro. Oppure la camminata! Sono un grande fan del lavoro di Bruno Bozzetto, perché lui racconta l’umanità con pochi segni. Il minimale è in realtà molto Barocco: ridondante a livello narrativo.

Questo è il legame con l’immagine figurativa. Passando invece ai testi e al peso che dai a ogni singolo termine, la parola negli Scarabocchi è un segno grafico, fa parte dell’impianto delle due vignette. Come parlano gli Scarabocchi? Come scegli le loro battute?

I miei personaggi parlano come vogliono, sono liberi di dire quello che vogliono e come vogliono. A volte mantengo degli errori, lo slang o le ripetizioni… Più passa il tempo e più la parola negli Scarabocchi è ridotta all’osso. Li sto facendo parlare il meno possibile. Per me il vocabolario dovrebbe essere grande quanto l’opuscolo di un discount: le parole vere sono poche, il resto sono spiegazioni e declinazioni che servono solo a complicare le cose. Spero di arrivare a fare un fumetto in due battute, ma che siano vere. I titoli della collana sono delle onomatopee, un omaggio al linguaggio basico del Fumetto. Con un “gulp”, a volte, si racconta più che con un dialogo.

In un testo di semiotica, Umberto Eco parla delle incomprensioni che nascono dalla complessità del linguaggio, ovvero: più elementi si inseriscono nel percorso tra “A” e “B”, più sarà facile creare incomprensioni. Ne “Il papà di Dio” ci sono diverse parti silenziose, in cui avvengono situazioni che parlano da sole. Vedremo mai degli Scarabocchi silenziosi, o quasi?

Speriamo. Tocca ai personaggi metterlo in pratica. Ne “Il papà di Dio” (BAO, 2017) ho cercato di raccontare il tempo. Sembra che non succeda niente, ma in realtà non c’è un’assenza, c’è un’attesa. Devo ringraziare l’editore, perché senza di lui quel libro non sarebbe mai uscito. Lì ho raccontato una cosa che non avevo modo di raccontare prima, con quel tipo di formato, un aspetto da cui non posso prescindere. Non posso prescindere dai miei formati e dai miei colori: quando un libro esce così, significa che lo saranno anche le altre edizioni. Racconto anche con la scelta cartografica, un modo narrativo per fondere forma e contenuto. Il colore rosso è narrativo negli Scarabocchi.

In “Palla Rossa e Palla Blu” c’è una voce narrante come ne “Gli Arcanoidi”. È Mirco che ha preso parola e inizia a comunicare con il mondo?

Mi è sempre piaciuta la voce narrante! Ne “Gli Arcanoidi” la voce è narrante, ma non si tratta di una storia “raccontata”, è semplicemente una storia in cui i personaggi restano zitti, fatta solo di didascalie. In “Palla Rossa e Palla Blu”, invece, la voce è davvero narrante: volevo che fosse una storia raccontata da un padre, da una persona sola. Non c’è uno scopo, ma mi interessa che la voce narrativa dia il tono dall’esterno. Senza, sarebbe tutt’altro libro.

Quando ascoltavo le fiabe sonore, capitava che la voce narrante diventasse qualcosa di più. Non una scorciatoia. Inoltre, adoro le figure come il Menestrello de “La Spada nella Roccia”, personaggi in carne e ossa che raccontano dall’interno della narrazione. È bello! La letteratura è infinita e il Fumetto è un infinito al cubo perché, coinvolgendo il disegno, apre delle porte inimmaginabili. McCloud diceva bene: abbiamo fatto meno dell’un per cento. Nonostante legga fumetti sempre più nuovi e sperimentali, ne sono assolutamente convinto: siamo ancora agli albori del mezzo.

Nella scorsa intervista mi hai spiegato che ti piace essere stupito dalle tue stesse storie, come fossi un lettore. Gli Scarabocchi sono una storia molto in divenire: facendo un flash alla situazione attuale, cosa pensi della direzione che stanno prendendo?

Che mi hanno portato in posti in cui pensavo non sarei mai riuscito ad andare. Ho esplorato l’universo mio e il loro facendomi domande che non mi sarei mai posto altrimenti, trovando per il momento solo pochissime risposte.

È difficile non pensare al finale, perché rappresenta la storia. Nonostante ciò, cerco di mantenere l’incanto del “non sapere”, dell’assentarmi. Le storie che funzionano di più arrivano quando smetto di raccontare, con la narrazione che fa un guizzo inaspettato. Siamo sempre incatenati a quel masso che si chiama logica, perciò spero di impazzire e che la gente pubblichi i miei fumetti anche se sono matto. Magari le storie non avranno più senso!

Anticipazioni sul futuro prossimo?

Esce a breve un nuovo libro per Coconino. Per BAO sono in arrivo in primavera il secondo “Palla Rossa e Palla Blu” e la seconda raccolta degli Scarabocchi, per poi iniziare a farne uscire uno ogni sei mesi all’interno della collana.