Dopo aver apprezzato Tosca dei boschi e la versione disneyana di Orgoglio e pregiudizio pubblicata sulle pagine di Topolino, abbiamo contattato Teresa Radice e Stefano Turconi per scoprire qualche retroscena sulla lavorazione di queste opere.

Il risultato è una ricca intervista in cui ci svelano qualcosa in più sul loro approccio alle storie, oltre a fornirci qualche anticipazione sui progetti futuri:

 

Da poco si è conclusa su “Topolino” la vostra versione di “Orgoglio e Pregiudizio”, che probabilmente ha richiesto uno sforzo maggiore rispetto ad altri adattamenti disneyani. Escludendo matrimoni e “doti”, quali sono state le principali difficoltà? E per quanto riguarda Paperino, com’è stato utilizzare questa inedita versione più elegante e affascinante del solito?

Orgoglio e Pregiudizio, anteprima 01

Il romanzo della Austen non è esattamente l’opera più facile da traslare nell’universo Disney, ma le vogliamo bene da tempo e avevamo voglia di cimentarci con qualcosa di diverso da “L’isola del tesoro”, il nostro precedente adattamento (preferiamo questa definizione rispetto a “parodia”, perché, sebbene inevitabilmente le parti più drammatiche dei romanzi originali necessitino in ottica Disney di un “alleggerimento” spesso in chiave comica, ci piace restare il più fedeli possibile alla matrice).

Forse la maggiore difficoltà, questa volta, era rappresentata dalla “staticità” del romanzo, i cui accadimenti – al di là di qualche scena più attiva – avvengono perlopiù nell’animo dei personaggi. E questo, se è ben noto ai fan della Austen, non è altrettanto scontato che venga accettato dai lettori usuali di “Topolino”. In effetti, stavolta ci siamo arrischiati andando a toccare le corde più intime dei “Janeiters” e contemporaneamente quelle dei “Disneyani”… ed era inevitabile che, mescolando i due mondi, ci fosse qualcuno scontento.

La seconda parte della tua domanda ci porta proprio al motivo della scontentezza di diversi lettori Disney incalliti: Paperino/Mr. Duckcy ha sfumature diverse da quelle che siamo abituati a vedere nelle storie paperopolesi – ma noi troviamo che qui stia semplicemente facendo trapelare alcuni lati del suo carattere che di solito tiene nascosti – e ci siamo presi la libertà di non attenerci strettamente ai “dati anagrafici” dei personaggi. C’è chi ha storto il naso davanti a una Paperetta sorella maggiore di Paperina, o a un’Amelia sorella di Paperoga, o a Ciccio e Miss Paperett temporaneamente accoppiati… ma in fondo, chi ha mai stabilito esattamente che età precisa abbiano questi personaggi? Non è forse la loro età legata anche e soprattutto a come noi lettori li percepiamo, di storia in storia?

Insomma, come nel precedente caso di “L’isola del tesoro” – ma anche di “Pippo Reporter” e “Topolino e il grande mare di sabbia” – ci siamo comportati con i personaggi Disney esattamente come fossero attori, scegliendo a nostro parere quelli più adatti ad affrontare le varie parti del romanzo. E crediamo di non averli “snaturati”, ma di averli semplicemente lasciati recitare, sfruttando la loro immensa e meravigliosa ecletticità.

Durante la lavorazione di “Orgoglio e pregiudizio”, quali sono state le principali ispirazioni grafiche per lo stile di disegno, in particolare per i paesaggi?

Orgoglio e pregiudizio

Be’, dopo “Il porto proibito”, “L’isola del tesoro” e il lavoro preparatorio su “Le ragazze del Pillar”, direi che possiamo considerarci, da un punto di vista storico/estetico, piuttosto esperti dell’epoca fine ‘700/guerre napoleoniche. Basti pensare che in casa abbiamo un piccolo mobile – libreria, (su cui fa bella mostra il modellino della Last Chance in scala 1:90) completamente dedicato all’argomento: è strapieno di libri su navi, costumi, mobili, oggettistica, divise militari e varia mirabilia. C’è anche un vero fischietto da nostromo e un paio di copie di cappelli dell’epoca.

Nel caso di “Orgoglio e pregiudizio”, però, il principale punto di riferimento visivo è stato il film omonimo del 2005 diretto da Joe Wright, con Keira Knightley nel ruolo di Elisabeth. Nel film è stato fatto un lavoro fantastico sulle luci, sugli ambienti e sulle inquadrature (il piano-sequenza iniziale è un gioiellino). Da una parte abbiamo attinto a piene mani da lì – la scena in cui Elisabeth e Amelia passeggiano nella stanza, intorno a Duckcy, è una dichiarata citazione del film, la sala in cui si svolge è esattamente la stessa – dall’altra abbiamo giocato molto con i tratteggi, a ricordare delle stampe d’epoca (magistralmente inchiostrati, come sempre, da Roberta Zanotta) e sui colori, prendendo come riferimento i quadri di paesaggio dell’epoca – da Hogarth a Reynolds a Gainsborough fino a Turner – con i loro alberi a forme morbide e i cieli dai colori pastello.

Nelle note – colore avevamo infatti messo al riguardo tre indicazioni fondamentali: niente azzurro per i cieli, niente bianco per le nuvole e niente verde per gli alberi o i prati. L’idea era che il lettore si sentisse all’interno di un quadro di paesaggio tardo barocco appeso in una vecchia dimora nella campagna inglese.

“Tosca dei Boschi” è probabilmente il più disneyano tra tutti i vostri lavori non Disney, anche se l’atmosfera non è quella dei fumetti di topi e paperi ma dei grandi classici d’animazione. Al di là di specifici titoli che possono aver ispirato l’atmosfera – “Robin Hood” e “La Spada nella Roccia” su tutti – c’è qualche elemento che ha influenzato lo stile di narrazione o la struttura della storia?

Sai cosa ci ha veramente ispirato? Il primo nostro vagabondaggio insieme per l’Italia, nell’estate 2004: Toscana – Umbria – Marche in giro per campeggi con la tendina da due. Avevamo foto pazzesche che sembravano set già pronti per ambientarci una storia medievale.

Era un sogno che covavamo da tempo ma, come tanti altri, è rimasto nel cassetto per un bel po’ finché non è arrivato il momento di fare capolino e trovare il modo di realizzarsi.

La struttura della storia, invece, è stata determinata dalla necessità, da parte dell’editore francese Dargaud, di pubblicare “Tosca dei Boschi” in tre tomi distinti, a distanza di mesi l’uno dall’altro. Il terzo canto, per dire, uscirà in Francia solo a febbraio, e dunque gli italiani sono i primi ad aver letto la storia per intero.

Ogni capitolo è fortemente collegato a una stagione dell’anno, anche se il progetto è una trilogia. C’è mai stato il pensiero di aggiungere un capitolo, così da ottenere la vostra versione di “La quattro stagioni” di Vivaldi?

No, in realtà “Tosca dei Boschi” è stato pensato fin dall’inizio come una trilogia. Però l’idea di poter rappresentare quei paesaggi magnifici in diverse stagioni era troppo allettante per farsi scappare l’occasione! Ora tu l’hai accostato a “Le quattro stagioni” di Vivaldi e ci fai il più bel complimento che potessimo immaginare di ricevere… quindi ce lo prendiamo con sommo gaudio. Grazie!

Per chi non lo sapesse, da qualche mese avete aperto la pagina Instagram di La casa senza nord, anche se avete sempre avuto un limitato rapporto con la tecnologia. Come sta andando questo approdo al mondo dei social?

Sììììììì, siamo su Instagram! Non è pazzesco? Allora, ce la sentiamo di confortare subito tutti i lettori: abbiamo ancora un limitato rapporto con la tecnologia. Postiamo le immagini di Instagram dall’unico cellulare di famiglia (quello di Stefano, per intenderci). Però la cosa ci sta divertendo molto, speriamo si percepisca. Ci pare un luogo molto tranquillo e civile, che offre una bella interazione con i lettori. Speriamo rimanga così. Venite a trovarci @lacasasenzanord! Vi aspettiamo!

È passato più di un anno dall’uscita di “Non stancarti di andare”, che ha ottenuto una straordinaria accoglienza da parte di pubblico e critica. Considerando la crescente ostilità verso i flussi migratori (sul territorio italiano ma anche all’estero) vi è capitato di confrontarvi con qualche lettore che non ha accolto positivamente il messaggio del fumetto, o con qualcuno che invece grazie a esso ha modificato il suo pensiero a riguardo?

Non stancarti di andare, di Teresa Radice e Stefano Turconi (BAO Publishing)

Abbiamo avuto – e continuiamo ad avere – parecchi feedback su questo libro (un po’ come per “Il porto proibito, in effetti). Certo, c’è stato chi ha scritto che “inneggiavamo alla sostituzione della razza” (commento subito rimosso da Amazon, peraltro), ma sono stati anche tanti quelli che si sono riconosciuti in diversi passi del libro e ci hanno scritto lunghe lettere per raccontare quello che li ha colpiti, commossi, feriti o indignati. C’è stato, sì, chi ci ha detto di aver cominciato a guardare le cose da un altro punto di vista, dopo aver letto il libro.

Ogni commento è prezioso, se fatto con garbo e rispetto. Noi – ci teniamo tanto a ribadirlo – non avevamo intenzione di dare insegnamenti a nessuno: è un libro pieno di dubbi e domande che non dà alcuna risposta, perché le risposte non le abbiamo. E se anche le avessimo, sarebbero comunque le “nostre” risposte, personali, confuse e cangianti. Sentivamo il bisogno, forte e impellente, di raccontare questa storia. Tutto qui.

Qualche settimana fa è stata annunciata l’edizione americana de “Il porto proibito”. Da “Viola Giramondo” in poi i vostri lavori sono sempre stati proposti anche all’estero, ma negli ultimi anni la diffusione delle vostre opere si sta estendendo. Questo, in qualche modo, influenza il processo di scrittura e di scelta delle storie da raccontare, sapendo che probabilmente saranno lette da un bacino più ampio e culturalmente differente?

No, sinceramente l’eventuale vendita futura dei diritti all’estero non influenza minimamente il nostro modo di pensare alle storie. A dire il vero, noi insieme raccontiamo da sempre quello che abbiamo voglia e bisogno di raccontare. La prima spinta verso una storia viene da quello che abbiamo dentro, mai da quello che viene da fuori… con tutti gli inconvenienti e le difficoltà del caso, ma non sapremmo fare altrimenti.

Non stancarti di andare, anteprima 01

Finora ci si è sempre riferiti allo spin-off de “Il porto proibito” come “Le ragazze del Pillar”: è un nome di lavorazione o possiamo considerarlo il titolo definitivo?

No, no, è il titolo definitivo della serie. Ogni volume conterrà due storie, e ognuna avrà il nome di una ragazza. Speriamo possano essere apprezzate anche da chi non ha letto “Il porto proibito”. Vengono dalla nostra voglia di tornare a quel mondo, ma, essendo ambientate al termine del romanzo grafico del 2015, contengono anche personaggi nuovi, dunque non è necessario conoscere “Il porto proibito” per accedervi.

Come mai la scelta di realizzarlo a colori, allontanandovi così dallo stile dell’opera da cui prende spunto, realizzata in un suggestivo bianco e nero?

Per rispondere a questa domanda dovremmo rivelare a chi non ha letto “Il porto proibito” un passaggio essenziale del libro, per cui… fidatevi: c’è una ragione per cui queste nuove storie saranno a colori, mentre “Il porto proibito” era in bianco e nero. Venite a chiedercelo di persona alle fiere, se avete già letto “Il porto proibito”, e vi risponderemo. ;-)

Nel corso di alcuni recenti incontri con il pubblico avete affermato più volte di aver scritto “Le ragazze del Pillar” fino al sesto numero: sarà una miniserie che si concluderà con la sesta uscita o avete in programma di portarla avanti come una vera e propria serie regolare?

Il porto proibito, di Teresa Radice e Stefano Turconi - BAO Publishing

Allora, in realtà abbiamo buttato giù – in modo più o meno definito – le prime otto storie della serie (le prime sei, per ora, in maniera più approfondita). C’è – diciamo così – una prima macrotrama che parte nel primo episodio e si conclude con il settimo. Nonostante le singole storie siano fruibili individualmente e ognuna sia più concentrata sulla ragazza del titolo, c’è anche una forte continuità. Dall’ottavo dovrebbe partire una macrotrama nuova… ma bisogna vedere se ci arriveremo. Dipenderà da come il tutto viene accolto.

È il nostro secondo esperimento di serie, dopo “Pippo Reporter”. Là siamo arrivati a quindici episodi, “uccidendolo mentre era ancora vivo”, perché gli volevamo troppo bene per rischiare di stancarcene. Qui, potenzialmente, potremmo andare avanti in modo analogo… ma ripetiamo: dipenderà tutto da come verrà accolto. Noi avremmo voglia di restare a Plymouth il più a lungo possibile… ma magari i lettori no.

Sappiamo che la vostra prossima graphic novel è ancora ammantata di mistero, ma se doveste scegliere una parola per definirla?

Possiamo usare anche qualche parola in più, dai: Russia. Seconda Guerra Mondiale. Acquerelli. 2020.