Declan Shalvey è uno dei disegnatori più interessanti degli ultimi anni e il responsabile delle matite di una delle letture più soddisfacenti di questo 2018, per chi vi scrive: Injection, scritto da Warren Ellis. Abbiamo incontrato l’artista a Lucca Comics & Games 2018 e intervistato, grazie alla gentile collaborazione dello staff di saldaPress, che riceve qui i nostri ringraziamenti.

La chiacchierata è diventata da subito tecnica, interessante e puntuale. Ha abbracciato anche il rapporto di Shalvey con la Marvel, per cui sta disegnando nientemeno che il ritorno sulle scene di Wolverine.

 

Ciao, Declan. Benvenuto su BadComics.it!
La mia prima domanda riguarda il tuo stile di disegno molto dinamico, secondo me, e di solito non iperdettagliato. Quando tratti i tuoi personaggi, le tua principali preoccupazioni sembrano essere le espressioni facciali e la recitazione. A volte sai essere anche leggermente deformante e caricaturale, caratteristiche che credo ti siano servite per rendere così espressivi e comunicativi i personaggi di “Injection”.

Injection vol. 1, copertina di Declan Shalvey

Innanzitutto è molto interessante sentirtelo dire, perché non ho una percezione precisa di quello che faccio e, quando qualcuno mi descrive alcuni aspetti del mio stile casco sempre dalle nuvole. Non sono cose che faccio di proposito, ma che mi vengono naturali.

Mi è capitato quando disegnai una storia dei Fantastici Quattro, ad esempio, e il mio editor mi disse che avevo un disegno molto emotivo. Su “Thunderbolts”, invece, lo scrittore mi comunicò che mi avrebbe affidato i momenti più recitativi. C’era un altro artista, che lavorava con me, a cui furono commissionati i momenti con più d’azione. Non mi ero mai reso conto del fatto che questa fosse una mia caratteristica. Certamente mi piace disegnare i volti, in generale. Non sono un cartoonist particolarmente solido, ma mi piace lo stile un po’ deformato, in effetti, e cerco sempre di metterne una punta nel mio disegno.

Uno dei miei idoli è Goran Parlov, non a caso. Molto realistico e molto cartoonesco allo stesso tempo. Per molto tempo sono stato ossessionato dal realismo, dai dettagli, che cercavo in maniera eccessiva tramite un lavoro enorme di documentazione fotografica. Ora credo di aver trovato una sorta di equilibrio tra uno stile più terra terra e la voglia di manipolare un po’ le forme. Di base, mi piace disegnare. Non voglio essere un Photoshop umano.

Il che succede, ogni tanto, nel mondo del fumetto. L’eccesso di realismo che ingessa il disegno e la creatività. Quando capita, mi verrebbe sempre da dire all’artista: “Disegna e basta, amico”. 

Ultimamente stavo parlando con un mio amico artista di un collega. Guardavamo questa tavola in cui c’era un eroe che si muoveva per le strade di New York. E lo sfondo era un disegno che pareva davvero una foto della città. Ci dicevamo che avremmo preferito un brutto disegno, ma vitale, piuttosto che una fotografia ricalcata.

A meno che tu non sia Alex Ross…

Esatto. Il quale chiaramente usa un sacco di fotografie nel suo disegno. Magari le ricalcherà anche, non lo so… magari no. Certamente trova sempre un modo per rendere sua l’immagine, per renderla un dipinto, non la riproposizione ipertecnica di una foto. Il punto è che non è che solo perché un’immagine sembra vera, allora è adatta alla storia o è bella di per sé. Prendere un oggetto per come è e sovrapporlo all’immagine non è per forza buon realismo. Spesso, dà semplicemente l’idea di un collage, che per definizione è la giustapposizione di due immagini, non la creazione di una che funziona.

Sono d’accordo. Il punto, secondo me, è sempre stato che troppi dettagli impediscono al lettore di metterci del suo, di colmare i vuoti lasciati dal disegno. E quello è il modo in cui voi disegnatori ci coinvolgete nelle storie.

Injection vol. 2, copertina di Declan Shalvey

Ed è qualcosa che ho cercato di fare con “Injection”. Cerco sempre di alternare momenti molto dettagliati ad altri in cui lo sono di meno. Ad esempio, posso disegnare nei minimi particolari l’edificio in cui sta per svolgersi l’azione, dall’esterno, ma quando poi ti porto all’interno degli ambienti, non faccio altrettanto: lascio che gli sfondi siano meno definiti e do la scena ai personaggi. Ormai ti ho fatto vedere dove sei, non hai più bisogno che te lo ricordi in continuazione. La cosa importante, a questo punto, è quel che succede e viene detto. Certo, magari uso dei dettagli relativi allo spazio e al movimento, ma ormai credo di aver capito che una dei miei punti di forza sia diventato capire cosa posso permettermi professionalmente, anche in relazione alle scadenze. Disegnare è una cosa che richiede tempo e non si può dare la stessa importanza a ogni elemento della scena. Meglio scegliere su cosa concentrarsi e dare il massimo sulle cose importanti per la storia. In quali pagine c’è bisogno di fare qualcosa di realmente impressionante? In quali non è necessario?

Mi pare sia la seconda volta che lavori con Warren Ellis. La prima è stata su “Moon Knight”, se non sbaglio. Che tipo è? È difficile lavorare con lui?

No, Warren è davvero una persona splendida e ti mette quasi sempre a tuo agio. Inoltre è un tipo molto generoso. Tutti pensano che sia un uomo spaventoso, ma non è così. Quando ero una matricola, su “Moon Knight”, chiesi se potevo disegnare io le copertine. Quelli della Marvel mi tennero un po’ sulla corda, per capire cosa sarebbe stato meglio in termini di marketing. Warren si impose nella conversazione e disse che le avrei disegnate io. Sin dall’inizio, io e Jordie Bellaire, la colorista, abbiamo sentito di essere supportati da lui e ci ha messo nelle condizioni di lavorare al meglio. Warren è un uomo incredibilmente impegnato, non ha tempo per se stesso e pochissimo per gli altri. Quindi, non è che siamo amici e ci vediamo per una birra, ma lui è davvero collaborativo e quando hai bisogno di lui a livello professionale, non ti lascia mai solo.

Parli di quanto sia impegnato, e credo che si veda anche nelle sue storie. Ha sempre tanti progetti per le mani contemporaneamente e non tutti sono dello stesso livello. A volte si ha proprio l’impressione che non riesca a star dietro a tutto. Penso al suo “Shipwreck”, che ultimamente mi ha un po’ deluso.

Credo sia sempre piuttosto evidente quando è davvero convinto di un progetto a cui lavora. Penso a “Trees” e, per mia fortuna, a “Injection”. Ma il fatto è anche che lavora a cose molto diverse. “Moon Knight” è l’opposto di “Injection”, come idea di storia, ma è comunque un fumetto che dà soddisfazione. Il che testimonia anche quanto sia versatile. A volte, Warren è un regista di film d’azione, a volte è uno scrittore di bizzarra fantascienza. E fa bene queste cose e molte altre ancora.

“Injection” è comunque una storia proprio nelle sue corde. Si parla di grandi complotti e cospirazioni, che sono davvero un po’ la cifra tematica del Fumetto di Warren. Mi domando: anche le sceneggiature che ti manda sono complesse e da decifrare come la storia? Nella struttura, intendo.

Moon Knight vol. 1: Dalla Morte, di Warren Ellis e Declan Shalvey - Panini Comics

No, affatto. Non dal punto di vista dell’artista. Il punto è che lui non mi informa di quello che sta succedendo, non mi spiega la storia. Scrive la sceneggiatura e basta. Mi ricordo quelle che mi mandò per il primo numero di “Moon Knight”. Nelle prime pagine c’erano persone che venivano colpite da spari, poi scomparivano nella pagina successiva. Io disegnavo queste scene senza capire che cosa diavolo stesse succedendo, che direzione avrebbe preso la storia. Quando poi mi sono reso conto di dove portassero gli indizi e le scene che aveva progettato, ho realizzato che razza di idea geniale avesse avuto.

Lui fa così. E il fatto che scriva in quel modo anche in un fumetto Marvel è strepitoso, per me. Ma per quanto riguarda le sceneggiature, dal punto di vista tecnico sono molto basiche, minimaliste.

Il che significa più libertà d’azione per te?

Non sempre. Lui dice sempre esattamente quello che vuole. A volte ti manda anche dei riferimenti, se ha bisogno di qualcosa di specifico. Ti lascia però libero di architettare il moto dei personaggi, al di là delle necessità minime. La costruzione della pagina è sempre mia. E anche quando non mi dice di preciso come vuole che disegni le cose, ho l’impressione che abbia già pensato a come appariranno gli eventi sulla pagina. Anche perché, quando lavoro sulle sceneggiature di Warren, ho la sensazione che il mio lavoro scorra più semplicemente. Lui non è un artista, ma credo che capisca questo medium meglio di tanti disegnatori.

E cosa stai imparando da lui, non solo come sceneggiatore, che anche tu sei, ma in generale sul mezzo visivo e narrativo del Fumetto?

Bella domanda. Non so se ho imparato qualcosa da lui dal punto di vista visivo, ma forse grazie a lui. Nel senso che, come tanti grandi scrittori, è in grado di mettere a frutto al massimo il talento dei disegnatori con cui lavora, quindi mi ha dato l’occasione di scoprire me stesso. Specialmente su “Moon Knight”, dove abbiamo raccontato una storia folle e ho dovuto disegnare cose che non avrei mai immaginato prima. Pensavo che non mi sarebbe mai capitato un fumetto così bizzarro…

…Ma poi è arrivato “Injection”.

Ah ah! Esatto. Cosa di cui sono molto felice, perché si tratta di un progetto che si dipana lentamente, che si costruisce con il tempo. Qualcosa che avevo davvero tanta voglia di disegnare, anche perché non ci sono moltissime occasioni di farlo nel mercato di oggi. Collaborando, poi, con una major come la Marvel, è ancora più difficile.

E dev’essere stata una bella soddisfazione scoprire che uno come Warren Ellis scopre in te un collaboratore con cui vuole lavorare di nuovo, dopo il primo progetto.

Assolutamente. Mi ha chiesto copertine per “Wild Storm” e per “Shipwreck”. Ultimamente, mi ha suggerito di scrivere i miei stessi fumetti. Il che è un bell’attestato di stima. Quando lavoro con lui, mi viene ancor più voglia di dare il massimo.

Parliamo un po’ della tua carriera alla Marvel. Dopo un po’ di progetti che coinvolgevano Deadpool e altre cose di breve durata, è arrivato il progetto grosso sotto forma di “Return of Wolverine”. E anche qui hai incassato la stima di grandi nomi. Ho letto Steve McNiven dire belle cose di te e affermare che ti ha voluto sulla miniserie.

Un fulmine a ciel sereno. Certo, stavo lavorando con la Marvel, ma su personaggi e progetti non proprio di primo piano. Non disegnavo mica “Avengers”. Il che va benissimo, perché non ho alcuna voglia di disegnare “Avengers”, ma Wolverine… ho sempre amato il personaggio. Pensavo che, se avessi mai messo le mani su di lui, sarebbe stato su storie piccole, collaterali. E invece: il suo ritorno nell’Universo Marvel. Sapevo del progetto, ma mai più avrei pensato di essere in lizza. Anche perché, nonostante fossi informato del fatto che Steve non poteva disegnarlo tutto, il mio stile è lontanissimo dal suo.

Esatto. Anche io, alla notizia, ho strabuzzato gli occhi. McNiven è molto lontano da te come sensibilità. Parlavamo di dettagli, e lui è proprio uno dallo stile molto particolareggiato.

Ho visto le sue tavole e sono davvero meravigliose. Ma, ovviamente, non ho fatto nulla per assomigliargli. Lui ha continuato a mettere un sacco di dettagli e io continuo a semplificare molto dove penso che sia necessario.

Il che mi sembra saggio, ma renderà il risultato finale ancora più particolare.

Ho parlato con un paio di editor Marvel e ho chiesto loro come mai proprio io. Mi hanno detto che sarebbe stato comunque impossibile trovare qualcuno che potesse somigliare a Steve e mantenere una coerenza stilistica. Quindi, tanto meglio integrare con un artista dalla sensibilità completamente diversa. Meglio un buon artista che possa far contenti i lettori con qualcos’altro, piuttosto che deluderli con un quasi Steve McNiven.

Scelta interessante da parte della Marvel. Si prendono comunque un rischio su un titolo importante. Vedremo se pagherà. Eri un Marvel fan da ragazzino?

Assolutamente. Mi piacevano Spider-Man, Wolverine, gli X-Men e Batman. Marvel e Batman, in pratica. Ci sono anche altri personaggi che mi interessano e che mi piacciono. Ad esempio ci sono delle cose di Superman che apprezzo molto. Mi piacerebbe un sacco disegnarlo.

Be’, c’è un tizio interessante, innamorato dei disegnatori, che scrive le sue storie in questo periodo. Chissà…

Sarebbe un onore. E devo dire che sono stato fortunatissimo in termini di colleghi sceneggiatori, nella mia carriera. Ho avuto modo di lavorare tantissimo con Warren, con Chip Zdarsky, Scott Snyder, Gerry Duggan. Sono davvero un viziato.

Hai nominato due dei tizi più divertenti del Fumetto internazionale.

Gerry e Chip? Ultimamente sono stato a un incontro con Gerry, eravamo assieme sul palco. Ho riso per dieci minuti consecutivi, quando aveva lui il microfono. Davvero un personaggio incredibile.

E i tuoi progetti di scrittura? Vuoi puntare un po’ di più su questa cosa?

Sì. Mi ha sempre spaventato molto, ma dopo aver scritto Nick Fury [per l’antologico “Civil War II: Choosing Sides” – NdR], mi sento più sicuro di me. Ho scritto anche qualcos’altro in passato, ma si tratta di un progetto estremamente legato alle mie radici irlandesi, che non potrebbe trovare traduzione. Mi piacerebbe però riprendere qualche tema della mia terra per scriverci sopra una storia. Sono molto orgoglioso delle mie radici e, se dovessi scrivere un fumetto tutto mio, mi piacerebbe che parlasse dell’Irlanda.

L’anno prossimo ho in progetto di scrivere una graphic novel con un artista irlandese, appunto, completamente sconosciuto. Nulla di cui possa parlare granché. Sarà una crime story e sarà – sorpresa – ambientata in Irlanda. Amo il genere crime, ma non l’ho mai disegnato. Ora lo scriverò. E sono felice di lavorare con un artista ignoto, ma che stimo molto.

Warren ha dato un impulso importante alla mia carriera. Se potrò fare altrettanto per qualcun altro, ne sarò felice.

 

Claudio Scaccabarozzi e Declan Shalvey