Tra le novità presentate da BAO Publishing in occasione di Lucca Comics & Games 2018 c’era Nina che disagio, il primo romanzo grafico di Ilaria Palleschi. È una storia surreale e ironica quella di Nina, giovane ragazza alla ricerca del suo posto nella società che si trova a fare i conti con se stessa e con le sue paure.

Abbiamo fatto qualche domanda all’autrice per conoscerla meglio e comprendere un po’ più a fondo questa sua opera prima:

 

Ciao Ilaria, benvenuta su BadComics.it!
Comincerei con una domanda di rito: com’è cominciata la tua prima Lucca Comics & Games nelle vesti di autrice? Ti piace aver modo di incontrare i tuoi lettori?

Sì, mi piace e mi sta spaventando meno di quanto mi aspettassi! Perché quello che sto vedendo è che sono tutte persone più timide di me… mi ringraziano e quello che penso io è “grazie a te!”. Per me è un privilegio infinito vedere gente che acquista qualcosa che ho fatto io, ancora non ci credo.

Quanta Nina c’è in te e quanta Ilaria c’è in Nina?

Per quanto abbia provato a essere il meno autobiografica possibile, perché trovavo l’idea un po’ noiosa, alla fine degli aspetti ci sono. Da qualche parte bisogna pur prendere ispirazione. Ho inserite le esperienze vissute in prima persona, soprattutto ho preferito far arrivare al lettore delle cose attraverso situazioni che mi sono accadute realmente, che su di me hanno avuto un impatto che spero di poter far arrivare ai lettori. Per esempio, lo spaesamento totale di fronte a una persona a cui dici: “Ho studiato animazione” che ti risponde: “Wow, quindi fai un sacco di viaggi”.

Leggendo quella scena, nel fumetto, ho proprio pensato che potesse essere un aneddoto vero. C’è chi ancora sembra considerare l’illustrazione un hobby, piuttosto che un mestiere.

Piano piano sono riuscita a far capire il mio lavoro almeno alle persone che tengono a me. Poi tra gli estranei…

C’è sempre chi non vuole capire.

Non credo che si tratti di non voler capire, piuttosto di ignorare un determinato mondo e non volerlo percepire. Il Fumetto sta però vivendo un periodo d’oro, essendo partita come illustratrice, poter dire che faccio la fumettista mi sembra risulti più comprensibile.

A questo proposito ti chiedo: com’è stato lavorare sul tuo primo fumetto? Ci sono estati eventuali “disagi” o paure, quando ti sei approcciata al lavoro?

“Disagi” e paure le ho sempre avute attaccate al piede, quindi le provo spesso quando mi approccio a qualcosa di nuovo. Persone che stimo – per questo ho accettato il consiglio – mi hanno detto che alle mie illustrazioni “manca la parola”: sembra sempre che vogliano dire qualcosa. Mi hanno consigliato, quindi, di farle parlare e ho capito che avrei potuto farlo tramite il Fumetto e mi sono trovata meglio di quanto pensassi.

Voglio chiederti una cosa a proposito del personaggio di Nina: il salto nel vuoto che fa alla fine della storia, secondo te, è più importante per lei perché finalmente decide di affrontare le sue paure oppure perché la porta decidere di apprezzare di più se stessa? Tramite quel salto, Nina elimina il suo doppio, che inizialmente è presentato come una versione “migliorata” di lei…

È una domanda difficile. Onestamente per me è soltanto la riprova che quando si affronta qualcosa… non ci si rimette la pelle! Nel senso che, quando si affronta una cosa pericolosa, ci sono dei rischi, ma in realtà si corre un rischio anche camminando per strada e quindi c’è sempre la possibilità che succeda qualcosa. Bisogna cercare di affrontare questa possibilità. Con il salto Nina mette alla prova se stessa per aprirsi a nuove esperienze, così come dice alla fine: dopo quell’episodio non sono risolti tutti i problemi, ma ha capito che, nel bene o nel male, bisogna affrontare le cose. Vivere da passivi può andare bene fino a un certo punto, anche se ognuno è libero di fare ciò che crede. Lo dico senza presunzione.

Nina che disagio, anteprima 04

C’è una cosa in particolare che mi ha sorpreso del tuo fumetto: Nina sfonda spesso la quarta parete rivolgendosi al lettore. Ho quasi avuto l’impressione che, oltre a volersi fare accettare dalla società all’interno del fumetto, stesse quasi cercando di farsi accettare e farsi capire dal lettore stesso. Come se quel senso di invisibilità che prova all’interno della storia, lo provasse anche nei confronti di chi legge e dunque si stesse rivolgendo a lui per cercare di assicurarsi che capisca davvero quello che sta cercando di dire.

Sinceramente è un espediente che ho preso in prestito dai miei film preferiti, proprio perché a me piace molto quando, a teatro o al cinema, si sfonda la quarta parete. Come Woody Allen con i suoi monologhi isterici, mi auguro, prima o poi, di riuscire ad avere la stessa invettiva! Però questo senso di invisibilità del personaggio è più una mia esigenza inconscia. Non è dunque per spiegare o farsi capire: il mio fine è provare a rendere un certo distacco dalla storia per il lettore. È giusto immergersi nel lato sentimentale e farsi coinvolgere, però con una certa distanza che è il mio modo di guardare le cose, quello con cui sono più a mio agio.

Quando hai cominciato a lavorare a “Nina che disagio”, ti stavi immaginando un possibile lettore? Hai immaginato a chi rivolgerti, oppure è una cosa che ti sentivi di raccontare e ti sei buttata con quest’idea?

In realtà, Nina è nata un po’ per caso, ma il target mi è stato subito più o meno chiaro. Non poteva essere un romanzo grafico di formazione perché non l’avrei sentito mio. Stavo passando un periodo della mia vita in cui avevo bisogno di un cambiamento, ma la mia formazione era già avvenuta. Quindi direi che è diretto a una coetanea o un coetaneo di Nina che cerca la propria strada e che, appena uscito dall’università, fatica a trovare un lavoro. Un argomento abbastanza attuale, purtroppo.

Vorrei chiederti qualcosa a proposito della vecchietta, che è il personaggio che introduce l’elemento surreale della storia. È effettivamente una fattucchiera, oppure il suo valore è solo simbolico?

La vecchietta fa parte degli incontri sfortunati della vita. Il valore magico della vecchietta può esistere o non esistere. Può essere semplicemente una vecchia pazza, e a Nina può essere capitato di incontrare il suo doppio per colpa sua o per allineamenti cosmici. Sono più soddisfatta se le persone ci vedono altre cose! Per esempio un mio amico, dopo aver letto il fumetto, mi ha detto che se non ci fosse stata la vecchietta, avrebbe pensato che fosse tutto nella testa di Nina, come una sorta di schizofrenia… ma non era mia intenzione andare sul clinico!

Nina è un’illustratrice, e all’interno del fumetto mostra i disegni a cui lavora e le opere a cui si ispira. Quindi vorrei chiederti quali sono le tue opere preferite, gli artisti a cui ti ispiri e che magari ti hanno portata a decidere di intraprendere questa carriera.

La lista è fortunatamente infinita! C’è il sacro Mattotti, che è stato per me il primo incontro con l’illustrazione. Sono andata a vedere una sua mostra, e lì ho scoperto che avrei potuto fare della mia passione un lavoro. Poi Gipi, Manuele Fior ovviamente… la lista è veramente lunga, mi attengo agli italiani perché siamo a Lucca!

Ultima domanda: all’interno del fumetto troviamo numerose citazioni a film, serie TV e in generale elementi della cultura pop. Quanto sono importanti per la tua ironia questi elementi? E credi che ti possano aiutare a inserire di più la tua storia nella contemporaneità o hai avuto paura di renderla “troppo” contemporanea, rischiando di non farla comprendere a un lettore che magari si approccerà più tardi al tuo lavoro?

Nina che disagio, copertina

Ho pensato a questa cosa, anche perché le citazioni che ho fatto sono molto legate alla mia età. Per esempio io sono affezionatissima a “Scrubs, tanto che mi hanno detto che “Nina che disagio” sembra un po’ una puntata di “Scrubs: si ride per le prime cento pagine e poi si piange tantissimo!

Mi sono però accorta che magari ora ci sono ragazzi che non hanno mai visto “Scrubs, oppure se cito Morrissey e i gli Smiths, anche se stanno tornando in voga, magari non li conoscono, però allo stesso tempo spero di stimolare un po’ di curiosità. Cito Dian Fossey e qualcuno potrebbe non sapere chi è, quindi va a controllare!

Dian Fossey è stato un personaggio molto interessante che spero non si perda, così come c’è un breve stralcio dedicato a David Bowie – un “Yes, Major Tom” – e sono sicura che ci sia chi ha colto la citazione e chi non l’ha fatto. Quindi alcune persone lasciano correre, ma quelle che leggono il riferimento e lo riconoscono magari si divertono di più.

 

LuccaCG2018, intervista a Ilaria Palleschi