Dopo Fabio Civitelli, in occasione dei 70 anni di Tex abbiamo avuto l’onore di intervistare un grande maestro del Fumetto italiano, una delle prestigiose firme in forza nel team creativo della collana di Aquila della Notte, nonché creatore di Nick Raider per Sergio Bonelli Editore.

Diamo il benvenuto su BadComics.it a Claudio Nizzi, che ringraziamo per la sua disponibilità e la sua simpatia.

 

Claudio, il tuo esordio sulla serie regolare risale alla storia “Alleati pericolosi” (Tex 273, luglio 1983). Fino a quel momento “Tex” era stato scritto solo da Gianluigi Bonelli e dal figlio Sergio, e dunque ti addossavi una bella responsabilità. Che ricordi hai di quei momenti?

Tex 273: Alleati Pericolosi, copertina di Aurelio Galleppini

All’epoca la responsabilità era tanto maggiore perché, molto più di oggi, “Tex” veniva considerato dall’editore un giocattolo delicatissimo che bisognava cercare di non rovinare. Da qui, la raccomandazione da parte di Sergio Bonelli di prendere come modello il Tex del padre e non il suo, essendo consapevole che la versione “vincente” era quella del “vecchio Bonelli” (come lo chiamava lui).

Cosa che cercai di fare, anche per intima convinzione, e con qualche successo, visto che nessuno si accorse del passaggio di mano. Infatti, all’epoca non firmavo con il mio nome, in base a un accordo preso con Sergio, il quale temeva che un nome nuovo al posto del classico “testi by Bonelli” potesse provocare la disaffezione di qualche lettore. Il mio nome rimase nascosto per quasi cinque anni, e questo emotivamente mi costò non poco. Solo nel 1988, in occasione della pubblicazione del primo Texone, potei finalmente uscire dall’anonimato.

“Tex” compie 70 anni. Secondo te, dove si possono ricercare le motivazioni di un successo rimasto inalterato per un periodo così lungo?

È la domanda delle domande, alla quale non è facile dare una risposta. Ho provato a darne una, molto meditata, nel libro-intervista “Tex secondo Nizzi”, curato da Roberto Guarino e pubblicato nel 2012 dall’editore Allagalla di Torino. Dubito che oggi saprei fare di meglio, perciò riporto la risposta che detti allora:

”Tra ‘Tex’ e i lettori è nato un innamoramento che resiste al trascorrere del tempo. Difficile spiegare in che cosa consista la texianità, ovvero quel sentimento che lega i lettori a ‘Tex’, fatto di tante impalpabili sensazioni che si assorbono attraverso la lettura delle storie del vecchio Bonelli, il quale ti ci fa entrare con un gesto e due parole (Tex indica una capanna in lontananza e dice: ‘Eccola là’; Carson risponde: ‘Bueno’; i due vi si dirigono al galoppo e con le loro chiacchiere ti tirano dentro la storia). La texianità si assorbe attraverso la semplicità e la linearità delle trame, la naturalezza di un dialogo che ha l’andamento di quello quotidiano (Carson a Tex: ‘Stavolta hai preso un granchio’; e Tex: ‘Sempre meglio che prendere una pallottola’) che spesso si impenna in pittoresche invenzioni (Carson: ‘Ho tanta fame che manderei giù un manzo intero, zoccoli compresi’, e mille altre). Si assorbe dal carattere di Tex, dalla sua ironia, dalla sua dirittura morale, dal suo essere sempre sicuro di sé e dei valori in cui crede, dal non aver paura di niente e di nessuno, dall’essere generoso coi deboli e implacabile coi prepotenti; dal forte senso di amicizia che lo lega ai suoi pards, così totale da suscitare nei lettori un profondo senso di partecipazione; dal ripetersi identico delle situazioni: le cavalcate, il guado dei fiumi, la sosta notturna attorno al fuoco di bivacco, il rito del caffè (che provoca l’invidia di Roberto Benigni, il quale dichiara in un’intervista che vorrebbe essere seduto in mezzo a loro con in un mano una tazza fumante), le lunghe chiacchierate, sempre con le stesse parole, le stesse esclamazioni, i battibecchi tra Tex e Carson. La texianità è un bagno tiepido in cui il lettore si immerge ogni mese quando apre ed entra nel nuovo albo sapendo di ritrovarvi i sapori e i profumi che ben conosce e che desidera siano sempre gli stessi. ‘Tex’ ha ormai oscurato il suo stesso creatore, è diventato più importante di lui. I nuovi autori chiamati a proseguirne la saga hanno il dovere di non tradire la sua personalità e di non uscire dai canoni narrativi che ne hanno determinato il successo.”

A proposito di nuovi autori, perché anche a quelli di scafata esperienza risulta così difficile scrivere “Tex”?

Le ragioni sono tante. Non tutti, per esempio, si danno la pena di “entrare” nel personaggio studiando a fondo le storie del vecchio Bonelli, che ne ha fissato i canoni fondamentali (tradendo i quali si tradisce “Tex”) e di cercare di imitarne lo stile: forse per pigrizia, forse per la presunzione di non dover imitare nessuno, o forse non ci riescono perché il personaggio non è nelle loro corde, come accadeva, per sua stessa ammissione, a Sergio Bonelli, che preferiva i personaggi problematici a quelli troppo sicuri di sé come Tex (ma che, per virtù di mestiere, riusciva a cavarselo lo stesso). Ma si può anche fare l’ipotesi che non ci riescano e basta, dato che le storie di “Tex” – per chi voglia restare sui binari tracciati – non sono per niente facili da scrivere.

E che consiglio daresti a un giovane sceneggiatore che volesse avvicinarsi per la prima volta al personaggio?

In parte ho già risposto nelle righe precedenti: gli suggerirei di leggere le storie del vecchio Bonelli, di studiarne trama e dialoghi, cercando di carpire i segreti del suo stile. Ma prima ancora, di farsi una buona cultura western attraverso libri, film e fumetti (nell’ordine). Le storie di “Tex” devono avere solide trame sostenute da un dialogo scorrevole, ritmico, creativo. Gli suggerirei di non scoraggiarsi ai primi rifiuti e di sottoporsi a una lunga gavetta. Prima di arrivare a “Tex”, avevo scritto per “Il Giornalino” 160 storie western di “Larry Yuma”, leggendo le quali Sergio Bonelli si era formato la convinzione che avrei potuto dargli una mano a proseguire la saga di “Tex”.

A quali delle tue storie di “Tex” ti senti più legato e perché?

Mi costringi a un esercizio di memoria per il quale non sono preparato. Ma senza dubbio preferisco le storie che ho scritto sapendo che sarebbero finite in mano a bravi disegnatori, perché solo così avevo la certezza che i miei sforzi sarebbero stati premiati: sapevo che il disegnatore avrebbe colpito dove io miravo.

Quasi tutte le storie disegnate da Giovanni Ticci, come “Fuga da Anderville” [“Tex 299”, settembre 1985 – NdR], “Il ragazzo selvaggio” [“Tex 319”, maggio 1987], “Le colline del vento” [“Tex 360”, ottobre 1990], “Furia rossa” [“Tex 385”, novembre 1992]; o da Fernando Fusco, come “Il ritorno del Carnicero” [“Tex 280”, giugno 1987], “I predatori del Grande Nord” [“Tex 346”, agosto 1989], la saga messicana di Cobra Galindez [“Tex 378” e “Tex 381”, aprile – luglio 1992]; o da Claudio Villa: “La nave del deserto” [“Tex 329”, luglio 1991], “Alcaltraz!” [“Tex 355”, settembre 1993], “La Tigre Nera” [“Tex 382”, agosto 1992]; o da Fabio Civitelli: “La taverna del porto” [“Tex 305”, marzo 1986], “Chihuahua!” [“Tex 369”, luglio 1991], “Intrigo a Santa Fe” [“Tex 393”, luglio 1993]; o da Andrea Venturi: “Oppio!” [“Tex 451”, maggio 1998], “Le foreste dell’Oregon” [“Tex 513”, luglio 2003], “Documento d’accusa” [“Tex 548”, giugno 2006 ], oltre ad alcune pubblicate sui Texoni. Ma tra i disegnatori per i quali lavoravo volentieri c’erano anche Guglielmo Letteri, Vincenzo Monti e José Ortiz.

Sappiamo che recentemente hai ripreso a scrivere “Tex” con continuità e che è stato il suo editor, Mauro Boselli, a convincerti. Ci puoi raccontare com’è andata?

Ogni tanto, Boselli mi chiedeva se mi era tornata la voglia di scrivere “Tex”, ma gli rispondevo sempre picche perché ero convinto di avere chiuso definitivamente (nel periodo in cui sono stato lontano da “Tex” ho scritto cinque romanzi e curato per le edizioni Allagalla la raccolta in volume di alcuni romanzi classici e le storie di personaggi che avevo creato per “Il Giornalino”). Poi alla Bonelli sono nati i “Color”, con le storie brevi di trentadue pagine e, a una nuova richiesta di Boselli, ho accettato di scriverne una: “Dal tramonto all’alba”, disegnata da Roberto Zaghi e pubblicata nel 2017.

Ne ho scritte altre due (una per Rodolfo Torti, l’altra per Giuseppe Candita) e ho scoperto che scrivere “Tex”, dopo il periodo di depurazione, mi divertiva ancora. Così negli ultimi due anni ho firmato anche storie più lunghe: un “Maxi” per Giancarlo Alessandrini, un “Color” lungo per Rodolfo Torti e altre di due albi per Lucio Filippucci, Giovanni Ticci e Corrado Mastantuono.

A distanza di anni è cambiato qualcosa nel tuo modo di ideare e scrivere le storie di “Tex”?

È cambiata una cosa fondamentale: che, scrivendo con più calma di un tempo, posso curarle meglio, sia nello studio del soggetto sia nello stendere la sceneggiatura. Fino a oggi ho consegnato a Boselli solo storie complete, cosa che un tempo non avrei mai potuto fare perché dovevo saltabeccare da una storia all’altra per non lasciare i disegnatori senza lavoro (come oggi è costretto a fare il super impegnato Boselli). Mi è sembrato quasi un nuovo esordio.

Hai avuto modo di leggere la nuova serie “Tex Willer”? Se sì, cosa ne pensi?

L’ho letta, certo. Su questa nuova collana ho un dubbio di fondo che mi auguro venga smentito dai fatti. Mi chiedo se, da solo, senza l’aiuto dei tre pards, il giovane Tex riuscirà ad affermarsi o resterà l’ombra del se stesso adulto.

Nella mia esperienza di lettore ricordo il precedente di “Blueberry”, che nelle sue storie giovanili (soprattutto le prime, quelle brevi) non era male, ma lì il distacco era minore perché il Blueberry adulto non era dissimile da quello giovanile. Comunque auguro al giovane Tex successo e lunga vita!

Puoi confidarci, infine, a quali progetti stai lavorando o quelli a cui ti dedicherai nell’immediato futuro?

Sto lavorando alla creazione di un noir anni Quaranta con un disegnatore del tutto inaspettato. È mirato alla collana Audace e sarà un po’ scurrile nel linguaggio ma senza esagerare, altrimenti le parolacce finiscono con il diventare un obbligo come l’assenza di parolacce. Non aggiungo altro perché il progetto è ai primi passi. Comunque ci vuole un bel coraggio a parlare di progetti futuri alla mia età (e qui s’impone una toccatina).

 

Claudio Nizzi