A Lucca Comics & Games 2018, abbiamo avuto il piacere di intervistare Stefano Casini a proposito della sua ultima graphic novel pubblicata da TunuéGli anni migliori. Tra le altre cose, nel corso della nostra chiacchierata, Casini ci ha parlato del suo lavoro di fumettista, dell’esperienza su Nathan Never e del suo rapporto con il passato.

 

Ciao, Stefano. Benvenuto su BadComics.it!
Da dove nasce il bisogno di raccontare la storia alla base di “Gli anni migliori”?

Gli anni migliori, copertina di Stefano Casini

Dalla lettura di un romanzo, il quale mi ha suggerito uno dei personaggi, e attorno a lui ho costruito la storia. Si tratta di Italo, che in realtà è un comprimario. Sappiate che, ancora oggi, sul mio computer il progetto è intitolato Italo! Solo successivamente è stato studiato il titolo nuovo.

Intorno a lui si è sviluppata l’idea di raccontare un periodo storico particolare, e in funzione di questo sono nati i personaggi. Ho ripescato le esperienze adolescenziali per dipingere un affresco di qualcosa di diverso rispetto alla stessa età vissuta oggi, ma che ha all’interno le stesse incertezze, paure e scoperte… quel desiderio di diventare uomini, con tutti i problemi contingenti in quel periodo storico. Un esempio: le donne viste unicamente come casalinghe. Erano gli inizi degli anni Settanta e, a quel tempo, la loro condizione era quella. C’è una forte vena maschilista. Quello di Italo è un maschilismo negativo, ma il protagonista ne resta affascinato perché lo vede inarrivabile: è il fascino dello sciupafemmine.

L’idea non si basa su una volontà nostalgica, ma su quella di ricostruire un periodo. Sono convinto che la mia generazione abbia vissuto quest’esperienza e ci si possa ritrovare, ma all’interno di questo racconto c’è tanta Italia per come era a suo tempo e com’è ancora oggi. Essendo vissuto in un luogo permeato dalla sinistra per decenni, pur essendo della stessa idea politica ho sempre sentito la mancanza di quella dialettica con qualcuno che la pensasse in maniera diversa. Invidiavo i miei amici del liceo che avevano persone con cui parlare per sviluppare un confronto. Quell’Italia lì è diventata quella di ora, in cui paradossalmente tanta sinistra è andata altrove: il frutto di una mentalità troppo acritica e molto “subita”.

Perché hai scelto proprio il termine “migliori” nel titolo?

In realtà, sono gli anni in cui, mattone dopo mattone, si dovrebbero costruire gli adulti di domani. Nella fattispecie, per me lo sono stati. Tutto sommato, spesso e volentieri quando la mia generazione fa riferimento a quel periodo storico tende a mitizzarlo. Tutte le generazioni lo fanno guardando al proprio passato. Si legge in filigrana quel coinvolgimento giovanile politico più forte, ed era tale perché a tavola si parlava del telegiornale, dato che c’era solo quello. L’attualità permeava le nostre vite e quindi la famiglia di quello parlava, quando si riuniva. Sì, è vero che c’erano dei momenti particolari: la guerra in Vietnam, il post Sessantotto… ma non è che oggi ce ne siano di meno! Più che altro, forse i genitori oggi non fanno guardare il telegiornale ai figli.

Parliamo dell’effetto nostalgia: quanto è importante ricordare il passato per cercare di capire chi siamo nel presente?

Non dobbiamo dimenticarci del passato, perché altrimenti diventa difficile interpretare presente e futuro. Ho cercato di non scordare la mia adolescenza. Il genitore può dimenticare alcune cose, io ho cercato di evitarlo. Nel mio primo libro volevo raccontare alcune vicende, e farlo solo oralmente non avrebbe avuto senso. Questo lavoro è legato al far capire ai miei figli che i problemi di quell’età ce li hanno tutti i ragazzi, a prescindere dal periodo storico.

Il bullismo, il nonnismo… a suo tempo erano tappe da superare, momenti che sembravano esser messi lì apposta dal destino per fare in modo che attraverso essi ci si trasformasse in uomini. A suo tempo, il bullismo lo vivevamo come un passaggio generazionale che andava superato. Oggi c’è anche iperprotettivismo, magari, ma certo non va minimizzato il problema. In questo momento ci sono i social network ad amplificare la cattiveria della gerarchie e dell’età. Il più grande ha egemonia su alcune cose, i ragazzi di quinta con le prime… si cercava di crescere anche solo affrontando i problemi. Alcune difficoltà da affrontare erano insormontabili. Il Bestia prendeva tutto, sempre. Alla fine, anche lo stare attorno alla giostra mentre lui vinceva era una rappresentazione, ti faceva partecipare a un contesto. All’epoca, il luna park era un posto di condivisione.

Con “Gli anni migliori” racconti il passato, mentre durante il tuo lavoro su “Nathan Never” hai costruito graficamente un futuro “prossimo ma non troppo” che accoglie un uomo fortemente ancorato al tempo che fu. C’è ancora qualcosa nel tuo lavoro di quel periodo?

“Nathan Never” è ovviamente un’opera dei tre autori sardi. Pur essendo un personaggio popolare, connotarlo a livello psicologico con delle caratteristiche ombrose derivanti da un passato piuttosto oscuro è la prova che senza passato nemmeno nella fiction è possibile dare credibilità ai personaggi. Il passato è imprescindibile, sempre. Qualsiasi narrazione deve basare i personaggi su di esso. Ho notato che oggi all’interno delle strutture didattiche alle nuove generazioni manca un pochino di quella profondità: si guardano poco alle spalle e osservano solo il presente.

Nel volume hai specificato che per realizzare i paesaggi non hai voluto utilizzare reference, e che ti sei basato praticamente solo sulla memoria. Cosa pensi del disegno come strumento di conoscenza e, di conseguenza, di preservazione della memoria?

Quando si fa un’operazione di questo tipo non ci deve essere una ricostruzione storica dettagliata. Come filosofia autoriale non vedo le ricostruzioni storiche come copie pedisseque, aggiungo sempre qualcosa di mio. Devo dar loro una collocazione personale. Quando disegni le automobili, per esempio, non puoi non avere un riferimento fotografico per richiamare un contesto storico, ma per altre cose è sempre un mix. I bravi narratori sono quelli che mettono sempre qualcosa di loro. L’aggiunta personale riesce a dare spessore ai vari elementi. L’ho fatto anche con “Cuba 1957: Hasta la victoria!”.

Ai miei ragazzi dico di non prescindere dalla reference, perché sono importantissime. Però… nel fumetto la casa di Saverio è casa mia! Per certi paesaggi sono andato a memoria, senza voler fare la cartolina, perché doveva respirarsi una sensazione, altrimenti è un esercizio di stile.

Progetti per il futuro?

Un possibile scenario legato a un albergo in cui sono stato tanti anni fa a Bologna, e già all’epoca dissi che volevo farci una storia a fumetti. Come ne “Gli anni migliori”, partendo da un palazzo voglio vedere cosa posso tirare fuori. Ne “Gli anni migliori” la storia nasce da un personaggio, strutturato sul dialogo del pescatore Saverio. Prima lui, poi il periodo storico. Sergio Toppi, anni fa, disse che le storie partono da un oggetto che aveva visto, e intorno a esso costruiva la storia. Aveva ragione! Le storie nascono da qualsiasi tipo di impulso.

 

Stefano Casini