A Lucca Comics & Games 2018 abbiamo incontrato Paola Barbato e Matteo Bussola, intenti a presentare il settimo e ultimo numero di Davvero, atteso da anni dagli appassionati dopo l’interruzione della serie.

Abbiamo chiacchierato con i due autori per scoprire com’è nato questo finale, facendo inoltre un bilancio del progetto.

 

Sette anni fa, “Davvero” ha preso il via con una compagna marketing virale, tra pagine Facebook e un esercito di attaccatori di post-it… e ora riappare a sorpresa, con un annuncio che risale a poche settimane prima di Lucca Comics & Games. Parafrasando Nanni Moretti: “Mi si nota di più se faccio marketing virale o se riappaio all’improvviso?”. Ultimamente, J.J. Abrams, uno dei maggiori ideatori di campagne virali per le proprie opere, ha annunciato un film due mesi prima dell’uscita nelle sale, mentre un’altra pellicola è stata svelata su Netflix la sera prima dell’esordio. La vostra strategia “silenziosa” com’è nata?

Davvero 1

Paola Barbato – Il progetto era partito come fumetto online, quindi eravamo un gruppo di persone che voleva vedere se quest’idea potesse concretizzarsi. Non avevamo nulla, non avevamo un editore, eravamo solo noi. C’era Lucca, e avevamo scelto il post-it come “simbolo” del fumetto, quindi ognuno ne ha preso un blocchetto e su ciascun foglio ha scritto l’indirizzo del sito, per poi attaccarlo dove capitava in fiera. Era l’unica cosa fattibile con un gruppo molto ampio, con amici che arrivavano da tutte le parti d’Italia. Probabilmente, proprio perché era l’unica possibilità che avevamo, ha funzionato: all’epoca ci fu un grande passaparola e il pubblico è arrivato.

Sono passati sette anni e il fumetto non ha un editore. Edizioni Arcadia ce l’ha stampato, ma sostanzialmente non viene distribuito. La nostra intenzione era quella di dare al pubblico un finale, com’era giusto che fosse, perché la storia si era interrotta prima della conclusione. Indipendentemente dal numero di lettori, siano essi dieci, cento o mille, il finale di una storia a puntate va consegnato. Per cui abbiamo composto una piccola truppa, un tot di tavole per ogni disegnatore – “Quante riesci a farne tu?“, “Ce la fai a consegnare?” “No, mi è arrivato un altro lavoro” – perché abbiamo collaborato con lo stesso spirito con cui abbiamo iniziato.

Nessuno ci ha guadagnato nulla: volevamo semplicemente farlo. Abbiamo tagliato il traguardo a un mese da Lucca, e ci siamo chiesti “Cosa facciamo? Lofacciamolofacciamolofacciamo?” E lo abbiamo fatto. Per questo siamo venuti fuori così di botto, alla fine.

È la stessa storia che era stata scritta all’epoca, rimasta nel cassetto per tutto questo tempo? Oppure quando hai deciso di realizzare questo ultimo numero ci hai messo mano e l’hai rielaborata?

Barbato – La storia è stata concepita per svilupparsi in dodici numeri. Ne sono usciti sei, e ovviamente gli altri sei avvenivano altre cose che non potevano essere tutte pressate in un unico albo, per cui sono stati sacrificati innumerevoli elementi; anche perché ci sono delle tempistiche precise, per cui non puoi macinare troppi mesi in un solo albo.

Ci siamo detti: l’avventura di Martina fuori da casa non durerà un anno, il suo esperimento fallirà, quindi sarà uno svolgersi degli eventi logico e coerente. Allo stesso tempo, volevamo darle una conclusione in cui ci fossero alcuni degli elementi che sarebbero stati presenti nei sei albi seguenti, senza snaturarla eccessivamente ma dandogli una fluidità. Si conclude come si doveva concludere, solo con meno cose e in un tempo più breve.

Riguardo al coordinamento dei disegnatori, è cambiato qualcosa rispetto alla pubblicazione dei numeri precedenti? Avere un solo albo in cui si deve mantenere una coerenza tra i diversi disegnatori cosa ha comportato?

Davvero 2

Matteo Bussola – Mi permetto di correggerti: non c’è mai stata una coerenza stilistica. Anzi, la ricerca di una coerenza che non fosse per niente coerente è stato motivo di vanto. Abbiamo lasciato a ogni disegnatore totale libertà espressiva. Ai tempi della pubblicazione online, questa cosa si notava moltissimo perché c’erano discrepanze stilistiche enormi tra un disegnatore e l’altro.

Nel momento in cui siamo passati a Edizioni Star Comics, il bianco e nero tendeva a raffreddare tutto quanto. Se però guardi il primo numero disegnato da Walter Trono e Antonio Lucchi, il primo ha un disegno realistico mentre il secondo si avvicina a uno più grottesco. C’è una coerenza narrativa, non grafica.

I disegnatori li abbiamo scelti io e Paola. La sua idea geniale, mossa dal suo animo un po’ naif, è stata quella di mettere un annuncio su Facebook, e in questo credo che siamo stati pionieri. Lei voleva fare questo fumetto, ma nessun editore italiano glielo permetteva, perché “Paola Barbato deve fare solo il noir, il thriller“. Aveva il desiderio di raccontare questa storia e l’ha raccontata da sola.

Un disegnatore in casa l’aveva, ma non avrei mai potuto disegnare centinaia di pagine da solo, per cui contattò disegnatori esordienti, chiedendo a chiunque volesse darci una mano di realizzare il numero di tavole che riteneva di poterci offrire, partecipando a quel progetto senza trasformarlo in un impegno troppo gravoso.

Ci siamo assestati inizialmente su cinque o sei pagine a testa, che non è diverso dal numero di tavole di prova che mandi a un editore per presentare un progetto. L’idea era che la visibilità (parola di cui molti si riempiono la bocca) data da Paola Barbato potesse restituirti qualcosa per la tua carriera. Inizialmente, è stata anche attaccata per questo, perché faceva lavorare i disegnatori gratis, ma c’era un accordo tra le parti e nessuno è stato sfruttato.

Fabio Detullio ora lavora per Bonelli e Soleil, Walter Trono disegna “Dragonero”, Fabio Ramacci è ormai lanciato sul mercato americano, Mario Del Pennino collabora con la Marvel, Riccardo Nunziati fa “Diabolik” eccetera… Ognuno di questi disegnatori, anche grazie a questo innesco, ha trovato una propria strada nel mondo del lavoro, quindi mi sento di dire alle persone che all’epoca criticarono Paola che ognuno è libero di scegliere per quale progetto spendere le proprie energie. Se fai qualcosa semplicemente perché ti piace farlo, senza secondi fini, a volte il karma può premiarti.

Barbato – Il numero 7 è composto da tutti quei disegnatori. Hanno partecipato perché volevano salutare il progetto, un collettivo che ha lavorato a titolo gratuito. Poi ci sono amici come Lola Airaghi o Giuseppe Candita, che non avevano alcun interesse di “mettersi in mostra” ma hanno voluto collaborare.

Bussola – Esatto, non c’erano solo esordienti che volevano farsi notare, ma anche professionisti “di lusso” che volevano partecipare, e anche questo ad alcuni è risultato incomprensibile. “Ma come? Sei Alessandro Poli e vai a fare sei tavole gratis per Paola Barbato?!“. E non lo capiranno mai.

“Davvero” è stato innovativo per il suo voler proporre in Italia un genere che all’estero è presente. Penso agli shojo manga o agli slice of life giapponesi.

Barbato – Diciamo il Fumetto realistico. Anche quando ha un tratto realistico, in Italia il Fumetto è comunque avventuroso o poliziesco. Non si parla mai – se non in qualche scorcio di “Julia” – della quotidianità di chi si deve preparare le uova.

Siamo abituati a vedere queste scene con una funzione propedeutica. Come Peter Parker che “prepara il terreno” a Spider-Man.

Barbato – Esatto, porta sempre ad altro. A me questo “altro” non interessava.

 

 

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