Grazie a Feltrinelli Comics, a Lucca Comics & Games 2018 abbiamo intervistato per voi Alberto “Bebo” Guidetti, della band Lo Stato Sociale, e Luca Genovese, ossia gli autori della graphic novel Andrea, da qualche settimana in libreria e in fumetteria.

Durante la chiacchierata abbiamo cercato di scoprire i retroscena sulla creazione del fumetto, oltre ad approfondire le tematiche su cui si focalizza la vicenda raccontata. Ecco cosa è emerso:

 

Ciao, ragazzi, e benvenuti su BadComics.it!
Mi ha colpito molto la rappresentazione della periferia, con l’accostamento molto netto tra città e campagna o il bosco che inizia a pochi metri dai palazzi. Bebo, ti sei ispirato a una zona reale di Bologna?

Andrea, copertina di Luca Genovese

Bebo – Nel mio immaginario testuale si tratta della periferia in cui sono nato e cresciuto, dove vivo tuttora: zona sud-est di Bologna, alto quartiere Mazzini, vicino a San Ruffillo. Si tratta fondamentalmente di un quartiere dormitorio, con tanto verde perché si trova vicino ai colli, ma è una periferia molto vuota. La prima biblioteca è a un chilometro di distanza. Dopo le 21:00, non c’è un pub, un locale o un luogo di ritrovo, e i mezzi pubblici a mezzanotte non passano più. È una zona buona, ben tenuta, ma molto complicata, un po’ come tutta la periferia bolognese: se hai un minimo di ambizione o voglia di scoprire il mondo, lì c’è vita solo dalle 8 di mattina alle 8 di sera.

Con Luca abbiamo passato quattro o cinque mesi parlando e facendo un lavoro di immaginazione, prima di metterlo nero su bianco. Anzi, blu su bianco.

Luca Genovese – Io abito da tredici anni a Bologna. Tra l’altro, io e Bebo ci siamo incontrati del tutto per caso.

Bebo – Proveniamo da due periferie diverse ma abbastanza simili, quindi c’era già un immaginario condiviso, anche se a distanza: si è trattato solo di dargli forma. E in questo, Luca è un fenomeno. Siamo stati fortunati.

Come il romanzo “Il movimento è fermo”, anche “Andrea” è firmato da Lo Stato Sociale. Ci sono altri lavori, come gli spettacoli di Lodo a teatro, che sono del singolo componente che li realizza. Come decidete quali attività verranno presentate sotto il vostro “marchio”? Questo influenza in qualche modo il processo di produzione? C’è un maggiore confronto con gli altri membri della band?

Andrea, anteprima 03

Bebo – In realtà, quest’ultima cosa che hai detto è stata una costante, e ogni progresso è stato condiviso con gli altri ragazzi. Per me sono i giudici più importanti, e se per loro qualcosa funziona allora so che sta andando nella direzione giusta. In generale, non abbiamo mai paura di demolire il lavoro l’uno dell’altro, se è qualcosa di costruttivo. Succede lo stesso anche con la stesura dei testi e la scrittura delle canzoni.

Avere questo feedback costante ci ha permesso di capire se stavamo lavorando bene o se c’era qualcosa fuori posto. Il finale è stato un po’ complicato nella sua genesi: l’ho discusso molte volte con loro, e come me erano dell’avviso di abbandonare una delle prime idee per fare qualcosa più vicino a quello che è poi stato il risultato definitivo. L’utilizzo del nome “Lo Stato Sociale” dipende da questo tipo di esperienza e di condivisione.

Riguardo agli spettacoli di Lodo, nascono da una fonte esterna, la compagnia teatrale Kepler 452. Non emerge il bisogno di confrontarsi in quell’ambito, mentre l’editoria e la scrittura di un testo sono una fetta creativa importante de Lo Stato Sociale, sulla quale siamo tutti abbastanza pignoli.

Io mi sento più scrittore che musicista, e quello che ho raccontato poteva essere condiviso dal collettivo. Se invece un giorno facessi un libro gore in cui attacco la Chiesa… ecco, forse il nome Lo Stato Sociale non risulterebbe adeguato.

Ho trovato una similitudine tra il tema di “Andrea” e quello de “Il giardino dei ciliegi”, uno degli spettacoli di cui parlavamo, per il quale ti occupi della parte audio. L’origine delle due opere è in qualche modo collegata?

Bebo – Ci sono delle coincidenze, anche se non proprio casuali. C’è la volontà di parlare di questo tipo di temi. Ho scritto il soggetto di “Andrea” pochi mesi dopo aver iniziato a lavorare con Giuliano e Annalisa Bianchi a “Il giardino dei ciliegi”, tanto che tre frasi della lettera del Comune di Bologna provengono proprio dalla drammaturgia dello spettacolo. Quanta crossmedialità! [Ride]

Il problema abitativo è un tema molto forte, non solo a Bologna ma in tutte le città d’Italia. Anche il collocamento della persona. Guarda il lavoro: si inizia dal pendolarismo per arrivare a questioni molto più gravi, come l’espulsione e la marginalizzazione dei lavoratori.
È parecchio noto il caso del reparto confino della Fiat a Nola. Ancora oggi è un tema molto centrale nel dibattito politico, ma non viene considerato abbastanza.

Luca, per “Andrea” hai utilizzato un tratto diverso da tuoi lavori precedenti, dove ti abbiamo visto alle prese con uno stile di disegno più realistico o influenzato dai manga. Qui invece i segni sono più “schizzati”.

Genovese – In realtà questo è il mio stile più personale e libero. L’avevo già utilizzato in “Ferragosto”. Ovviamente, se faccio “Orfani”, viene richiesto un determinato approccio, anche se mi lasciano utilizzare le mie influenze “mangheggianti”, soprattutto nelle scene d’azione. Anche per “Beta” abbiamo volutamente deciso di utilizzare quel registro ispirato all’animazione nipponica.

Quali sono stati le principali influenze che hanno formato il tuo stile di disegno?

Genovese – Io sono cresciuto a cartoni animati giapponesi. Ho vissuto l’ondata con cui i manga sono arrivati in Italia, e questo ha influenzato molto il mio stile, soprattutto mi ha formato nell’immaginazione delle sequenze in movimento. Poi, ovviamente, nel Fumetto traduci in modo differente quello che si muove nella tua mente. Ho scoperto “Dylan Dog” a pochi numeri dal suo esordio e l’ho sempre letto, anche quello ha influenzato molto le mie atmosfere, soprattutto per le storie noir.

Quando a vent’anni sono andato alla scuola di Fumetto, mi hanno detto: “Ma come, non conosci Pazienza!?”. Giù ceffoni! Mi hanno caricato di volumi da leggere. Ma non solo i suoi, anche un sacco di graphic novel. Poi è arrivata Coconino, che ha pubblicato Daniel Clowes… Continuo ad assorbire ciò che leggo, processo il tutto e lo riverso in quello che disegno.

Nella parte iniziale della storia, prima che arrivi la lettera del Comune e si parli esplicitamente di sfratto, il focus è sull’odio e sulla violenza umana. Quando hai iniziato a pensare a questa storia, volevi raccontare un esempio di microcosmo, o è stato più uno stratagemma per parlare della situazione nazionale?

Bebo – Voleva essere una sineddoche, la figura retorica della parte per il tutto. Parlare di una realtà molto piccola come il bar di Andrea, una sorta di gabbia ristretta a pochi clienti – lui interagisce soltanto con suo papà e Yura – era un modo per raccontare quello che capita a tantissimi. Con i social abbiamo l’illusione di avere a che fare con tutto il mondo, ma quanti poi si confrontano con più di due o tre persone, al di fuori dei genitori o della famiglia?

Yura è una figura che ho progettato accuratamente e rappresenta chi ragiona e parla male ma era in primis oggetto di discriminazione: è uno slavo che è venuto in Italia da adolescente. È stato discriminato, e ora, dopo vent’anni, la pensa come i leghisti. È stato assorbito ed è diventato il sistema. È la metafora perfetta per magnificare quello che gli succede attorno.

Un aspetto che mi ha sorpreso è stata la figura di Azzurra, che riesce a umanizzare l’avversario, quando di solito in questi scontri sociali si cerca sempre di dividere le due fazioni e definire “il cattivo”. Com’è nato questo passaggio?

Bebo – C’era bisogno di far tirare il fiato al lettore, perché per cento pagine non fa nient’altro che vedere Andrea. Quelle sono le prime tavole in cui scompare, e ce lo dimentichiamo per un po’. Voleva inoltre essere un contrappeso che raccontasse anche la difficoltà di accettare un compromesso, perché è quello che Andrea non è mai riuscito a fare.

Azzurra lo sa fare, anche se probabilmente ha dei rimorsi e dei dubbi, ma in questo è molto simile a noi: quando con Lo Stato Sociale siamo andati a Sanremo, sai quanti ci hanno detto “Non siete più i puri di una volta!”. Ma come si fa? Che valore ha la coerenza? Devi portare a casa la pagnotta, pagare le bollette. Forse mettersi alla prova in un luogo diverso può essere un modo per cambiare un po’ quello stesso contesto, e per crescere noi stessi.

 

Luca Genovese e Bebo