Dopo La Cicatrice, graphic novel firmata in coppia con Renato Chiocca, Andrea Ferraris torna a lavorare con Oblomov Edizioni realizzando La lingua del diavolo, fumetto ambientato nella Sicilia del 1830 incentrato su due fratelli e su un’isola che, improvvisamente, spunta dalle acque davanti ai loro occhi.

Abbiamo avuto l’opportunità di porre qualche domanda all’autore dell’opera, approfondendo le dinamiche trattate nella storia e in particolare il legame tra l’uomo e la sua terra.

 

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Da cosa nasce la volontà di raccontare una storia come quella alla base di “La lingua del diavolo”?

Ho ritagliato l’articolo che raccontava dell’isola Ferdinandea da una rivista nel lontano 2000. Al principio la curiosità era tutta incentrata sull’isola. Trovavo affascinante la sua comparsa e il suo improvviso ritorno sotto il livello del mare. Era qualcosa che sentivo aveva a che fare con il mito. Anni dopo, quando ripresi in mano l’articolo e cominciai a studiare, mi resi conto che esisteva intorno all’isola tutto un mondo di situazioni e personaggi incredibili.

Nel tuo precedente lavoro per Oblomov Edizioni, “La cicatrice”, è ugualmente forte la componente legata al territorio, e anche in quel caso brilla la differenza sociale che ne deriva. Quanto è importante per te il legame tra uomo e terra d’appartenenza?

Anche in “Churubusco”, con Coconino Press, mi pare che venga fuori questo tipo di tematica. Sono interessato alle storie degli ultimi. Quelli che spesso la Storia non ricorda. Evidentemente, il loro rapporto con la terra di appartenenza è fondamentale. Fondamentale in Rizzo, il protagonista di “Churubusco” e fondamentale per gli irlandesi che disertano prima di lui. Lo è per Turi, il protagonista di “La lingua del Diavolo”. Anche da un punto di vista visivo, l’asprezza del paesaggio in cui si muovono diventa simbolica delle loro difficoltà e delle loro scelte. Così succede anche ne “La Cicatrice”, che ho realizzato con Renato Chiocca. Il muro che separa gli ultimi dal “sogno americano” attraversa un territorio già di suo molto inospitale per clima e fauna.

La lingua del diavolo, anteprima 02

In entrambi i casi sembra esserci una forte componente “verista” riguardo la possibilità di riscatto individuale e collettivo. In un momento storico in cui le differenze tra gli individui sembrano essere ancora più marcate che in passato, qual è la risposta che può fornire l’Arte a chi prova a cambiare la propria condizione d’appartenenza?

Raccontare queste storie, intanto, mi permette di prendere una posizione. Di far sapere quale parte prendo nella contesa, a chi vanno le mie simpatie. E magari pensare di riuscire a portare da quella parte qualcuno che mi sta leggendo. Ne “La Cicatrice”, abbiamo deciso di raccontare come un muro possa cambiare la vita delle persone che ci vivono a fianco. L’assurdità della situazione. Nello stesso tempo abbiamo cercato di dare voce alle associazioni che aiutano i migranti e di cui spesso non si parla.

Ne “La lingua del Diavolo”, il protagonista vede nell’isola l’occasione per cambiare la propria esistenza. Ed è chiaro che è lo stesso miraggio per cui si muovono milioni di persone disperate che scappano da povertà e violenza verso una speranza di futuro differente. Se l’Arte riuscisse a creare empatia verso queste persone, sarebbe più difficile poi trattarle con durezza.

Un altro aspetto importante di “La lingua del diavolo” è lo stile di disegno utilizzato a fini conoscitivi, sfumatura che può essere ampliata verso il “possesso” di un oggetto quando lo si disegna nella sua interezza. Un simile concetto fu esplorato ne “Il piccolo principe” (un personaggio che conta le stelle illudendosi di possederle). Quanto è importante questo fattore per te come autore?

Il disegno è una forma di conoscenza. Disegno per capire come una cosa è fatta. Lo faccio dire al pittore francese che incontra il protagonista di “La Lingua del Diavolo”. Anche il racconto per me ha lo stesso meccanismo. Racconto per capire il motivo profondo che si nasconde dietro un avvenimento. E quando succede mi è più facile comprendere i motivi per cui i personaggi si muovono in certe direzioni, perché dicono certe cose.

Ultima domanda: il protagonista del racconto è un uomo guidato da forti ossessioni. È importante per te essere ossessionato dalla storia, mentre la stai ancora realizzando?

Assolutamente sì. Sono completamente dominato dalla storia che voglio raccontare. Mi è capitato di avere idee in piena notte. Svegliarmi con un idea precisa che devo appuntarmi da qualche parte. Anche dormendo non mi do tregua. Posso diventare un problema anche per gli amici. Raccontare la storia su cui sto lavorando a chiunque mi incontri diventa una possibilità per metterla alla prova. Per capire se funziona. Alcuni di loro li ho portati allo sfinimento!

 

La lingua del diavolo, copertina di Andrea Ferraris