In occasione di Napoli Comicon 2018, abbiamo avuto il piacere di intervistare Alessandro Martorelli, in arte Martoz, fumettista e illustratore con alle spalle già diverse pubblicazioni: Remi Tot in Stunt (MalEdizioni), Amore di lontano (Canicola Edizioni) e Il cacciatore Gracco, edito da Coconino Press.

In attesa di vedere il frutto della sua collaborazione con Lorenzo Palloni (all’opera su una graphic novel per Shockdom) abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Martoz.

Ringraziamo lo staff di Coconino per la disponibilità.

 

Ciao, Alessandro. Benvenuto su BadComics.it!
Innanzitutto, come sta andando la tua esperienza a Napoli Comicon 2018?

Ciao a tutti e grazie. È un’esperienza molto bella, sebbene la stia vivendo un po’ di fretta. Quest’anno, poi, sono stati apportati piccoli cambiamenti che si sono rivelati molto positivi: penso all’Area Kids che, non più essendo collocata più all’ingresso, crea meno confusione. Bene anche l’aver messo in evidenza le mostre, in maniera tale che tutti possano goderne, non solo chi è informato in merito.

Parliamo dei tuoi ultimi lavori: “Amore di lontano” e il “Cacciatore Gracco”. La prima cosa che salta all’occhio è la tua idea di Fumetto, che unisce Letteratura e Arte in forme decisamente inedite e affascinanti. Da dove nasce questa tua personale visione?

Credo che nasca dall’inconsapevolezza del mezzo Fumetto. L’aver iniziato a fare fumetti da non esperto mi ha permesso di viverlo in maniera un po’ libera, di poter portare avanti un processo inverso nel tempo e partire in maniera selvatica per esplorare poi le diverse tecniche.

Ora sto imparando anche a fare Fumetto in maniera più classica, per avere più spazio di manovra e gestire meglio quello che voglio raccontare. Il fatto di partire da profano mi ha però permesso di far confluire tutto ciò che emotivamente mi interessa. In quest’ottica, ho concepito i miei lavori più come opere d’arte che non come fumetti.

Sono stati gli studi a farti avvicinare al mondo del Fumetto?

Ho frequentato una scuola d’illustrazione, lo IED di Roma, e per diversi anni una scuola di Fumetto della stessa città. Nonostante questi studi, la maggior parte delle cose le ho imparate lavorando. Tutti gli insegnamenti che mi sono stati impartiti non li ho assimilati finché non ho sbattuto la testa contro problematiche reali. Per questo, posso dirti che considero i primi anni di lavoro come la mia vera scuola di Fumetto.

L’epica dell’eroe moderno la ritroviamo tanto in “Amore di lontano” quanto nel successivo “Il cacciatore Gracco”. I protagonisti delle tue opere sono eroi umani, che falliscono, spesso preda dei loro istinti più bassi. Cosa ti affascina di questa tipologia di eroe?

Le due opere che hai citato sono differenti e mi sento in difficoltà a parlarne per rispondere a un’unica domanda. Però ci sono alcuni elementi che accomunano queste due graphic novel: in primis le dinamiche realistiche con le quale sono costruite le storie. Ho evitato di utilizzare lo schema preconfezionato e un po’ finto di un certo tipo di Cinema americano, in cui il protagonista viene messo di fronte a un problema che non è in grado di risolvere e che poi, in un’alternanza di ascesa, declino e di nuovo ascesa, riesce a superare. Ecco, in entrambi i casi ho provato a tenermi lontano da questi meccanismi, da questi momenti simbolici che tengono il lettore sempre in all’erta, ma che sulla lunga distanza risultano finti, rendendo il risultato poco realistico. Ho provato a fare qualcosa di diverso, più o meno valido, ma che mi ha permesso di creare eroi realistici, umani.

Ne “Il cacciatore Gracco” c’è un evidente riferimento a Ulisse, quando Gracco incontra Calipso e rimane con lei sette minuti anziché i sette anni che ritroviamo ne ”L’Odissea”. Sono eroi veri, in quanto le loro storie non sono preconfezionate secondo le regole della sceneggiatura. E, cosa importantissima, sono dei falliti totali: Gracco fa sempre la scelta sbagliata; Jaf, in “Amore di lontano”, è un anti-personaggio in quanto non fa niente, né per lui né per aiutare lo sviluppo della storia: nel libro, la sua parte decisionale si riduce alla richiesta finale fatta alla prostituta di accompagnarlo nel suo viaggio. Per il resto, è fermo nel suo non fare nulla.

Questa idea di antieroe fa il paio con la forte componente sessuale che spinge questi personaggi lontano dall’immaginario tipico dell’Amor Cortese. È la sessualità nella sua componente fisica e carnale la chiave per meglio comprendere l’operazione di ribaltamento che attui nelle tue opere?

Assolutamente sì. In “Amore di lontano”, ad esempio, l’aspetto carnale del sesso è trattato in maniera molto cruda. Quando ho pensato alla realizzazione di un fumetto del genere mi sono reso conto della necessità che tutto dovesse essere esplicito, esagerato, quasi ridondante. Se non fosse stato così, non avrebbe avuto senso imbarcarsi in un viaggio come questo, avevo bisogno che il mio eroe si riappropriasse della sua carnalità, cosa che sempre succede.

Spesso la sessualità viene censurata, tanto nel Fumetto quando in medium come il Cinema. Ti faccio l’esempio di un film che ha creato scandalo, ovvero “Nynphomaniac”, in cui non viene mai mostrato il sesso reale. Per me è assurdo. Nel mio fumetto, invece, ho potuto trattare l’argomento, e ci trovi personaggi che indagano, altri che combattono e altri che fanno l’amore.

Presto avremo il piacere di leggere “Instantly Elsewhere”, che sta realizzando insieme a Lorenzo Palloni. Nella nostra intervista, ha sottolineato quanto tu abbia modificato il tuo approccio al Fumetto, apportando sensibili variazioni al tuo stile. Su quali aspetti ti sei concentrato prevalentemente?

Questo è un esempio lampante del discorso che facevo prima sul mettersi alla prova su cose nuove. Per me, lavorare con Lorenzo Palloni ha significato un grosso sforzo di sviluppo e di cambiamento. Rispetto alle mie prove precedenti il livello di complessità non è diminuito, la ho provato a rendere il risultato più “fumettoso”, più tecnico: riesci a cogliere la sceneggiatura, la regia, la volontà di trasmettere una storia. Lo stile è sempre il mio, riconoscibile, ma è cambiato l’approccio da cui emerge una regia più classica e decisamente cinematografica.

Quello tra me e Lorenzo è un rapporto di scambio, di estrema fiducia e rispetto sia nella scrittura che nel disegno. La cosa che più di ogni altra mi piace è che tra noi non c’è interesse di prevaricare sull’altro.

Tornando allo stile: all’interno dei tuoi lavori è facile rintracciare una poetica surrealista o cubista per come modelli le figure e lo spazio in cui si muovono. Come nasce questo approccio così personale?

Più che darti una risposta preferisco soffermarmi su alcune sensazioni: se si lascia spazio alla propria personalità si genera qualcosa di potente e innovativo. È una sfida difficile di emancipazione personale. Basta avere il coraggio di fare scelte forti, spesso nemmeno troppo rivoluzionarie. In questo modo, avrai la possibilità di parlare al pubblico ma con un linguaggio differente.

Nel Fumetto autoriale, credo ci debba sempre essere una forte componente personale. Io sono un lettore abituale di “Zagor”, e se dovessi cimentarmi in un lavoro su questo personaggio, o magari su qualcosa tipo “Spider-Man”, lo farei seguendo certi canoni che lo renderebbero riconoscibile. Quando invece vai da un editore per presentare il tuo lavoro autoriale, devi sempre essere te stesso.

Non ho mai trattato temi politici, ma spesso ho inserito illustrazioni esplicite di sesso, con peni e altro. Nonostante questo, non sono mai stato censurato perché, oltre a non dare al lettore ciò che vuole, ho sempre messo qualcosa di mio che ha creato un legame tra chi legge. Per portare qualcosa di diverso al pubblico che ha voglia di elementi innovativi, basta avere il coraggio, e forse la leggerezza, di chi come me è partito in maniera acerba e poi ha sviluppato qualcosa di personale.

Ripercorrendo la tua carriera, ci sono aspetti della tua poetica che modificheresti o sui quali stai lavorando?

La sfida è proprio quella di migliorarsi sempre. Nella mia testa è come se io avessi una serie di collane diverse, che poi sono le opere alle quali voglio lavorare. C’è una collana punk in cui voglio che il Fumetto resti strano, grezzo, non lavorato per ammiccare al lettore. L’avventore si deve relazionare con il libro come con fosse una persona, senza poterne decidere il carattere. Poi voglio ricercare storie più complesse, quasi teatrali, con equivoci, incroci da riportare poi in un’opera più leggibile e accessibile per tutti. E, infine, c’è la via pop che ho intrapreso insieme a Lorenzo, dove si uniscono storia e disegno particolare, ma confezionato per un pubblico generalista. Sono tante sfide.

Possiamo immaginare che un tuo prossimo lavoro sia incentrato su “L’Odissea”?

Non voglio ancora parlare delle idee del mio prossimo fumetto, però posso dirti che avrà dei punti in comune con “L’Odissea”, sì. Sarà ambientato in un corpo, ci saranno la tematica del viaggio e un uomo sostanzialmente perduto in un limbo.

 

Pasquale Gennarelli e Martoz