Nel corso dell’edizione 2018 di Napoli Comicon abbiamo avuto il piacere di intervistare Sergio Gerasi, fumettista che ha recentemente firmato la graphic novel Un romantico a Milano per BAO Publishing.

Negli ultimi anni, l’autore meneghino si è messo in luce non solo attraverso le sue opere più personali ma anche per via del suo contributo su serie Sergio Bonelli Editore come Dylan Dog, Mercurio Loi e Le Storie, sulle quali ha portato avanti un’evoluzione stilistica innescatasi proprio durante la genesi del suo ultimo romanzo grafico.

Ringraziamo Chiara CalderoneDaniela Mazza e lo staff di BAO per la disponibilità.

 

Ciao, Sergio! Benvenuto su BadComics.it.
Nel tuo ultimo romanzo grafico, “Un romantico a Milano” edito da BAO Publishing, la storia ruota attorno al processo creativo e alle difficoltà a esso legate: le posizioni di Drogo e Fermo sono vicine al tuo modo di intendere questo delicato aspetto della professione che svolgi?

Ciao a tutti e grazie. In un certo senso sì, sono vicine al mio modo di intendere il processo creativo, sebbene “Un romantico a Milano” non sia un libro autobiografico. L’idea per questo libro è nata dopo un cambiamento nella mia vita, ovvero il passaggio da uomo libero a padre; da lì in poi, sono partito nello sviluppo della storia e, a mano a mano che procedevo, i personaggi si costruivano da soli. Come in tutti i miei lavori autoriali, cerco sempre di mettere qualcosa di mio, qualcosa che riconduca a me. In questo caso specifico, mi rivedo più in Drogo che non in Fermo, soprattutto in quella ricerca spasmodica che lo contraddistingue. Il secondo è nato più per necessità, come contrappunto narrativo al protagonista.

Creando il personaggio Drogo hai in qualche modo cercato di esorcizzare le tue paure?

La pagina bianca mi serviva per raccontare tutto il processo che c’è dietro alla realizzazione di un libro, la voglia e la necessità di raccontare qualcosa. Non ho mai avuto timore della pagina bianca, quanto più di quello che vuoi raccontarci sopra. In fondo, di argomenti o temi di cui parlare ce ne sono tanti, però speri sempre di suscitare interesse nel lettore e non finire a scrivere stupidaggini.

Il capoluogo lombardo è un elemento importante anche nella tua precedente prova, “In inverno le mie mani sapevano di mandarino” (BAO, 2014): credi di aver ormai sviscerato il tuo rapporto con questa città oppure ci sono potenzialità inespresse e altri aspetti ancora da sviscerare?

Potrà sembrare una coincidenza, ma ci stavo pensando proprio in questi giorni se sia il caso di raccontare ancora qualcosa di nuovo su Milano. Anche se nei miei romanzi tendo sempre a fuggire verso il mare, la cosa simpatica è che il mare lo porto nella mia città dove strutturo di volta in volta la storia. In un periodo storico in cui si è parlato e si continua a parlare tanto della provincia, io tendo a raccontare quello che conosco. In provincia non ci sono mai stato se non in vacanza, non ho avuto modo di viverla, visto che sono sempre stato in città.

Nei prossimi libri non so se sarà presente Milano in maniera così esplicita, ma in qualche modo apparirà. Stavo pensando, infatti, di sviluppare la mia prossima idea partendo dagli svincoli autostradali. La storia partirebbe da lì per poi penetrare nella città, un processo inverso rispetto a quanto visto sulle pagine di “In inverno le mie mani sapevano di mandarino”; un viaggio rivolto verso un eden, un paradiso fatto solo di ricchezza. Milano è costruita a cerchi, con le tangenziali e le circonvallazioni che dividono le diverse classi sociali. Quindi, se la attraversi seguendo un raggio, ti accorgi di questo cambiamento.

“Un romantico a Milano” si segnala anche per il suo stretto legame con le menti illustri milanesi. Drogo si ferma spesso a parlare con i maggiori rappresentanti del Novecento artistico. Capita anche a te, in qualche modo, di avere questo genere di conversazioni?

Sì, capita anche a me, infatti mi scambiano per matto! [ride] Al di là degli scherzi, era una cosa a cui pensavo da tempo e che volevo assolutamente inserire prima o poi in un libro. 

Dino Buzzati, Alda Merini, Bruno Munari, Lucio Fontana e Piero Manzoni: in che maniera questi artisti hanno influenzato il tuo modo di intendere e vivere l’Arte?

Come dicevi tu prima, la scelta di questi personaggi è figlia della volontà di provare a dialogare in maniera figurata con la città. Sono i miei personaggi preferiti, quelli a cui sono più affezionato. Se ci fai caso, le biografie contenute all’interno non sono delle vere e proprie biografie che puoi trovare sui manuali: ho arricchito ognuna di esse con delle note autobiografiche, per cercare di rimarcare ciò che mi lega a loro. Quando non entravo a scuola, ad esempio, incontravo davvero Alda Merini sui Navigli.

Tutti loro mi hanno influenzato nel mio modo di intendere l’Arte. Se ci fai caso, nel libro c’è una pagina bianca da tagliare, un progetto più o meno sperimentale. In realtà, ci doveva essere un’invenzione narrativa avanguardistica in cui appariva ogni personaggio, ma poi abbiamo deciso di eliminarla per non esagerare. Però, si, mi hanno influenzato tutti. Buzzati mi ha ispirato più di chiunque altro, in quanto narratore come me.

Nel corso della tua carriera hai realizzato tre graphic novel come autore completo (oltre ai due sopracitati, “Le Tragifavole”, del 2010) lasciando che intervalli di circa quattro anni separassero l’una dall’altra: è una necessità fisiologica per trovare il progetto giusto?

Dipende. “Un romantico a Milano” sarebbe potuto uscire anche prima, ma ho preferito prendermi un po’ di tempo, così come ha fatto anche BAO Publishing per programmare al meglio le proprie uscite. Allo stesso modo, non voglio inflazionare troppo il mercato con il mio nome, preferisco prendermi del tempo. 

Nel frattempo, non sono mancate incursioni nel Fumetto popolare, con pubblicazioni targate Sergio Bonelli Editore. Da “Le Storie” a “Dylan Dog”, senza trascurare l’esperienza sulle pagine di “Mercurio Loi”: quanto sono stati importanti questi lavori per affinare la tecnica con cui concepisci le tue opere più personali?

Dal punto di vista visivo, queste collaborazioni sono molto stimolanti perché, continuando a lavorare così tanto, impari davvero molte cose nuove. Personalmente, questo mi spinge a cambiare spesso, attuando cambiamenti stilistici anche negli albi di Sergio Bonelli Editore. Il mio cambio di stile, nato proprio sulle pagine di “Un romantico a Milano”, è stato voluto anche su “Dylan Dog” o “Mercurio Loi”, dopo che Franco Busatta [editor di Sergio Bonelli Editore – NdR] e Alessandro Bilotta [sceneggiatore] avevano visto le prime pagine del libro, spingendomi ad adottare questo tratto anche in altri sedi.

Inoltre, quando lavoro ai miei fumetti, devo esercitarmi molto nella scrittura, cosa che in Bonelli non faccio. Essere a contatto con queste sceneggiature, però, aiuta a scrivere meglio! [ride] Quindi sì, le due cose si influenzano a vicenda. 

Quali sono gli sceneggiatori che hanno maggiormente influenzato il tuo modo di raccontare?

Di solito a queste domande si risponde con frasi di circostanza come “non faccio nomi”, o cose del genere. Io, invece, dico Alessandro Bilotta, con il quale mi trovo molto bene a lavorare e dal quale ho provato a rubare molte cose.

Osservando il tuo percorso di crescita artistico salta all’occhio la radicale trasformazione del tuo stile: qual è stato il momento in cui hai avvertito l’esigenza di cambiare? E quali sono stati gli artisti a cui guardavi mentre eri in piena fase di trasformazione artistica?

Sono andato a rivedermi i miei lavori passati e devo dire che, sebbene non con la stessa portata di adesso, ho provato a cambiare il mio stile almeno ogni tre o quattro albi, tra Sergio Bonelli Editore ed Edizioni Star Comics. Ero partito con la Tratto Pen per poi approdare ai pennelli, che però usavo in una maniera differente; in seguito ho usato il pennello secco, poi solo i grigi. Mi annoio facilmente, quindi ho la necessità di cambiare spesso tecnica.

In quest’occasione, anche grazie al suggerimento di Michele Foschini [Direttore editoriale di BAO – NdR], ho fatto un viaggio in Francia in occasione di Angoulême International Comics Festival. Lì ho incontrato Cyril Pedrosa e altri autori, li ho visti disegnare e ne sono rimasto fortemente colpito, tanto da decidere di adottare questo stile.

Detto ciò, non sono mai riuscito ad andare in una direzione che non fosse la mia, quella che io percepisco come la mia arte. Anche se mi avvicino a un tipo di scuola del Fumetto, non riesco a copiarla o a imitarla: devo sempre rielaborarla secondo un mio gusto estetico, fortunatamente molto personale. Credo che mi porterò dietro per un bel po’ di tempo questo nuovo stile. Prima era lo strumento a cambiare, adesso è proprio la forma a variare, dai volti allo spazio. È un percorso dal quale non riuscirei a tornare indietro. 

Sappiamo che riesci a conciliare la tua professione con quella di musicista: credi che la Musica possa essere il tema al centro di una tua prossima graphic novel?

Avevo provato a fare le “Tragifavole”, con in allegato un disco, ma è stata una cosa assurda e non se n’è fatto più niente! [ride] La musica per me ha un ruolo importante, mi ispira tanto, sebbene non sia un fattore così esplicito nei miei lavori. Attualmente la mia attività come musicista è in pausa, vista una serie di paternità sopraggiunte agli altri membri della band. E poi, dopo aver superato i quaranta, o hai il pelo sullo stomaco o non riesci a fare questa vita qua.

 

Pasquale Gennarelli e Sergio Gerasi