Non abbiamo problemi ad ammetterlo: c’è da rimanere un po’ intimoriti nell’avvicinarsi a Dave Gibbons per chiedergli se ha voglia di rispondere a qualche domanda. Il disegnatore di Watchmen è calmo e serafico, disegna mentre parla con noi. Sta realizzando uno sketch di Rorschach. Non sembra una leggenda del Fumetto, un uomo che ha contribuito a dar vita a una delle storie più importanti degli anni Ottanta, a un’opera impossibile da dimenticare e da ignorare.

Risponde, tranquillo, alle nostre domande. Risponde così.

 

Lei ha iniziato a fare successo nel mondo dei comics con la rivista “2000 A.D.”. Sono bei ricordi, quelli di quell’epoca?

Sì. “2000 AD” ha preso vita proprio nel momento giusto, perché la mia generazione è quella cresciuta per prima con i fumetti americani, i primi che siano stati pubblicati in UK. Quindi avevamo tutti quanti sia una sensibilità britannica che una americana per i comics. Inoltre, eravamo tutti dell’età giusta per dar vita al gruppo che poi si formò. Eravamo giovani e affamati, ma abbastanza talentuosi da costruirci delle carriere lunghe. Era come essere in un club, perché non eravamo molto diversi da un gruppo di amici che lavoravano assieme. Uscivamo anche moltissimo assieme. Non ho altro che bei ricordi di quel periodo.

E moltissimi di voi sono diventati autori di successo.

Sembrava che tutti quelli che lavoravano per almeno un paio di anni alla rivista poi venissero inseguiti dagli editori americani, che erano quelli con i soldi. Comunque sì, la dinamica era quella ed è stata quella.

“2000 A.D.” è però una parte del passato ed è stata la vostra vetrina, il vostro modo di imporsi all’attenzione di editoria e pubblico. Ora, se guarda il mondo dei comics, le pare che sia più semplice o più complesso diventare Dave Gibbons?

Penso che all’epoca non ci fosse una grande cultura del Fumetto, almeno da noi. Era complicatissimo incontrare gli autori e i disegnatori, avere da loro dei disegni, imparare da loro. Oggi, grazie alle convention e a Internet è molto più semplice, così come è molto più facile trovare uno spazio dove mostrare il proprio lavoro. Se penso a DeviantArt e a quante collaborazioni ha dato vita tra artisti, mi viene subito un esempio.

D’altro canto c’è un sacco di gente in più che tenta di entrare a far parte dell’ambiente, perché c’è una percezione molto precisa del fatto che, se si è talentuosi e abbastanza fortunati, con i comics si possono fare dei bei soldi. Quindi c’è parecchia concorrenza in più e, soprattutto, ci sono un sacco di artisti davvero bravi che pongono attenzione a questo settore e che all’epoca non c’erano.

Qualcosa che credo sia difficile fare è avere una carriera come la sua. Nel senso che, con “Watchmen”, una sola opera importante, una pietra miliare, lei si è garantito il successo per sempre, a vita. E il riconoscimento generale. Oggi c’è un’offerta così ricca e ampia che penso sia molto più complesso dar vita a qualcosa che si imponga così tanto, scrivere il proprio nome nella Storia.

Il punto è che non ci vuole solo il duro lavoro, ma anche una notevole dose di fortuna che ti permetta di essere nel posto giusto al momento giusto. Ed è da questo che sono stato benedetto: un tempismo davvero perfetto.

E cosa pensa che farebbe Dave Gibbons se dovesse debuttare oggigiorno? Tenterebbe di imporsi subito all’attenzione delle major o preferirebbe un percorso più simile a quello che ha avuto? 

Se fai una cosa qualunque con l’intento preciso di fare soldi o di avere successo, ci sono grandi probabilità che non farai assolutamente nulla di buono. Godersi il proprio lavoro e farlo per passione è fondamentale nel mondo dell’Arte.

Ai tempi di “Watchmen”, non avevamo alcuna idea dell’importanza che avrebbe avuto: non eravamo altro che due tizi che si divertivano un mondo cercando di raccontare qualcosa di interessante. Non avevamo idea del fatto che ci avrebbe fatto guadagnare tutti quei soldi.

L’impressione è che oggi si punti a lavorare per la Marvel o per la DC, cercando di lavorare su personaggi di alto profilo, per crearsi una fanbase e poi creare delle storie di cui si è proprietari, cosa che ti garantisce, se hai successo, di guadagnare di più sul lungo periodo.

Le dispiace, in qualche modo, di non aver mai o quasi mai lavorato per una major in senso classico? O di non avere avuto anche una carriera di quel tipo?

Per un po’ ho disegnato “Green Lantern” e mi sono divertito. Ma il punto è che, avendo iniziato a lavorare in questo mondo come appassionato di Fumetto, ho sempre avuto l’ambizione di disegnare un mensile importante, possibilmente per la DC. Una volta provata quell’esperienza, ero molto felice ed ero pronto per passare a qualcos’altro. Dopo aver realizzato quel sogno, avevo voglio di provarne un altro. Penso di essere sempre stato attratto da cose diverse, ho sempre cercato di seguire i miei interessi prima di tutto.

Si può dire che la cosa più preziosa che il successo le abbia dato sia la libertà di scegliere?

Certo. Ed è sempre così, per me. Il senso dei soldi è quello, non il fatto di farti avere un sacco di cose. Se ti consente di guadagnarti da vivere come vuoi, che altro potrai mai chiedere?

Parlando di major, che ne pensa di “Doomsday Clock”, con cui stanno mescolando “Watchmen” e l’Universo DC? Le sembra una mossa intelligente dal punto di vista degli affari? Le dà fastidio?

Mi hai fatto una domanda molto lunga, ma risponderò molto in fretta. “Watchmen” era un romanzo di fantascienza e non è mai stato progettato per essere una serie regolare. Per quanto mi riguarda, è solo quello che io e Alan Moore abbiamo fatto. Non ho nessun rancore, per quel che stanno facendo, ma preferirei che le persone talentuose che ci stanno lavorando sopra creassero qualcosa di nuovo e originale, per emulare quel che noi abbiamo fatto.

E, citando Alan, credo che sarebbe sensato pensare che lui, invece, un po’ di rancore ce l’abbia.

Non ci parliamo da un sacco di tempo, quindi non ho la minima idea di cosa pensi davvero. Ma, conoscendolo, diciamo che ha perfettamente senso immaginarlo piuttosto infastidito. Non ne sarà felice.

A proposito di lui e del tipo di persona che è, com’è lavorare con un collega, e un amico, che ha delle idee così forti su quel che è giusto e quel che è sbagliato? Come si fa ad andare d’accordo con un uomo che ha una morale così forte e, da quel che si capisce di lui da lontano, difficilmente scende a compromessi?

Alan e io abbiamo avuto un ottimo rapporto, e certamente lo è stato anche il nostro rapporto lavorativo. Sempre. Alan è un professionista assoluto, uno sceneggiatore per nulla tirannico, un collaboratore molto generoso, ma quando hai una mente analitica come la sua finisci per avere dei principi fortissimi, che rischiano, a volte, di allontanare le persone. Ma, in un certo senso, io lo ammiro moltissimo per la forza delle sue convinzioni.

Come sta andando qui in Italia? Conosce un po’ di Fumetto italiano?

Qui in Italia c’ero già stato, ma mai in questa zona, e devo dire che è davvero splendida. Io e mia moglie siamo stati a Bellagio e siamo rimasti a bocca aperta.

Devo dire che il Fumetto britannico, negli anni in cui sono cresciuto, era fortemente influenzato dalle tradizioni del sud-Europa. Da quella spagnola e anche da quella italiana. C’è ad esempio un disegnatore di nome Gino D’Antonio a cui sono molto legato, che disegnava fumetti di guerra pubblicati nel nostro Paese. Ma anche a Ferdinando Tacconi, che era un copertinista meraviglioso. Sono tanti i nomi che mi vengono in mente, Toppi, Manara… In generale, credo che ci sia grandissima ricchezza nel Fumetto europeo, che seguo molto da vicino. Per stili e temi, c’è una varietà sconosciuta ai comics, sotto certi aspetti.

Ci sono artisti internazionali odierni, che oggi lei ammira in particolare?

Ci sono un sacco di artisti davvero notevoli. Se devo scegliere, mi impressionano Chris Samnee e Paolo Riviera. E anche Leinil Yu.

 

Dave Gibbons