Uno degli ospiti più attesi di Lucca Comics & Games 2016 è senza dubbio Skottie Young. L’autore, qui per promuovere Odio Favolandia, edito in Italia da BAO Publishing, ci ha concesso una breve intervista in cui ha parlato di questa serie Image Comics appena approdata da noi e del suo percorso di artista alla Marvel.

 

Come sta andando qui a Lucca? Prima volta in Italia?

Sì, prima volta e devo dire che sta andando davvero benissimo. Il posto è stupendo, la gente entusiasta, il vino è buonissimo, i ragazzi sono contenti, c’è un vino eccezionale. Ti ho già detto del vino? Mi piace un sacco il vostro vino.

Posso capire il tuo entusiasmo in effetti, e anche quello dei fan per Odio Favolandia. L’ho appena letto e devo dire che ci ho trovato un sacco di roba assolutamente folle. La storia di Gertrude, che non ne può più del mondo delle favole ha un che di autobiografico? Visto che sei tornato al fumetto indipendente dopo tanti anni di Marvel, è un po’ il tuo modo per dirci che volevi cambiare?

No, assolutamente. Sono ancora parte della famiglia Marvel e ci sto benissimo. Non ho nessun genere di ruggine con loro e spero di lavorarci ancora a lungo. Semplicemente, Odio Favolandia è una storia che non avrebbe potuto trovare spazio presso una casa editrice mainstream. C’è un sacco di ultraviolenza e di linguaggio piuttosto scurrile che non potevo proporre a loro.

A proposito di linguaggio, giochi moltissimo con il linguaggio grafico e visivo del fumetto, nella storia. Ci sono un paio di sequenze che mettono in luce la tua consapevolezza della regia della pagina per creare delle gag divertenti. Anche questa è una delle cose che volevi fare con più libertà?

Sì. Non ci sono regole a Favolandia e ho voluto essere senza regole anche io nel narrare, non solo nei contenuti, ma anche nella forma. Le due cose vanno di pari passo. La storia mi permette di creare qualunque cosa mi passi per la testa e quindi anche di sperimentare con il mio stile e fare un sacco di cose nuove con cui mi sono divertito io per primo. Non dovendo seguire una struttura troppo preordinata della vicenda, posso creare dei momenti di narrazione per immagine costruiti apposta per usare un certo trucco visivo.

Parlando di sperimentazione, tu sei stato uno dei disegnatori più sperimentali in assoluto, all’epoca del tuo debutto. Mi pare fosse il 2000, giusto?

Quasi. Era il 2001 quando è uscito Legend of The Spider-Clan, il mio primo lavoro per la Marvel.

Me lo ricordo bene, da fan di vecchia data dell’Uomo Ragno. Allora eri influenzato soprattutto dall’estetica manga, uno dei primi a portarla negli Stati Uniti. Oggi sei un autore dallo stile molto più completo.

Sì, all’epoca ero davvero giovanissimo, avevo solo ventidue anni ed ero stato fulminato dall’arrivo dell’onda orientale del fumetto. Oggi, invece, ho un sacco di frecce in più nella mia faretra e non sono più legato a quel genere di estetica che si integra in uno stile più compiuto. Non solo sono cresciuto, ma negli anni mi sono confrontato con tanti generi diversi e ho imparato un po’ da tutti.

In Odio Favolandia c’è un sacco di grottesco, dovuto al contrasto tra la violenza comica della storia e l’atmosfera fiabesca dei personaggi. Questa componente era però presente anche in Rocket Raccoon, nelle sue storie in solitaria che hai realizzato per la Marvel. Credi che si possa considerare ormai un tuo tratto stilistico generale?

Odio Favolandia vol. 1, di Skottie Young - BAO PublishingNo, non direi. In effetti era presente anche in quel caso, ma per scopi molto diversi e a un livello decisamente inferiore. Qui si tratta di una costante, che fa parte del genere di storia che racconto. Senza, non avrebbe molto senso. In Rocket Raccoon, invece, è una conseguenza della quantità di creature spaziali che facevano parte del parco personaggi. In una storia di fantascienza devi sempre inventarti qualcosa di nuovo e molti degli avversari di Rocket si prestano a una caratterizzazione un po’ grottesca. Ma in realtà io tento solo di usare gli strumenti giusti per la storia che sto raccontando. Non penso di inclinare verso il grottesco in generale.

A proposito di questa componente di Odio Favolandia e della sua funzione, possiamo dire che tu sia andato a scavare nella vera natura delle fiabe, che non avevano, alle origini, la funzione intrattenitiva e l’atmosfera sognante di oggi?

Sì, caspita! E sono piuttosto orgoglioso di questo. Le fiabe erano storie cupe, violente, che dovevano servire a educare i ragazzini nella maniera più sicura e traumatica possibile, accertarsi che certi comportamenti e certi errori non fossero nemmeno pensabili. Dovevano insegnarti che nel bosco devi stare attento, senza riguardo per la tua sensibilità di bambino. Noi, invece, le abbiamo trasformate in storie per addormentarsi sereni, anche grazie alla mediazione dei film Disney. Ma in origine, le creature delle fiabe erano terribili e Gertrude non fa altro che trascinarle nuovamente su quel terreno da cui erano nate.

Sei noto al grande pubblico anche come grande copertinista. Disegnare copertine e interni è un impegno molto differente. Quale di queste due incarnazioni preferisci?

Non saprei dirti. Proprio perché si tratta di due lavori così diversi, faccio fatica a paragonarli. E devo dire che non rinuncerei a nessuno dei due. No, non ho una preferenza per l’uno o per l’altro.

Eppure, se guardo alle tante splash page di Odio Favolandia, un po’ ho l’impressione che tu trascini parte della tua esperienza di copertinista nella narrazione per immagini. La possibilità di concentrarti su uno sguardo più ampio e di aggiungere dettagli è una cosa che ti attrae in particolare?

Sì, ma non è per quello che trovi tante splash page nel mio fumetto. Se volti pagina e ne trovi una è sempre e solo perché penso che il momento narrativo lo richieda. Non ragiono da illustratore quando lavoro come disegnatore di interni, ma sempre come narratore. Il mio orizzonte è quello della storia, prima che quello dell’immagine.

A proposito della sperimentazione di cui parlavamo prima, un’ultima domanda sulla Marvel, che conosci bene. Da fuori, c’è l’impressione che si stia rinnovando dall’interno e che sia destinata a diversificarsi sempre più. Tu che contribuisci da quindici anni come voce fuori dal coro, confermi questa tendenza e la sua importanza.

Non ti so rispondere, onestamente. Sicuramente qualcosa sta succedendo, ma non saprei per quanto a lungo possa durare, quali risultati porterà, quali logiche segua. Le mie valutazioni contano quanto le tue, perché io tento a pensare soltanto al mio lavoro e a farlo al meglio possibile. Le dinamiche editoriali, in genere, mi interessano poco se non mi coinvolgono direttamente.