Napoli COMICON 2016 ci ha dato la possibilità di incontrare e intervistare grandi ospiti. Tra questi vi è sicuramente Lee Bermejo, apprezzato fumettista di fama internazionale che ha legato indissolubilmente il suo nome al personaggio di Batman e ad altre icone DC Comics, e che negli ultimi tempi si è cimentato anche nella realizzazione del fumetto Suiciders, da lui creato ed edito oltreoceano sotto l’etichetta Vertigo. In attesa di poter leggere anche in Italia la seconda stagione di questo fumetto, ecco ciò di cui abbiamo discusso con l’autore. Si ringrazia sentitamente RW Edizioni per l’occasione fornitaci.

 

Ciao, Lee! Benvenuto su BadComics.it e grazie di essere qui con noi!

Ciao a tutti i lettori, grazie a voi!

Iniziamo parlando di Suiciders, un progetto a fumetti innovativo e coraggioso al quale hai dato vita. Come è sorta nella tua mente l’idea dietro questa storia?

SuicidersDunque, la storia in effetti è nata circa dieci anni fa, nella mia mente. Era un progetto del quale parlavo già nei primi anni in cui ho vissuto qui, in Italia. Parliamo del 2004. Ho sempre avuto voglia di dar vita a questo progetto. Inizialmente, Suiciders aveva un format molto più simile a quello della seconda stagione, in corso di pubblicazione negli Stati Uniti, ma negli anni ovviamente si è evoluta molto. Continuavo a tornarci su e modificare alcuni elementi, aggiungerne altri, mentre contemporaneamente lavoravo ad altri progetti, come Joker o Batman: Natale. Mattone su mattone, l’idea è stata sviluppata nel modo in cui l’avete letta. Quando finalmente ho ricevuto il via libera da Vertigo per iniziare a dar vita a Suiciders, nella mia testa era già tutto praticamente definito: avevo un’idea chiarissima di cosa volevo fare e di come volevo farlo.

Inoltre, si trattava di qualcosa che volevo essere io a scrivere, a tutti i costi. Ti dirò di più: ho fatto Batman: Natale proprio per cimentarmi nello scrivere una storia, come una sorta di prova per Suiciders. Negli Stati Uniti, di solito, un disegnatore fa molta fatica ad avere credibilità come sceneggiatore, quindi ho iniziato con un progetto più “piccolo” per poi cimentarmi in Suiciders, avvertendo un senso di maggiore controllo sui tempi e i modi della narrazione.

Un certo tipo di allenamento era necessario, per almeno un paio di motivi: da un lato, la storia di questa serie è molto complessa sotto più punti di vista, dall’altro non volevo fosse il mio primo progetto come sceneggiatore, per non rischiare di rovinare qualcosa che percepisco quasi come un figlio.

Nella lettura di Suiciders abbiamo avvertito che questa storia è stata impostata e costruita con un taglio molto cinematografico. Ci puoi confermare che lo storytelling di un medium come il cinema ha avuto un’influenza importante su questa serie? E, se sì, quali film o saghe cinematografiche o televisive ti hanno maggiormente ispirato?

Questo mi fa molto piacere. È così, ci sono molti riferimenti, più dal punto di vista del cinema che delle serie TV. Sono un vero appassionato di film, specie se d’autore. Avrei tanti titoli da citare, come per esempio il recente Sicario, che mi è piaciuto moltissimo. Infatti, quando ho visto Sicario ho pensato che, accidenti, se Suiciders fosse nato come film sarebbe stato proprio così: con quel ritmo, quella caratterizzazione dei personaggi, quella fotografia, quella colonna sonora. Quel sentimento che un regista come Denis Villeneuve è incredibilmente capace di creare in tutti i suoi film, come anche Prisoners.

Oppure un altro regista che mi piace tantissimo è Nicolas Winding Refn, adoro il suo Valhalla Rising. Lavorando al mio progetto, volevo fare una cosa di questo tipo, ovviamente consapevole che cinema e fumetto hanno linguaggi diversi. Non posso inoltre negare che nello scrivere questa storia sono stato influenzato anche un po’ dal cinema degli anni ’80, da film come Fuga da New York e altri. In Suiciders c’è un po’ di tutto questo.

Bene, abbiamo decisamente gusti cinematografici molto simili. A questo proposito, ormai cinema e fumetto sono realtà che si muovono quasi di pari passo. Come vedi questo fenomeno? Cosa può portare di buono alle due realtà?

Per quanto ultimamente le due realtà si stiano quasi sposando, credo che cinema e fumetto abbiano un “potere” molto diverso tra loro. Cinema e TV ti emozionano in maniera molto specifica, perché vanno ad “attaccare” più sensi. Il fumetto, invece, ha un tipo diverso di ricezione, magari meno forte, ma riesce a conservare ancora una certa purezza di stile e visione, che secondo me è introvabile altrove. Con la sola eccezione della musica, forse. Mi spiego meglio: la storia di un fumetto è nelle mani di poche persone, a volte di una sola, nel caso di autore completo. C’è quindi un maggiore controllo da parte di chi lo realizza, cosa che permette alle idee trasposte in una storia di rimanere quanto più immacolate possibili, dalla mente dei creatori a quella dei lettori. Quindi, il fumetto ha una purezza di espressione che film e serie TV non possono fisiologicamente avere, perché nel secondo caso “ci sono troppi cuochi in cucina”. Il fumetto è il modo più bello in assoluto di entrare nella testa di un artista e toccare con mano le sue idee.

Tornando a Suiciders, cosa possiamo aspettarci dalla seconda stagione attualmente in uscita negli Stati Uniti e intitolata Kings of HELL.A.?

Kings of HELL.A.Sono davvero carico per questa seconda miniserie. La conclusione della prima è molto particolare, come ben saprà chi l’ha letta. Senza fare troppi spoiler, c’è questo espediente che sembra quasi riportare la narrazione indietro nel tempo. Infatti, se la prima stagione era ambientata trent’anni dopo il cataclisma, la seconda avviene dopo quindici. È quasi un prequel.

Quello che accade è dunque la causa di ciò che cronologicamente si verifica dopo… ma in base ai tempi delle uscite dei fumetti è avvenuto prima. Racconteremo la storia dei ragazzi nati poco prima e poco dopo il terremoto, che in Kings of HELL.A. saranno praticamente dei teenager.

Volevo raccontare la storia di una gang di strada composta da teenager e la genesi di questo mondo distopico che abbiamo già conosciuto. Per me era importante raccontare la mentalità delle persone nate in condizioni così critiche, che non hanno grandi aspettative di vita e che esistono in una realtà isolata dal resto del mondo, dopo la rivoluzione e la guerra. Il punto di vista dei personaggi principali sarà dunque molto importante e, come nella prima stagione, la storia ci verrà raccontata da due diverse prospettive.

Lasciamo Suiciders e addentriamoci nel grande Universo DC. Hai lavorato come artista sulle miniserie dedicate a Joker e Lex Luthor: cosa differenzia maggiormente questi due supercriminali?

Dunque, da un lato abbiamo Luthor, il quale sostanzialmente si sente uno dei buoni. Nonostante si sporchi spesso le mani di sangue, Lex crede sempre di fare la cosa giusta per l’umanità. Joker, invece, non ha nessun centro morale: non si pone alcuna domanda, non ha un obiettivo specifico nelle dinamiche di essere buono o cattivo. Joker è proprio come lo descrive Brian Azzarello nella sua graphic novel: è un cane rabbioso. Non c’è cura per ciò che è.

Oltre che a questi due cattivi, hai lavorato spesso con l’altrettanto iconico Batman, firmando come autore completo la graphic novel Natale, da te già citata. Come ti è nata l’idea di accostare la mitologia del Cavaliere Oscuro a un classico come Il Canto di Natale di Charles Dickens?

La genesi di Batman: Natale è stata quasi un caso. In quel periodo ero impegnato su due progetti contemporaneamente. Una casa editrice francese mi aveva chiesto di realizzare un adattamento del Canto di Natale di Dickens, quindi stavo lavorando a una mia versione a fumetti dell’opera. Allo stesso tempo, volevo proporre alla DC Comics una storia che raccontasse di un padre e un figlio che abitavano in un palazzo molto particolare, il nascondiglio di Joker. Volevo raccontare la storia di un uomo che si trova nei guai senza avere particolari colpe. I due progetti si sono poi fusi tra loro ed è nato Batman: Natale.

Ultima domanda: il tuo modo di rappresentare graficamente il costume di Batman è molto originale e realistico, basti pensare al dettaglio degli stivali con i lacci. Come mai questa scelta?

Batman: NoelA me Batman piace moltissimo, davvero moltissimo, e la cosa che più mi lega a lui è il fatto che, fondamentalmente, è un essere umano che si trova a combattere in un mondo di superumani. Quindi, il mio scopo è sempre stato quello di evidenziare la sua umana fragilità, e improntare il tutto in funzione di un realismo molto accentuato. Dunque, essendo un comune mortale che deve lottare contro avversari pericolosi, ha bisogno di indossare un’armatura possente per difendersi. La mia idea è quindi che questo costume debba essere un’armatura fatta di kevlar o qualche altro materiale del genere.

Secondo me funziona molto bene, perlomeno con il mio stile di disegno. Per altri artisti magari non è così e si trovano meglio a disegnare quello che fondamentalmente è un corpo nudo sul quale è dipinto addosso un costume.

Grazie mille per la tua disponibilità, Lee!

Grazie a voi!