L’approdo nei cinema italiani del pirata spaziale di Leiji Matsumoto era attesissimo. Come avrebbe potuto essere altrimenti, presso chi è cresciuto cantando la mitologica sigla italiana del cartone animato, ammirando le gesta del corsaro cosmico e rischiando, in anni non sospetti, di spendere ben più di un centinaio di euro per un modellino di notevoli dimensioni della splendida Arcadia, la nave spaziale dell’eroe teschiato?

Ci siamo precipitati, quindi, a vedere Harlock: Space Pirate 3D alla prima occasione disponibile, curiosissimi di scoprire quale potesse essere la versione aggiornata al terzo millennio di questo personaggio nato sulla carta di un manga e divenuto globalmente famoso grazie all’animazione. L’Harlock originale di Leiji Matsumoto è un eroe incompreso e contrastato dalle autorità che combatte una guerra solitaria in difesa del pianeta Terra, apatico e deprivato delle risorse da una classe dirigente irresponsabile e incapace di reagire persino di fronte alla minaccia extraterrestre. Il pirata spaziale è dunque un eroe romantico, un simbolo di libertà perduta e di vitalità e forza dimenticate in nome di una pace fittizia e fragile.

Impossibile riprodurlo ad oggi, senza cambiarne di molto la fisionomia. Infatti, come ci aspettavamo, il regista Shinji Haramaki lo stravolge completamente, lo ammanta di mistero, lo rende un ribelle nei confronti dell’intero governo dell’umanità, dispersa per le colonie spaziali. La Gaia Sanction, massima autorità del genere umano, ha reso infatti la Terra un luogo sacro e inviolabile, dove nessuno può più fare ritorno. Gli uomini, che un giorno la abbandonarono volando verso le stelle e ora vorrebbero farvi ritorno perché la vita sulle colonie languisce, sarebbero troppi per lei. Le risorse non basterebbero per tutti e il pianeta morirebbe per sovrappopolazione. Impossibile scegliere chi potrà tornare a casa e chi dovrebbe rinunciare. La Terra è quindi proibita a tutti.

Harlock e la sua ciurma si ribellano, e il misterioso e oscuro capitano ha un piano ardito e complesso: piazzare delle testate esplosive nei punti dell’universo in cui sono più labili i legami del tempo (evidentemente una dimensione fisica manipolabile nell’universo narrativo di Haramaki), riavvolgere il corso della storia e permettere al genere umano di ricominciare, dargli una seconda possibilità, nella speranza che non commetta nuovamente gli stessi errori. L’Arcadia, invincibile e imprendibile nave da guerra di una tecnologia ormai perduta, e il suo equipaggio sono vicini alla meta, quando a bordo sale Yama, un giovane e misterioso cadetto pirata che nasconde un segreto doloroso e sarà decisivo per gli equilibri di questa guerra.

Questa la trama iniziale, a grandi linee. Piuttosto promettente. I problemi, però, nascono da subito. Il piano di Harlock non è ardito e complesso, è stupido. Non viene spiegato a dovere, pare bambinesco fin dall’inizio, non convince mai. Il capitano dell’Arcadia non è il vero protagonista del film, il che potrebbe andare benissimo se il regista trovasse il modo di farci capire chi sia in realtà. Invece è una figura vaga e irrisolta di eroe che ha tradito Gaia Sanction per ragioni debolissime, compiendo azioni terribili a cui ora vorrebbe riparare (forse, non è chiaro) compiendone di potenzialmente ancora peggiori. Yama, il vero personaggio principale, nasconde un segreto e un amore e un dovere e un’identità. E l’abilità innata di cambiare idea in continuazione durante la storia. E di farla cambiare anche agli altri. Anni, a volte secoli, di convinzioni e pianificazioni stravolti dalle frasi pseudofilosofiche di un voltagabbana.

Harlock: Space Pirate 3D è un brutto film, che colleziona frasi ad effetto piene di vuoto, del tutto incapaci di sostenere una trama inutilmente complessa in cui convivono dramma personale, piani folli e strampalati, spiegoni lunghissimi che non spiegano nulla e incongruenze evidenti e irritanti. Senza dimenticare personaggi monodimensionali e del tutto piatti che si muovono in questo contesto per ragioni solide come la panna montata. La bellezza delle immagini e del 3D messo in campo da Haramaki è semplicemente la beffa di assistere a uno spreco di risorse tecniche davvero notevoli e sorprendenti al servizio di una storia che farebbe brutta figura persino in un tema libero di terza elementare.

Ci perdonerete un piccolo spoiler, ma vogliamo darvi l’idea di quel che stiamo dicendo. Per tre quarti del film, le armature della ciurma dell’Arcadia sono pressoché impenetrabili ai colpi, mentre, senza motivo, nelle scene finali perdono questa capacità, lasciando che i pirati vengano messi in difficoltà da soldati che non potevano neppure sperare di competere con loro fino a qualche istante prima. L’apertura del singolare motore della nave, ci viene spiegato nel film, ha portato in passato alla quasi distruzione della vita su un intero pianeta, ma quando si ripete, durante lo scontro decisivo, non ha alcun effetto. Non succede letteralmente nulla. Nulla di comprensibile, quantomeno, né di vagamente significativo.

Il film è debole. Talmente debole da trasformarsi in qualcosa di simile a una presa in giro dello spettatore, che al limite può restare ipnotizzato dal lampeggiare dei laser dell’Arcadia o dell’improbabile arma planetaria messa in campo sul finale dalla Gaia Sanction. Ma la trama è inconsistente, con l’aggravante di un tono epico pomposo, quasi mai alleggerito dall’autoironia e con la pretesa di comunicare grandi concetti che rimangono però quantomeno irragionevoli.

Ne fanno le spese la memoria di un personaggio affascinante nella sua ingenuità da fantascienza fine anni Settanta, la speranza di vederlo molto più strutturato e oscuro a distanza di decenni, inserito assieme alla sua ciurma in un contesto più maturo, e quasi due ore della nostra vita che non ci verranno restituite, passate a ricordare la visione, altrettato dolorosa, di quel Kyashan – La rinascita, film in live action di Kazuaki Kiriya, che nel 2004 ebbe modo di deturpare orribilmente un altro capolavoro dell’animazione giapponese della nostra infanzia. Enjoy.