La cultura del fumetto nella sua evoluzione da paraletteratura per giovani mente poco colte e coltivate, alla coniazione del concetto anni Settanta di fumetto d’autore. Le classificazioni della nona arte nel nostro paese sono state molteplici. Ma hanno ancora senso? Se lo domandano gli autori e i giornalisti nel primo incontro di Banghete, conversazioni sul fumetto a Lucca Comics 2013.

Luca Raffaelli, racconta la rovina del fumetto: essere popolare prima di divenire di nicchia. Mentre gli artisti, in genere, vengono elevati dalla critica alta per poi divenire popolare presso le masse, al fumetto è accaduto esattamente il contrario. Nato per le masse, addirittura per i quasi illetterati, ci ha messo moltissimo prima di trovare dignità presso le elite, dopo essere osteggiato a lungo dalla cultura e dalla didattica perché appassionante, spettacolare, piacevole e pertanto non una sfida sufficiente a far crescere le giovani menti. Se è vero che non c’è una vera e propria distinzione tra fumetto popolare e d’autore, certo esistono differenze tra espressione della libera creatività degli artisti e prodotti che seguono le regole imposte dalle case editrici. Se Moebius avesse dovuto rispettare una gabbia editoriale, non sarebbe stato Moebius.

Alfredo Castelli ci informa che il fumetto è divenuto nemico della cultura quando ha preso il nome di fumetto. Quando ancora non aveva assunto questo nome, ma si chiamava “racconto moderno”, “sequenza” o “vignetta” , senza avere una collocazione editoriale precisa, trovava spazio su ogni supporto. Una volta istituzionalizzato come contenuto dei supplementi ai quotidiani, ha iniziato il proprio cammino verso le fascie inferiori della considerazione generale. Il mezzo che nei primi anni della sua vita era servito persino a smascherare politici corrotti, una volta definito dalla definizione di “comic”, ha subito l’attacco incrociato di politica e cultura istituzionale.

Roberto Baldazzini rivendica una libertà individuale del fumetto. Porta la propria esperienza personale di artista non in grado di lavorare in un team ampio, di gruppo. La creazione senza mediazioni è effettivamente un’esperienza diversa, con un valore più completo in termini di creatività. Per quanto esistano case editrici in grado di mediare il meno possibile, di editare il meno possibile il lavoro dell’autore prima di proporlo al pubblico e al lettore.

Castelli ricorda che la libertà creativa non è però garanzia di valore e può portare a prodotti inadatti e di pochissimo valore, anche in casi eclatanti di autori di grande talento. Un editing esiste sempre, anche solo personale. Sotto forma di linea mentale, identificazione di un pubblico. Chiaramente diventa essenziale in caso di prodotto seriale. Un editing ben fatto diventa utile in quanto sguardo esterno sul lavoro dell’autore, in molti casi incapace di accorgersi dei propri errori. Forse l’unica, generica, distinzione tra fumetto d’autore e popolare è il mercato di riferimento: edicola e libreria. L’obiettivo della fine della distinzione deve essere una soluzione organica e interna al mondo del fumetto che permetta ad entrambe le forme narrative di prosperare. Il mercato è cambiato e bisogna che avvenga un cambiamento nella distribuzione che eviti il macero di tante copie che avviene oggi, in tempi in cui Martin Mystere, per vendere 30.000 copie ne vede stampate 60.000 per buttarne la metà.

Claudio Gallo parla dell’era del graphic novel, termine ora come ora troppo generico. Quando Will Eisner ha pubblicato Contratto con Dio, voleva operare una rivoluzione nel mondo del fumetto, dimostrandone ormai la maturità. Ma il mercato del fumetto ragiona per fasi, periodi, le cui identità vanno interpretate e assecondate, per seguire l’onda del pubblico e trarre il massimo possibile dalle esperienze degli autori. In questo senso, la distinzione tra fumetto popolare e d’autore deve essere fluida e si è dimostrata fluida nel corso del tempo. La stessa distribuzione nelle edicole, con le sue contraddizioni, andrebbe ripensata e non abbandonata, perché permette di raggiungere, per certi prodotti, un pubblico maggiore.